
Continua la serie “noir”. Ma in questo caso l’assassino è noto. I dati resi noti dall’Inps relativi allo stato dell’occupazione parlano chiaro. Solo un ministro come Poletti può ancora difendere il Jobs act, che ha massacrato l’occupazione. Parla di “scelta sciagurata” Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Arturo Scotto, deputato di Articolo1-Mdp, accusa: “Il Jobs act si dimostra ancora di più una misura fallimentare che non ha fatto altro che precarizzare ulteriormente, come era ampiamente prevedibile. Il lavoro – dice – è la vera emergenza nazionale e nessuna narrazione potrà cancellare il disastro di questi anni. Ora addirittura vorrebbero ripristinare anche i voucher, dopo averli tolti solo per evitare i referendum della Cgil. Non in nostro nome”. Insieme a Poletti va inserito il ministro Padoan. Ieri a fronte dei dati relativi alla perdita di potere d’acquisto degli operai e dei ceti intermedi, alla povertà crescente di milioni di famiglie, ai giovani che vivono in casa dei genitori, ci invecchiano perché non trovano lavoro, aveva festeggiato quello squallido +0,2, un aumento del Pil, che dovrebbe far arrossire. Con gli zeri non si va da nessuna parte.
I dati Inps ci dicono che in tre mesi si sono avuti 400 mila nuovi contratti, ma quelli stabili sono diminuiti del 7%. I nuovi rapporti di lavoro attivati, stabili, a termine, apprendisti, stagionali sono stati 1.439.431 (+9,6%) rispetto a gennaio-marzo 2016, ma le assunzioni a tempo indeterminato sono calate appunto del -7,6% (310.004 contro 335.664 dei primi tre mesi dello scorso anno). L’Inps accompagna la rilevazione dei dati sottolineando che comprese le trasformazioni di contratti a termine (68mila) e apprendisti trasformati a tempo indeterminato (20.862) il totale dei contratti a tempo indeterminato attivati è pari a 398.866 con un calo del 7,4%.
I posti fissi hanno avuto un decremento del 58%. Cala anche il numero degli apprendisti
L’osservatorio del precariato dell’Istituto nota che i posti fissi nel primo trimestre dell’anno in corso sono stati 17.537, in calo netto rispetto ai 41.731 dello stesso periodo del 2016. Si tratta di un decremento del 58%. Calano anche le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine: -3,1%. Sono stati infatti 68 mila nel I trimestre, contro i 70.147 del I trimestre 2016. Cala il numero degli apprendisti trasformati a tempo indeterminato: in questo caso, il decremento è ancora più consistente (-17,3%). Sono stati infatti 20.862 contro i 25.237 del I trimestre 2016. Le cessazioni sono state invece 381.329 nel I trimestre dell’anno, e sono state 389.317 nel I trimestre 2016. I rapporti a tempo indeterminato, come differenza tra i nuovi e le cessazioni, ammontano così a 17.537 contro i 41.731 del I trimestre 2016. Nel 2015, nello stesso periodo, furono 214.765.
Un capitolo a parte riguarda i licenziamenti. L’eliminazione dell’Articolo18 si fa sentire
Nei primi tre mesi del 2017 le aziende italiane hanno proceduto a 143.225 licenziamenti con un aumento del 2,8% sullo stesso periodo del 2016. Ma per quanto riguarda i licenziamenti per giusta quelli sui quali è calata la scure del Jobs Act nel 2015 di fatto cancellando il reintegro in caso di allontanamento illegittimo oltre in aziende i 15 dipendenti, l’aumento è stato del 14,4%, da 16.004 a 18.349. Rispetto al 2015 quando i licenziamenti disciplinari furono 12.705 l’aumento è stato del 44,39%. Nelle aziende con oltre 15 dipendenti i licenziamenti per motivi disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) tra gennaio e marzo 2017 sono stati 8.758 a fronte dei 6.545 dello stesso periodo 2016 (+29,3%) e dei 5.027 dei primi tre mesi 2015 (+68,45%).
Numeri che sono persone, vittime, è il caso di dirlo della politica sciagurata dei mille giorni del governo di Renzi Mattei. Tutti i nodi vengono al pettine. Invece di dilettarsi in proposte assurde, irricevibili per quanto riguarda la legge elettorale il Pd dovrebbe chiedere scusa agli italiani per i disastri che in così poco tempo è stato capace di provocare.
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