
Non avevamo dubbi che la Festa del Lavoro, la festa del 1 maggio, sia un evento molto sentito dagli italiani. Ci fa piacere che arrivi una conferma dal sondaggio condotto dall’Osservatorio sul Capitale sociale di Demos-Coop per Repubblica: due italiani su tre, questo il risultato, ritengono che celebrare il Primo Maggio “abbia ancora un senso”. “Appare più significativo – scrive Ilvo Diamanti – perché si tratta di una risorsa sempre più scarsa e dequalificata”. Ancora: “Una larga parte degli intervistati afferma di non aver percepito la ripresa. Secondo loro l’occupazione non è mai ripartita. E se le statistiche dicono cose diverse loro non se ne sono accorti”. Ma c’è di più. Il ripristino dell’articolo 18 come chiesto dalla Cgil nel referendum poi bocciato dalla Corte costituzionale, nel sondaggio ottiene il consenso di sette italiani su dieci. Infine una “perla” colta dal sondaggio: solo l’8% salva il Jobs act che, anche in questi giorni di primarie del Pd, Renzi con codazzo di ministri, perfino il presidente del Consiglio dei ministri, fra un palleggio e l’altro, non trova di meglio che esaltare, soprattutto per le “magiche virtù” di questa legge che è costata ai cittadini italiani circa 19 miliardi, a tanto ammonta il costo della decontribuzione regalata ai padroni che appena il contributo è calato per poi scomparire non solo non hanno assunto ma hanno licenziato.
Il 6 Maggio la Cgil in piazza: “Il lavoro torna protagonista”
Ripetiamo, non avevamo dubbi sull’esito di questo sondaggio. Ma il fatto che proprio Repubblica in apertura valorizzi il Primo Maggio è un fatto importante. Un segnale, un ripensamento? Speriamo. Anche le manifestazioni del 25 Aprile erano “sentite” dai cittadini italiani tanto che se ne sono svolte moltissime in tutta Italia, ma il quotidiano di Largo Fochetti, ne resocontò solo due, quella di Milano, unitaria, e quella di Roma che segnò, ancora una volta, l’assenza della comunità ebraica che non voleva “confondersi” con una rappresentanza palestinese. Milano contrapposta a Roma con un attacco all’Anpi degno di miglior causa. Tutte le altre manifestazioni, unitarie, promosse dall’Anpi ignorate. Ci fanno piacere anche i risultati relativi alla situazione economica e sociale del nostro paese che confermano i giudizi negativi espressi dai sindacati, dalla Cgil in particolare, sulla politica del governo in questi anni di renzismo. Già, la Cgil, che sempre più spesso è stata oggetto di velenosi attacchi proprio da parte degli scriba di Repubblica. Bene, guarda caso proprio il sondaggio è una conferma delle scelte, a partire dal referendum e dalla proposta di legge di iniziativa popolare, firmata da un milione e mezzo di persone, che porta il titolo di “Carta dei diritti universali”. Ne tengano conto gli scriba quando, e se lo faranno, parleranno della manifestazione nazionale promossa dalla Cgil che si svolgerà il 6 maggio a Roma in una delle grandi periferie, il quartiere Tuscolano. “Senza voucher, con regole giuste sugli appalti il lavoro torna protagonista”, questo lo slogan della manifestazione.
Non è un caso che si parta da Portella della Ginestra, un filo rosso che si snoda negli anni
Una tematica che fa seguito alle manifestazioni che si svolgeranno in tutta Italia il 1° di Maggio con un slogan di grande efficacia “Lavoro, le nostre radici, il nostro futuro”. Non è un caso che si parta da Portella della Ginestra, come scriviamo in altra parte del giornale, dove il primo maggio 1947 Salvatore Giuliano e la sua banda spararono sulla folla accorsa in quella località per la festa dei lavoratori provocando la morte di undici contadini e il ferimento di decine di altre persone (le cifre oscillano tra trenta e sessanta). È la prima strage dell’Italia repubblicana, rimasta impunita. C’è un filo rosso fra quella manifestazione e questo Primo Maggio in particolare, un filo che si snoda negli anni, sempre dalla parte dei lavoratori, dei più deboli, degli oppressi. Il lavoro, i diritti, l’uguaglianza, la legalità, la partecipazione, i contenuti, in una parola, quello che detta la nostra Costituzione, i diritti di ieri e quelli di oggi, che hanno la medesima matrice. Proprio mentre la “modernità” cui invitano, fra gli altri, i leader del Pd, impegnati nelle primarie, nei loro interventi a sostegno di Renzi Matteo, dimentica che dopo i gazebo di domenica ci sono le manifestazioni del Primo Maggio, quelle che rivendicano la “centralità” del lavoro e una nuova e diversa politica economica. Proprio mentre gli economisti di scuola liberista impazzano, parlano di innovazione tecnologica che non si può fermare, che dicono che cambia il mercato del lavoro, che ci si deve adeguare alla nuova realtà, alla globalizzazione, al primato della finanza sulla politica, e chiedono al sindacato di “aprirsi” al nuovo, di accettare un futuro fatto di disoccupazione, ci sembra opportuno ricordare il “disastro” prodotto dalle politiche neoliberiste nel nostro paese.
Un “esercito” di disoccupati, di “inattivi”, il dramma della povertà assoluta
Un promemoria che spiega anche le risposte date al sondaggio di Ilvo Diamanti. Partiamo dai giovani fra i 15 e i 24 anni: il 40% sono disoccupati. Fanno parte di un “esercito” di disoccupati che toccano i tre milioni. Ci sono anche gli “inattivi”, una “specialità” tutta italiana. Non figurano negli elenchi di chi cerca lavoro, non sono classificati come occupati o in cerca di occupazione, sono circa 14 milioni. Passiamo alle famiglie: 1 milione 400 mila vivono in condizione di povertà assoluta, si tratta di 4 milioni e più di persone. Più di 50 mila persone non hanno fissa dimora. Ancora: 2 milioni e 500 mila famiglie sono in condizioni di povertà relativa, non arrivano alla fine del mese e sotto sottoposte a privazioni molto pesanti. Potremmo continuare parlando delle aziende in crisi, di cassa integrazione. Ci sono lavoratori che da qualche anno sono “in attesa”, trattative lunghissime, manifestazioni a Roma, sit in. Preferiamo passare ad altri argomenti, quello dei “paperoni” per esempio. Non hanno certo problemi per il loro “primo maggio”. Ce ne sono anche in Italia, spesso i loro nomi vengono pronunciati alla tv. L’1% di questa “razza padrona” possiede il 25% della ricchezza nazionale. Già, l’uguaglianza, bella parola. Resta un principio. Allora torniamo alla Costituzione. Un Primo Maggio nel nome della Carta che dovrebbe regolare la nostra vita. Un Primo Maggio che nel richiamare la “radice lavoro”, sia idealmente collegato al referendum del 4 dicembre.
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