Nuccio Iovene. La sinistra e il Pd tra elezioni regionali ed europee; un pantano da cui è difficile uscire

Nuccio Iovene. La sinistra e il Pd tra elezioni regionali ed europee; un pantano da cui è difficile uscire

Domani, domenica 3 marzo, si terranno le primarie del PD. Le prime dopo una serie di cocenti sconfitte, abbandoni e soprattutto senza che sia, ad oggi, emersa in quel partito una sola idea chiara sul da farsi. I tre candidati rimasti in lizza, a partire dal favorito Zingaretti, sembrano illudersi che una volta eletto il nuovo segretario le cose cambieranno. E ovviamente vorremmo tanto che così fosse. Però abbiamo il sospetto, ed il timore, che purtroppo così non sarà. Innanzitutto perché non c’è stato nessun documento politico-programmatico alla base del confronto tra i diversi candidati, su ciò che intendono fare, con chi e in che direzione. Anzi tutti dicono di pensarla, più o meno, alla stessa maniera e quindi la scelta è ridotta esclusivamente alla leadership, alla storia personale che si porta dietro e alla fiducia che questa riesce a raccogliere su se stessa. Quello che sappiamo con certezza invece è ciò che il nuovo segretario non potrà fare: pensare ad un confronto e un eventuale rapporto con i Cinquestelle, neanche per far saltare questo pessimo governo gialloverde; pensare di aprire un confronto ed un dialogo con quanti hanno, negli ultimi anni, abbandonato il PD e tantomeno con l’area politica che si colloca alla propria sinistra; fare per le prossime elezioni europee qualcosa di diverso rispetto a quello che pensa e propone Calenda; fare i conti seriamente, e una volta per tutte, con gli errori di questi ultimi anni e cioè tutti quelli che hanno portato prima allo sfascio del centrosinistra e poi alla sconfitta referendaria ed elettorale del proprio partito.

I paletti sono stati chiaramente esposti negli ultimi giorni da Giachetti che ha altrimenti minacciato di andarsene il giorno dopo le primarie; da Calenda che rivendica ogni giorno il copyright del listone per le europee e la vigilanza sulla sua composizione; da Renzi che, oltre a ricordare quotidianamente che il controllo dei gruppi parlamentari (ed in particolare di quello del Senato) è suo, continua a dire, ossessivamente, che tutto quello che ha fatto è stato giusto e che del fallimento sono quindi responsabili il “fuoco amico” e l’incomprensione degli elettori. Anzi proprio l’ex Presidente del Consiglio nel tour televisivo e territoriale di presentazione del suo ultimo libro continua a utilizzare argomenti e linguaggio più simili a quelli di centrodestra e 5 stelle paradossalmente legittimandoli ulteriormente senza che questo sposti consensi nel proprio campo. Se a tutto questo si affianca la reazione avuta dopo le recenti elezioni regionali in Abruzzo e Sardegna la cosa si fa ancora più preoccupante. Le due regioni andate al voto (e altre ne seguiranno nei prossimi mesi) erano regioni da tempo, e fino al giorno delle elezioni, governate dal PD e dal centrosinistra. Esultare di fronte  alla perdita di queste regioni e alla vittoria in entrambe del centrodestra a guida Salvini per essere arrivati “secondi”, con uno scarto di quindici punti o addirittura di più, è certamente consolatorio ma profondamente sbagliato. Anche perché i tanti voti in fuga dai 5 stelle hanno favorito innanzitutto la Lega e cioè il loro principale alleato di Governo e l’astensionismo piuttosto che il PD o il centrosinistra, e di questo c’è poco da stare allegri. E nemmeno il numero alto di liste e candidati schierati, o la credibilità dei candidati presidenti Legnini e Zedda è riuscita a nascondere, figuriamoci a risolvere, la crisi politica del PD e delle altre forze di centrosinistra.

Anche dalla sinistra non giungono notizie rassicuranti, tutt’altro. Nelle regionali si è andati in ordine sparso, senza essere riconoscibili, e neanche un analista scrupoloso sarebbe in grado di dire e spiegare esattamente chi ha fatto cosa (LeU, lì dove si è presentata era tutta o solo parte delle forze che l’avevano costituita? Rifondazione e Potere al Popolo c’erano o no? Erano divisi o uniti? A sostegno del candidato del centrosinistra o autonomi? E Sinistra Italiana? Possibile? MdP?). Tra poco più di un mese si dovranno presentare le liste per le europee e anche su quel fronte, allo stato, per la sinistra è buio pesto: ci saranno una o più liste? Con chi e con quali programmi? Si riuscirà a superare il quorum del 4% previsto? Nessuna traccia neanche di un dibattito pubblico sulle scelte possibili da compiere. Ecco perché, nonostante gli appelli e i richiami alla fiducia, senza avere il coraggio di fare i conti con tutti questi nodi la fuoriuscita dal pantano in cui il centrosinistra si è cacciato non sembra essere alle porte e non si intravvede ancora una strada nuova.

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