
Donald Trump continua nel suo lavoro di selezione e nomina del suo prossimo gabinetto di presidente. I nomi che rende pubblici, praticamente ogni giorno, tuttavia, continuano ad essere quelli di personalità molto discusse e discutibili negli Stati Uniti, e non solo nell’establishment di Washington. Venerdì 18 novembre, infatti, ha proceduto alla nomina di tre personalità politiche in ruoli chiave della sua amministrazione: come consigliere della sicurezza nazionale, Trump ha scelto il generale in pensione Michael Flynn; come segretario alla Giustizia, ha nominato il senatore dell’Alabama Jeff Sessions, mentre a capo della Cia ha messo Mike Pompeo, deputato del Kansas, campione ultraconservatore dell’oltranzismo dei Tea Party. I tre personaggi nominati venerdì fanno parte della cerchia più stretta di Donald Trump, e a lui sono leali, dopo una campagna elettorale incendiaria e durissima nei toni da parte di tre, che incarnano la linea più dura dei repubblicani in materie delicatissime quali la sicurezza nazionale e l’immigrazione.
Le tre nomine controverse di veri e propri campioni ultrareazionari
Vediamo chi sono i nominati da Trump. Sessions, 69 anni, nuovo segretario alla Giustizia, è senatore dal 1996, e fa parte della Commissione Giustizia del Senato. È noto soprattutto per la sua radicale opposizione alla riforma dell’immigrazione voluta da Barack Obama e per l’accusa di razzismo che gli fu rivolta da un ex assistente di colore negli anni Ottanta, accusa che gli impedì di accedere a un incarico prestigioso con il presidente Reagan. Michael Flynn era già stato selezionato da Trump quale suo vicepresidente, prima che il magnate optasse per Mike Pence. 57 anni, Flynn è stato comandante delle truppe in Afghanistan, decorato al valor militare e nominato da Obama alla direzione dell’Agenzia dei servizi segreti della Difesa. Lasciò l’incarico dopo una serie di polemiche velenose per alcune sue posizioni. Nella cerchia di Trump è noto per aver consigliato in campagna elettorale di abbandonare il “politicamente corretto” e per aver sostenuto già in febbraio una posizione islamofoba, tradotta con l’affermazione per cui “il divieto di ingresso ai musulmani è ragionevole”. Mike Pompeo, nominato come capo della CIA, già presiede la Commissione sui servizi nel Congresso e fu relatore nella sottocommissione che investigò sull’attentato al Consolato americano di Bengasi, in Libia, nel 2012, in cui morirono quattro cittadini americani, compreso l’ambasciatore e quando Hillary Clinton era segretario di Stato. Pompeo trasformò l’inchiesta in una requisitoria contro la Clinton, accusata, perfino durante questa campagna presidenziale, di aver avuto notevoli responsabilità nel Paese africano. Accusò la Clinton di aver sostenuto due verità per difendere Obama, una privata e l’altra pubblica sull’attentato al Consolato libico di Bengasi. Non solo, Mike Pompeo è anche noto per aver chiesto l’estradizione per Edward Snowden, l’artefice di Wikileaks, e averne sostenuto la condanna alla pena capitale. Infine, Mike Pompeo si è opposto in modo virulento al Trattato con l’Iran sul nucleare e ora è il capo indiscusso dei teorici del negazionismo del cambiamento climatico. Come si vede, un duro della destra più conservatrice e reazionaria.
Il commento duro della CNN, “svolta a destra”, e l’invito di Krugman ai repubblicani di non confermare Trump il 19 dicembre
Il canale televisivo all news titola, a questo proposito, “Trump’s right turn”, la svolta a destra di Trump e continua ad aggiornare il dato sul voto popolare. Per la CNN, il trio appena nominato da Trump, si colloca coerentemente “nella posizione più controversa sulla sicurezza nazionale annunciata in campagna elettorale” e punta a “prendere le distanze nettamente dalla dottrina sulla sicurezza del presidente Obama”. Queste nomine, secondo alcuni importanti analisti e osservatori americani, possono avere come conseguenza una radicale frattura all’interno del Partito Repubblicano, soprattutto quello costituito da parlamentari più moderati e più distanti da Trump. Secondo gli ultimi dati forniti dalla CNN, il numero dei grandi elettori di Trump è fermo a quota 290, 21 più della maggioranza richiesta. Il premio Nobel dell’Economia Paul Krugman scrive apertamente in un lungo articolo per il New York Times, che “è giunto il momento per i repubblicani eletti di dare un segno di vitalità democratica, astenendosi o votando contro Trump, il prossimo 19 dicembre, in numero sufficiente da non permetterne l’elezione”, che egli considera “un pericolo anche per il destino del GOP”, come si definisce il Partito Repubblicano.
Krugman: si rispetti la volontà popolare. Clinton in vantaggio di più di un milione di voti
L’analisi e la perorazione di Krugman appaiono corretti soprattutto alla luce delle scelte operate da Trump per la formazione della sua amministrazione con discutibili personalità dell’estrema destra. E naturalmente, dice anche Krugman, per rispetto della volontà popolare, che ha votato in maggioranza per Hillary Clinton. Il sito della CNN riporta infatti i voti popolari parziali relativi a venerdì 18 novembre: Clinton ha ottenuto 62.116.731 voti, mentre Trump è distanziato notevolmente a 61.005.518. Una differenza di più di un milione di voti.
Cominciano a farsi sentire i repubblicani moderati, imbarazzati dalle scelte dei “miserabili” di Trump ai vertici dello Stato
E che nelle fila dei repubblicani il malumore stia cominciando a farsi sentire, è testimoniato dal tweet del decano dei parlamentari GOP, John Dingell, che ha definito alcuni sostenitori di Trump “a basket of deplorables”, un cesto di miserabili, aggiungendo nel tweet: “forget the basket. The truly deplorable ones end up in the cabinet”, dimenticate il cesto. I very miserabili finiscono al governo”. Insomma, la partita elettorale americana non sembra ancora definitivamente conclusa. Almeno, lo speriamo, insieme con i milioni di democratici che in queste ore, nelle università, nelle scuole, nei centri sociali e culturali, perfino nelle chiese, si organizzano per manifestare pubblicamente il loro dissenso da questa palese e vergognosa torsione neoconservatrice e autoritaria impressa da Trump.
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