
27 giugno 1980, giorno della strage del DC-9 in volo da Bologna a Palermo, eploso sul cielo di Ustica. Ottantuno le vittime, e tutto il resto che è noto, scritto, detto, riscritto, ridetto. Ho cominciato a occuparmene, di quella strage, per il Tg2, quando un collega che già seguiva il caso, ha cambiato testata. Quel giorno serviva un servizio su quell’evento, accaduto anni prima; caso ha voluto che fossi il primo ad essere arrivato in redazione, mi fu assegnato, e da allora, salvo casi di forza maggiore, l’ho sempre seguita. Le “competenze” a volte, nascono così.
Ho visto al lavoro i magistrati, i periti, parlato con i parenti delle vittime, i politici del tempo; le udienze dei processi, le sedute della commissione parlamentare; millantatori di ogni risma; il recupero dei rottami dell’aereo, le trasferte a Washington, Los Angeles, Mosca, Bruxelles… Non li ho contati, ma avrò realizzato qualcosa come 500 tra servizi, articoli, “speciali”. Nell’hangar di Pratica di Mare credo di essere stato il primo, con il collega Franco Trifoni, e il caro Franco Scottoni di “Repubblica” a vedere e a filmare l’aereo ricomposto; e a fianco le parti del MIG sovietico della Libia, schiantosi sulla Sila, chissà perché non restituito con il resto dell’aereo; ma soprattutto quegli ottantun giubbotti-salvagente gialli allineati, ognuno una vittima; e due bambolotti chissà di chi, per chi… Ecco quelle due scene non le dimenticherò mai. Credo di esser stato tra i primi a diffidare della pista “Americana” e a credere, piuttosto a un coinvolgimento della Francia. Un magistrato che incalzavo su questo, finita l’intervista ufficiale, bonariamente mi dice: “Stia attento a far queste domande, quelli non scherzano”. Alludeva chiaramente ai francesi.
“Quelli”, o altri, comunque, sono stati gentili. Mi sono accorto, tempo dopo, del loro esser stati presenti in casa quando non c’era nessuno. Sono stati molto cortesi: hanno “solo” lasciato la porta-finestra del balcone spalancata; il telefono fisso della camera da letto, al centro del letto; la portiera della seconda automobile in garage aperta, dalla parte dell’ospite. Come dire: siamo venuti, siamo andati; possiamo sempre tornare. Ma tutto era in ordine, non mancava nulla, hanno fatto tutto con molta discrezione. Forse hanno capito che ne sapevo meno di quanto credevano; per ricambiare non l’ho fatta tanto lunga, ho solo annotato in un’agenda il fatto, ed è finita lì. Poi è venuto il presidente – ormai emerito – Francesco Cossiga, a dire d’esser coinvinto che con Ustica c’entrano i francesi. Tanto ormai chi si doveva salvare era stato salvato… C’è un passaggio interessante, nelle memorie pubblicate dell’ambasciatore Lodovico Ortona, suo addetto stampa al Quirinale. Si racconta che Cossiga in privato era convinto da subito di una responsabilità di Parigi, anche se in pubblico, ufficialmente, diceva altro.
Penso che alcuni italiani abbiano sempre saputo come sono davvero andate le cose; e che per una sorta di “codice rosso” abbiano deciso di tacerle, di non riferirle al potere politico, non fidandosi che avrebbero taciuto, in nome di una indicibile ragione di stato. Li posso capire. Capire, non giustificare. Era, allora, una verità indicibile; e anche oggi, forse lo è. Si può ammettere che aerei di un paese “amico” e alleato scorazzano a loro piacimento nei cieli italiani e certo, per errore, abbattono un aereo civile, mentre sono impegnati per “cose loro” con la Libia di Gheddafi? Si può ammettere che rami dei nostri servizi, per inconfessabili interessi economici e politici, sostenevano libici e terroristi palestinesi, mentre altri, per sgambetti interni e internazionali, erano filo-israeliani? In quell’enorme war game che è il Mediterraneo dai tempi ancor prima di Garibaldi, si giocano partite di potere vero e concreto, tra poteri tecnicamente irresponsabili, che a nessuna democratica istituzione rispondono.
Ogni tanto ci si prova a spiegare queste cose, nello spazio dei 120 secondi televisivi, o delle 90 righe di testo che viene “concesso”. E pazienza se ti senti dire: “Come, ancora, Ustica?”. Sì. Ancora. Sono passati 39 anni. Fatevene una ragione se ci si ostina a chiedere, ancora: chi? Come? Perché? Sono quegli ottntun giubbotti-salvagente che lo chiedono.
- Valter Vecellio. Capaci, 23 maggio 1992. Giovanni Falcone, le cose da ricordare - 23 Maggio 2021
- Valter Vecellio. Ambasciatore Attanasio, delitto dimenticato? - 24 Aprile 2021
- Valter Vecellio. Grazie Alessandro, che la terra ti sia lieve - 4 Ottobre 2020