
Il terremoto che ha investito il Consiglio superiore della magistratura dopo l’inchiesta sulle presunte manovre per pilotare le nomine nelle procure ha assestato un duro colpo alla credibilità delle istituzioni. Arrivati a questo punto di chi si possono fidare gli italiani?
Certamente stiamo attraversando una fase di decadenza e conseguentemente si assiste a uno sbriciolamento del senso delle istituzioni. Ma questo non deve farci perdere la fiducia nello Stato. Intanto, perché non tutte le istituzioni sono inquinate dal malcostume. In secondo luogo, perché nella storia di ogni nazione ci sono momenti di indebolimento, talvolta di forte indebolimento, delle regole comuni. In terzo luogo, non possiamo perdere la fiducia nelle istituzioni perché di tali organizzazioni non si può fare a meno, soprattutto in società molto complesse come la nostra. Per quanto riguarda lo specifico della sua domanda credo che come me molti italiani nutrano fiducia nella presidenza della Repubblica e penso e spero che il Capo dello Stato troverà una soluzione all’incresciosa situazione in cui è precipitato il Csm. Al di là del singolo caso il problema da affrontare mi pare sia superare lo scetticismo, meglio, direi una sorta di disfattismo che serpeggia nella nostra società. Mi rendo conto che non si tratta di un problema di facile soluzione anche perché, seppur in forme carsiche, la crisi di fiducia nelle istituzioni si collega a una più generalizzata crisi economica. Ciò non significa che in tempi di vacche grasse non ci siano la corruzione o deviazioni da comportamenti eticamente corretti. Ma è ovvio che tali negatività trovano un terreno maggiormente fertile se non c’è lavoro, non c’è speranza e non c’è futuro a causa di una crisi economica che da troppo tempo ci sta flagellando e di cui non si vede la fine.
Sul versante europeo l’Italia rischia la procedura di infrazione per debito eccessivo. Riusciremo a evitarla?
Non so se riusciremo a scongiurare di essere messi sotto tutela dall’Unione Europea, cosa che peraltro sarebbe molto imbarazzante e invasiva. Francamente lo spero per il bene del paese. Però non posso fare a meno di sottolineare che se si è giunti a questa situazione lo si deve in larga misura a un governo poco attento e poco competente. Nel suo primo anno di vita Conte e i suoi ministri non hanno fatto molto per abbassare il debito pubblico e per di più hanno varato misure come il reddito di cittadinanza che, seppur lodevoli per alcuni aspetti, non costituiscono di per sé un volano economico. Mi preoccupano le risposte alla lettera delle Commissione europea che sono state date a caldo dai leader della maggioranza. Si vuole andare a uno scontro con l’Europa? E come? Visto che i cosiddetti sovranisti non hanno la maggioranza a Bruxelles. Il problema di fondo è che l’attuale governo non ha le idee chiare in campo di politica economica. Volendo essere benevoli possiamo dire che al suo interno si scontrano tendenze difficilmente conciliabili. Parlo di tendenze, non di linee programmatiche. E quando si ha a che fare con tendenze ognuno dice la sua. Nel migliore dei casi sono stati gestiti compromessi al ribasso tra proposte, talvolta persino in conflitto, e dopo un anno di governo giallo-verde eccoci in una situazione economica ancor più grave di prima. Abbiamo accennato ai vari aspetti della crisi un attimo fa. Alla crisi economica, sociale e morale possiamo aggiungere anche una vera e propria crisi progettuale di cui il governo Conte mi pare rappresenti un caso emblematico.
Le faccio un elenco tratto dalle cronache recenti: crac Mercatone Uno con 1.860 lavoratori mandati a casa, chiusura dello stabilimento di Napoli della Whirlpool, spostamento dello stabilimento della Knorr dalla Lombardia al Portogallo, cassa integrazione per 1.400 lavoratori del polo siderurgico di Taranto. C’è qualche speranza di uscire da questa situazione?
Sì, con più Europa. I sovranisti sostengono il contrario ma a mio parere si tratta, ancora una volta, di una presa di posizione che ha il fiato corto, anzi cortissimo, perché non possiede un vero progetto alle spalle. Sul mercato oggi ci si confronta con stati-continente. E mi riferisco agli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India. Tra l’altro, Cina e India fino a ieri svolgevano un ruolo sussidiario all’interno dell’economia mondiale limitandosi a realizzare produzioni secondarie commissionate prevalentemente dalle industrie europee e nordamericane. Oggi queste nazioni sono protagoniste della globalizzazione. È sotto gli occhi di tutti che si sta configurando un nuovo ordine economico mondiale non più a guida esclusiva dell’Occidente. E noi dinanzi a questo processo ragioniamo ancora in termini di piccolo stato nazionale. Guardi, il problema non investe solo i sovranisti di casa nostra. Pensi al caso relativo all’alleanza Fiat Chrysler-Renault silurata da Macron in nome di un patriottismo economico d’antan. Negli anni ’60 De Gaulle si comportò allo stesso modo per l’identica situazione. Ma appunto erano gli anni ’60. Un mondo che oggi non esiste più. Da allora a oggi le istituzioni europee si sono sviluppate proprio perché anno dopo anno l’economia si stava articolando in una dimensione globale e non più nazionale. Ecco perché occorre più Europa. Ma un’Europa diversa da quella che finora ha privilegiato la finanza e trascurato l’impatto sociale della globalizzazione. Cosa occorre fare? Prima di tutto uniformare il fisco. Ne ho già parlato in altre occasioni, ma non si può proseguire con un’Europa in cui il fisco è differente da paese a paese. Un imprenditore deve far quadrare i conti e se trova più conveniente investire in Irlanda o in Polonia anziché rimanere in Italia – perché tutta una serie di vincoli, tra cui la tassazione, sono assai più morbidi – è ovvio che sposta altrove la produzione. Di cosa lo possiamo accusare? Di non chiudere i battenti? Quindi oggi occorre mandare avanti la costruzione dell’Europa. E i primi passi da fare sono una politica fiscale comune e dare a tutti i lavoratori del continente gli stessi diritti di base. È l’unico modo per non tornare fra qualche mese a commentare un elenco simile a quello che lei ha presentato nella sua domanda o fra qualche anno spiegare una nuova avanzata dei sovranisti.
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