
La trattativa c’è stata. È evidente che i capi di governo sono rimasti a discutere più del previsto perché nessuno poteva prendersi seriamente la responsabilità di una rottura ma la trattativa è stata vera e dura. Del resto le risorse in campo sono ingenti e l’idea stessa di Europa era in discussione, dopo la Brexit, quindi un confronto duro era prevedibile, e previsto. Nelle trattative si entra in un modo e si esce con posizioni diverse, che in questo caso rappresentano forse l’equilibrio possibile. La questione delle pesanti conseguenze della pandemia su alcuni paesi in termini di salute e di pesante colpo all’occupazione e all’economia è stata al centro dell’attenzione e della discussione, ma chi ha avuto meno problemi ha cercato in tutti i modi di ottenere risultati diretti anche per sé. Alla fine da quanto risulta finora è una vittoria importante avere un impegno di tutta l’Europa per superare la crisi, mentre 10 anni fa la crisi era rinchiusa in ciascuna realtà nazionale e solo l’intervento della Bce è riuscita ad evitare il disastro dell’Europa. La Commissione ottiene risorse e ruolo nella gestione di programmi di orientamento europeo verso le sfide del futuro.
La gestione delle risorse presenta problemi, in parte aperti e in parte da chiarire. I tempi di erogazione dei fondi non sono quelli attesi, il completamento delle erogazioni non ci sarà prima di tre anni. Un periodo non breve che allo stato sembra lasciare sulle spalle dei bilanci nazionali il compito di arrivare nelle migliori condizioni all’erogazione effettiva dei contributi, per la parte e fondo perduto e per la parte prestiti. A meno che non si decida di accedere al Mes. Del resto, l’impegno a raccogliere fondi sul mercato per 750 miliardi di euro deve ancora partire ed è quindi non possibile erogare fondi prima di averli raccolti. I riflessi dell’accordo sono buoni sui mercati finanziari e sulle Borse e questo fa ben sperare, ma sappiamo che il vento in questi campi è mutevole.
Il governo ha ottenuto un’apertura di credito importante che lo obbliga a mettere le carte in tavola, in sostanza deve decidere cosa fare, come spendere le risorse, quali obiettivi intende raggiungere e soprattutto deve essere in grado di costruire un rapporto positivo con le forze sociali e in particolare con i sindacati. Senza questa svolta l’autunno sarà difficile perché a chi ha bisogno, vive una situazione drammatica non basterà sapere che più avanti arriveranno risorse. L’esigenza è ora e ora occorre rispondere. Il nucleo dei paesi che ha lavorato per questa svolta europeista, per quanto spinti dal bisogno, deve mantenere un rapporto, costituire un gruppo che ragiona in termini di nuova Europa, perché non è finita con il documento concordato e nei meccanismi di controllo sembra di riconoscere procedure che non debbono lasciare tranquilli. Sono meno invasive di quelle immaginate ma non sono acqua fresca e la situazione potrebbe rivelarsi più complicata del previsto.
Se il governo italiano ha posto il problema delle regole europee, per ora sospese, non se n’è accorto nessuno e questo è un errore perché le regole solo sospese restano una spada di Damocle sulla testa che i paesi che la pensano diversamente potrebbero chiedere di rimettere in funzione. La Presidenza tedesca della Ue è un’occasione che il governo non dovrebbe lasciare cadere e quindi la ridiscussione dei criteri su cui impostare i bilanci per un paese che vede la possibilità di arrivare a 2500 miliardi di debito e a un deficit superiore al 10%, mentre il Pil cala vistosamente, dovrebbe essere una preoccupazione di fondo. Se vogliamo che questa non sia solo una boccata di ossigeno ma un contributo alla ripresa ora ci sono due aspetti su cui ragionare con serietà: cosa vuole fare l’Italia e quale regole per l’Europa l’Italia propone, un esempio a caso i diritti di chi lavora – che nel documento sono scritti in un linguaggio poco comprensibile, quasi non fossero un problema centrale – sempre tenendo conto che il rapporto tra Germania e Francia da un lato e l’intesa tra i paesi che hanno combattuto per questa svolta dall’altro sono le chiavi principali per cambiare la sostanza, l’asse dell’Unione europea.
Non facciamoci prendere da facili entusiasmi, un risultato importante in questa fase non deve diventare un anestetico, ma uno stimolo a fare di più, con un orizzonte lungo sul futuro. In fondo non è sbagliato avere intestato il Recovery Fund al futuro delle nuove generazioni.
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