
Con le richieste di condanna di quattro dei cinque carabinieri sotto processo in Corte d’assise, si avvia a conclusione il processo bis sul pestaggio in caserma subito da Stefano Cucchi la sera dell’arresto (tra il 15 e il 16 ottobre del 2009) e sulla sua morte. La sentenza, una volta esauriti gli interventi di tutte le difese, è prevista per novembre, salvo cambi di programma. Ma del caso Cucchi si continuerà a parlare nell’immediato. Restano in piedi, infatti, altri filoni processuali legati alla vicenda. L’11 ottobre si chiude davanti alla Corte d’assise d’appello il dibattimento, per omicidio colposo (reato ormai prescritto) a carico di cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini, dove Cucchi morì sei giorni dopo l’arresto. Il 12 novembre, invece, ha inizio in tribunale il procedimento che vede imputati otto militari dell’Arma per i falsi e i depistaggi (commessi nel 2009 e nel 2015, con l’avvio della nuova indagine della procura) finalizzati a proteggere gli autori del pestaggio a Cucchi alla Stazione carabineri Appia.
Diciotto anni di carcere per i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati di omicidio preterintenzionale, per la morte di Stefano Cucchi. Questa la richiesta di condanna avanzata dal pm Giovanni Musarò nel processo in Corte d’Assise. Per l’imputato-testimone Francesco Tedesco, invece, il rappresentante dell’accusa ha sollecitato l’assoluzione “per non aver commesso il fatto”, chiedendo però la sua condanna a tre anni e mezzo di reclusione per falso. Il Pm Musarò ha poi chiesto una condanna a otto anni sempre per falso per il maresciallo Roberto Mandolini (all’epoca comandante interinale della Stazione Appia). Sollecitato anche il “non doversi procedere” per prescrizione dall’accusa di calunnia ai danni dei tre agenti di polizia penitenziaria per il carabiniere Vincenzo Nicolardi, oltre che per Tedesco e Mandolini. “Non chiediamo pene esemplari, ma pene giuste” ha detto il pm Giovanni Musarò, chiudendo la requisitoria nell’aula bunker di Rebibbia. Il pm aveva giustificato con queste parole la richiesta delle pene: “E’ impossibile dire che non ci sia un nesso di causalità tra il pestaggio e la morte di Stefano Cucchi. L’unica spiegazione medico-legale sulla causa del decesso che ha una dignità è quella del riflesso vagale bradicardizzante. I periti parlano di multifattorialità” in relazione alle cause della morte. “E tutti i fattori hanno un unico denominatore: sono connessi al pestaggio, sono connessi al trauma subito dal geometra”. Da qui discende dunque il reato di omicidio preterintenzionale per i carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro.
“Oggi dopo tanto tempo lo Stato è al nostro fianco”. Queste le prime parole di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dopo la requisitoria del pm Musarò. “Questo processo ci riavvicina allo Stato. Riavvicina i cittadini e lo Stato. Io non avrei mai creduto di trovarmi in un’aula di giustizia e respirare un’aria così diversa. Sembra qualcosa di così tanto scontato eppure non è così. Se ci fossero magistrati come il dottor Musarò non ci sarebbe bisogno della sorella della vittima che sacrifica dieci anni della sua vita per portare avanti sulle sue spalle quella che è diventata la battaglia della vita”. Infine, commenta ancora Ilaria Cucchi, “ll lavoro del pm è come un abbraccio a Stefano. Oggi sono profondamente emozionata. E’ un momento che non immaginavo sarebbe mai arrivato. Abbiamo fatto per anni un processo al morto, a Stefano. Oggi per noi è un riscatto, si dice finalmente che quella vita valeva qualcosa” ha concluso Ilaria”.
- Coordinamento per la democrazia costituzionale. Il 25 settembre tutte e tutti alle urne. L’appello - 22 Settembre 2022
- Osservatorio sulla transizione ecologica-Pnrr. Draghi convochi con urgenza una conferenza energia/clima - 19 Maggio 2022
- Costituito il Comitato per il NO ai referendum sulla giustizia - 20 Aprile 2022