Antimafia. Digitalizzato l’archivio della Commissione parlamentare, dal 1963 al 2001. Le audizioni di Borsellino. Le critiche del fratello Salvatore: “Ridateci l’agenda rossa”

Antimafia. Digitalizzato l’archivio della Commissione parlamentare, dal 1963 al 2001. Le audizioni di Borsellino. Le critiche del fratello Salvatore: “Ridateci l’agenda rossa”

La Commissione parlamentare Antimafia ha stabilito all’unanimità di desecretare gli atti dei suoi lavori, dal 1963 fino al 2001. Un archivio che è stato digitalizzato ed è confluito su un unico sito web all’interno del portale del Parlamento. Tra i primi atti in evidenza gli audio delle deposizioni di Paolo Borsellino di fronte alla Commissione. “Tutto quello che avviamo oggi è un ulteriore segnale di democratizzazione del Paese”, ha spiegato il presidente della Commissione, il 5 Stelle Nicola Morra, presentando l’iniziativa in Senato. “Abbiamo ascoltato gli audio del 1984, registrati a Palermo, Borsellino già ragionava – ha aggiunto – sulle difficoltà di portare avanti un processo con numeri enormi. Non sempre le sue richieste vennero pienamente soddisfatte. Con la sua ironia tipica il magistrato dice ‘sono libero di essere ucciso, siamo 4 a dover essere portati ma abbiamo una sola auto blindata’. Questi materiali che possono emotivamente risultare toccanti saranno messi nella disponibilità di tutti gli italiani”. Quindi Morra ha concluso ringraziando “Manfredi Borsellino e tutta la sua famiglia per aver potuto fare questa operazione”.

Stralci dagli audio di Paolo Borsellino. “Paradossale che l’Antimafia venga a chiedere della lotta alla mafia”

“E’ un po’ paradossale che la commissione antimafia venga a chiedere qual è la situazione della lotta alla mafia: i magistrati vengono mandati qui di malavoglia, vengono con la valigia in mano da auditori e ripartono appena trovano l’occasione o appena scadono i due anni. L’incentivo non può essere che economico, mi si dice che è allo studio ma da tre anni ancora non si hanno notizie” dice Paolo Borsellino audito nel 1989 dalla Commissione parlamentare antimafia (X legislatura) nella sua qualità di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala. “Queste zone sono periferiche ma non con riferimento alla criminalità. Il mio ufficio, rimanendo identico come personale, mentre prima si occupava di 4 mila processi l’anno, ora si occupa di 30 mila processi l’anno a cui si aggiungono 60 mila dalle procure del circondario. Oggi io ho i 100 mila processi: me li sono guardati tutti, io non mi arrendo”.

Paolo Borsellino, quando era procuratore a Marsala, dimezzò la sua scorta pur di poter organizzare una volante in più per poter pattugliare il territorio h24

L’11 dicembre 1986 a Trapani Borsellino fu audito dalla Commissione parlamentare antimafia (IX legislatura) nella sua qualità di Procuratore di Marsala, ufficio nel quale si era insediato da appena tre mesi. Come emerge dagli audio desecretati dalla Commissione Antimafia, è lui stesso che, illustrando la situazione della procura, racconta: “Siccome in questo Comitato di sicurezza si minacciava di far tardi, non si poteva uscire perché non si era riusciti a capire come si doveva istituire una ‘volante’ che circolasse di notte a Marsala (non era possibile: non c’erano gli uomini) e io ero stanco, ad un certo punto mi venne in testa (per stanchezza, perché me ne volevo andare) di fare la proposta di dimezzarmi la scorta per fare la ‘volante’. In questo modo si è fatta la ‘volante’. Infatti a Marsala, la quinta città della Sicilia, con centomila abitanti circa considerando le borgate, con 106 contrade (si è parlato tante volte di città-territorio) non c’era una ‘volante’ né della polizia, né dei carabinieri, che potesse assicurare l’intero arco delle ventiquattro ore”. Un buco non di poco conto. Infatti il magistrato spiega: “Mi ricordavo che una volta Buscetta aveva detto che gli era stato presentato un capomafia di Bagheria mentre egli passeggiava in Via Ruggero Settimo; nel mio scrupolo io gli avevo contestato: ‘Ma come passeggiava in Via Ruggero Settimo, se lei era latitante?’, ‘No, signor giudice, perché nel nostro ambiente si sapeva che tra le due e le quattro c’è la smonta, volanti non ne circolano, conseguentemente noi latitanti scendiamo a fare la passeggiata’”. E ancora Borsellino ricorda le parole di Buscetta: “Guardi, lei non crede che le organizzazioni criminali sappiano che se la volante è nella contrada Strasatti, non può essere in un’altra contrada, perché non può essercene un’altra? Lei quindi non crede che qui sentiamo una libertà di movimento che supera i limiti di ogni possibile immaginazione?”.

Borsellino, quindi, ricorda che in uno degli omicidi di mafia avvenuto a Marsala, i mafiosi erano riuniti ad aspettare la notizia dell’avvenuta esecuzione e furono arrestati, e la “fortunata operazione” attraverso cui furono “beccati”,”è avvenuta perché io quel giorno, contravvenendo forse ad un obbligo, me ne era andato a Palermo e la mia scorta era stata adibita al controllo sul territorio. La mia scorta ovviamente era stata dimezzata”. E – spiega Borsellino – “io pretesi ciò: non me ne faccio niente della scorta perché ho la macchina blindata. Era inutile che mi mettessero a disposizione quattro uomini; allora ho detto: ‘Mettetemene a disposizione due, così gli altri vanno a fare gli altri servizi!”. Ebbene “quegli stessi due che erano rimasti nella mia scorta furono quelli che fortunatamente, essendo io assente da Marsala, condussero questa operazione che portò alla scoperta di questi signori, di cui ora si occupa il collega giudice istruttore. Questa è la situazione, signori”.

Già nel 1984, otto anni prima della strage di via D’Amelio, Paolo Borsellino temeva per la propria vita

E in una audizione alla Commissione Antimafia dell’8 maggio, si lamentava della mancanza di personale dedicato alla scorta. Lo si apprende ascoltando gli audio che fanno parte dei documenti desecretati oggi dalla commissione antimafia. “In riferimento al personale ausiliario – diceva Borsellino in quell’audizione – desidero precisare che non si tratta soltanto dei segretari e dei dattilografi, dei quali dovremmo avere garantita la presenza per tutto l’arco della giornata e non soltanto per la mattinata (perché non lavoriamo soltanto di mattina), ma anche degli autisti giudiziari, perché buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate – come avviene la mattina – perché di pomeriggio è disponibile solo una macchina blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà utilizzando la mia automobile; però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere, poi, libero di essere ucciso la sera“.

Tanti gli altri passaggi, in cui Borsellino parla della difficoltà dei lavori, tra computer che non funzionano e volanti che mancano, cita “favori elettorali” tra mafia e politica, si domanda “perché nessuno seguiva il fratello di Riina?” e confida che Salvatore Buscetta era solito passeggiare tranquillamente per Palermo tra le 14 e le 16 “perché sapeva c’era la smonta delle volanti”. Secondo il presidente Nicola Morra la pubblicazione dei documenti iniziata oggi “andrà avanti, fino al completamento, mano mano che digitalizzeremo l’immenso archivio” e pubblicato sul portale antimafia.parlamento.it. “Ci auguriamo che questo portale possa essere uno strumento di ausilio per dare energia al processo di educazione, formazione e cultura dell’Antimafia di cui questo Paese necessita”. Secondo la presidente dell’Associazione fra i familiari delle vittime di via dei Georgofili, Giovanni Maggiani Chelli, però “l’iniziativa è interessante sul piano pseudo storico, ma di nessun valore per la ricerca della verità”.

La lunga lettera di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, al presiente dell’Antimafia, Nicola Morra. “Ridateci l’agenda rossa”

“Egregio presidente Morra, ho riflettuto a lungo prima di decidere se accettare l’invito a presenziare alla cerimonia nella quale verranno desecretate le audizioni riguardanti Paolo Borsellino presso la Commissione parlamentare Antimafia. Ho riflettuto a lungo e ho poi deciso di non sottrarre nemmeno un’ora a mia figlia che pur in attesa del suo primo figlio ha deciso di affrontare la fatica del volo per essere in questi giorni a Palermo, insieme a me, a lottare per la memoria di suo zio, Paolo Borsellino e dei cinque ragazzi uccisi insieme a lui, Claudio, Agostino, Emanuela, Vincenzo ed Eddie Walter che ancora, a ventisette anni di distanza, aspettano Giustizia e Verità sulla strage di Via D’Amelio nella quale è stata spezzata la loro vita”.

Comincia così la lunga lettera che Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso dalla mafia il 19 luglio del ’92, ha inviato rifiutando l’invito del presidente della commissione parlamentaria Antimafia, chiedendo piuttosto allo “Stato di presentarsi in ginocchio” dopo “decenni di silenzi e complicità”. Per il leader del movimento delle Agende rosse, peraltro, non si tratterebbe esattamente di una desecretazione, ma “di rendere pubblici dei documenti che fino ad ora erano di difficile accessibilità perché conservati negli archivi della commissione”, ha chiarito dopo aver letto il contenuto della missiva durante la conferenza stampa, a Palermo, sul programma di eventi per il 27esimo anniversario della strage di via D’Amelio.  Una decisione importante, ma un po’ diversa da quella desecretazione che, sottolinea Salvatore Borsellino, “aspettiamo da anni e che peraltro anche il ministro Bonafede aveva promesso in via D’Amelio e che non è mai arrivata”. Nella mail inviata a Morra, Salvatore spiega nel dettaglio i motivi della sua decisione: “In quella strage mio fratello è stato ridotto a un tronco carbonizzato senza più le gambe e le braccia, i pezzi di quei ragazzi sono stati raccolti uno ad uno e messi in delle scatole per poi essere identificati, separati e racchiusi in delle bare troppo grandi per quello che restava di loro. Ora, a ventisette anni di distanza io non posso accettare che i pezzi di mio fratello, le parole che ha lasciato, i segreti di Stato che ancora pesano su quella strage vengano restituiti a me, ai suoi figli, all’Italia intera, ad uno ad uno. E’ necessario che ci venga restituito tutto, che vengano tolti i sigilli a tutti i vergognosi segreti di Stato ancora esistenti e non solo sulla strage di Via D’Amelio, ma su tutte le stragi di Stato che hanno marchiato a sangue il nostro paese”. Per il fratello del giudice dilaniato dal tritolo di mafia, è necessario che quella “agenda rossa che è stata sottratta da mani di funzionari di uno Stato deviato e che giace negli archivi grondanti sangue di qualche inaccessibile palazzo di Stato e non certo nel covo di criminali mafiosi, venga restituita alla Memoria collettiva, alla verità e la giustizia. Decine, se non centinaia di persone, nei meandri e nelle segrete di questo Stato, ne sono certo, conoscono dove viene occultata questa agenda, dove vengono occultate le ultime indagini, le ultime parole, gli ultimi pensieri di Paolo Borsellino”.

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