
La politica secondo Matteo. Intendiamoci, parliamo della politica italiana, e di quella certamente non esaltante dei nostri giorni. Il primo problema è che di Matteo non ce n’è solo uno, bensì due. Molto diversi, anche se con tratti biografici comuni, ma entrambi votati a imporsi sulla scena, costi quel che costi, facendo del male alla politica, alle istituzioni, al proprio campo di appartenenza ed in fin dei conti anche a se stessi. Di Matteo Salvini abbiamo avuto più volte modo di parlare. Eredita nel 2013 un partito in grande difficoltà, scosso dagli scandali, in crisi di leadership, asserragliato nelle proprie roccaforti del nord Italia ed ai minimi storici dal punto di vista dei consensi elettorali, appena sopra il 4%. Ne cambia i connotati, trasformandolo in partito nazionale, lo sposta politicamente sull’estrema destra, ne liquida il vecchio gruppo dirigente, diventa portavoce e amplificatore di tutte le paure e insicurezze dell’Italia vincendo la gara con i suoi competitor più diretti affermandosi come il più credibile e diretto rappresentante di un populismo becero e senza ritegno. Su questa strada porta, in una sola legislatura, alle elezioni politiche del 2018 il proprio partito oltre il 17%, superando i propri alleati del centrodestra, con Forza Italia che si ferma appena al 14% e Fratelli D’Italia che supera d’un soffio il 4%. Quelle elezioni le vince il Movimento Cinque Stelle che raggiunge e supera il 32% e diventa il partito di maggioranza relativa trovandosi così a dover comporre un governo di coalizione.
A dare una mano decisiva al primo Matteo (Salvini) a questo punto ecco correre il secondo Matteo (Renzi): il secondo Matteo mette il veto sulla partecipazione del Pd ad un governo in alleanza con i Cinque Stelle, teorizza la politica dei popcorn, spingendo così di fatto gli uni nelle braccia dell’altro (Matteo). In una parola la politica del “tanto peggio, tanto meglio”. Qual è la cosa peggiore che può capitare al Paese? Mandare al governo un personaggio come Salvini, con le sue posizioni estremiste, in alleanza con le peggiori forze dei cinque stelle. E’ esattamente quello che Renzi ha fatto con determinazione. Altro che interesse nazionale, altro che responsabilità nei confronti del Paese e del proprio elettorato. Invece di provare ad isolare l’avversario più pericoloso, creare contraddizioni nei cinque stelle e provare a misurarsi su un governo di svolta si è fatto per più di un anno esattamente il contrario. Bisogna tenere bene a mente questo passaggio di soli due anni fa, perché tornerà utile a comprendere meglio quanto sta accadendo in questi giorni. Il risultato è immediatamente evidente appena un anno dopo. Salvini al Ministero dell’Interno fa dell’immigrazione una emergenza nazionale, si accanisce in maniera disumana sui migranti e su chi cerca di aiutarli, lucra su tutto ciò, impone la sua agenda politica e domina la scena, prosciuga il consenso dei suoi alleati vecchi e nuovi e alle elezioni europee del 26 maggio 2019 raggiunge il 34% raddoppiando il proprio consenso dopo solo un anno di governo.
Il “capitano” Salvini, a questo punto, viene divorato dal suo delirio di onnipotenza, si ritiene inarrestabile e, complici il caldo e i drink del Papeete, manda all’aria il suo stesso governo, rivendica nuove elezioni e i pieni poteri. Un po’ come era già successo all’altro Matteo dopo le precedenti elezioni europee, con il tentativo di cambiare le regole, la Costituzione e la legge elettorale, farsene una su misura e affermare così la propria leadership indiscussa. Solo che i cittadini italiani, chiamati ad esprimersi con un referendum, hanno impedito lo scempio della Costituzione e con esso quello della democrazia faticosamente costruita dopo la Resistenza interrompendo così i sogni di gloria di Renzi. A settembre anche a Salvini le cose non vanno come aveva previsto, e sperato. Si costruisce una nuova maggioranza in Parlamento con l’obiettivo non solo di evitare l’aumento dell’Iva e varare la manovra economica, ma arrivare a fine legislatura con un profondo cambiamento di strategia e indirizzi (dal green new deal a una diversa politica sull’immigrazione, dal lavoro all’equità). A favorire più di altri la nascita del nuovo governo è proprio Matteo Renzi che con una svolta di 180° dice l’esatto contrario di quanto sostenuto l’anno prima. Varato il secondo governo Conte Renzi però lascia il Pd, fonda un suo partito e tenta di riprendere il centro della scena politica, nel modo in cui sa solo farlo. Si, proprio lui, l’uomo che si è autodefinito vittima del “fuoco amico” (e mai dei suoi stessi errori ovviamente), comincia a mettere in difficoltà il governo e la maggioranza, proprio come aveva già fatto a suo tempo con Enrico Letta.
La cosa paradossale è che la polemica nei confronti del governo aumenta, e rischia di sfuggire di mano, come tante volte è purtroppo accaduto, già all’indomani di una nuova sconfitta per Salvini. Il leader della Lega aveva cercato infatti la rivincita alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna, invocando una sorta di giudizio di Dio, nella certezza che dopo averle vinte la strada verso nuove elezioni politiche sarebbe stata obbligata e per lui vincente. Ancora una volta è stato però stoppato, e questa volta prima nelle piazze grazie alla generosa mobilitazione delle sardine, e poi nelle urne proprio per il pericolo avvertito dai cittadini dell’Emilia Romagna. Invece di cogliere questa seconda e ancora più significativa occasione per rilanciare l’azione di governo, cambiare rotta, provare a lavorare ad un progetto e ad un programma di lungo periodo, anche in vista delle prossime elezioni in sei importanti regioni e mentre è in corso la campagna elettorale per le elezioni suppletive in due collegi a Roma e Napoli, cercare di far maturare, dalla crisi profonda di consensi e identità dei cinque stelle, un loro orientamento diverso ecco tutto precipitare nuovamente, per iniziativa di Matteo Renzi, nella polemica quotidiana e sull’orlo della crisi. Così Matteo Renzi, dopo aver evitato di misurarsi alle recenti elezioni, dopo aver lasciato libertà di voto (sic!) in Calabria, gioca d’azzardo solo per riprendersi il centro della scena, risalire nei sondaggi elettorali di qualche punto.
Il rischio è che a farne le spese, prima e più che il governo, sarà il Paese. Con la soddisfazione massima di Salvini che saprebbe a quel punto chi ringraziare. Anche per questo occorrerebbe fare presto: accelerando sulla proposta di cambiamento avanzata da Zingaretti, mettendo in campo una sinistra unitaria e nuova così come si è fatto in Emilia Romagna, dando ascolto alle sardine e offrendo loro una sponda politica credibile, favorendo una scelta di campo alternativa da parte dei cinque stelle, e dando smalto e slancio all’azione di governo. Solo questa prospettiva toglierebbe la scena a Renzi, ne depotenzierebbe l’azione destabilizzante e, comunque, offrirebbe uno sbocco possibile anche di fronte al precipitare della situazione. Il tentativo miope di ciascuno di ritornare invece per la propria strada, coltivare il proprio orticello, agitare vecchi slogan nella speranza che così possa tornare il consenso perduto è quanto di più sbagliato e infruttuoso si possa fare. Non lo merita questo nostro Paese, non se l’aspettano tutti quelli che all’improvviso nei mesi scorsi hanno preso la parola e sono scesi in piazza proprio per evitare il peggio.
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