
Se ne sono accorti perfino dalle parti di Forza Italia. Una pattuglia di parlamentari “azzurri” ha preso atto che la situazione nei cento e passa istituti di pena italiani supera di molto il limite di guardia: «Assistiamo quotidianamente a un decadimento delle condizioni di vita in carcere a cui sono sottoposti detenuti e agenti di polizia penitenziaria, a cominciare dallo stato di difficoltà e di abbandono in cui si trova talvolta la sanità penitenziaria», si legge in un’interrogazione urgente al ministro Alfonso Bonafede, firmata da Roberto Cassinelli, Giorgio Mulé, Roberto Bagnasco e Manuela Gagliardi; e ancora: «Il numero di detenuti morti nelle carceri italiane per suicidio, malattia, overdose e ‘cause non accertate’…è in costante aumento dal 2016 a oggi. I detenuti nelle carceri italiane si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere».
Chissà se, e quando, verrà la risposta; e che risposta sarà.
Nel frattempo dati, “notizie” che non necessitano di commento. Negli ultimi dodici mesi i detenuti sono cresciuti di 2.500 unità, superano i livelli di guardia del 2011. Nel 2018 si sono tolti la vita 65 detenuti; dall’inizio dell’anno già tre morti anche tra il personale di custodia. Nel solo carcere napoletano di Poggioreale nel 2018 i suicidi sono stati quattro. Siamo insomma tornati a quella disumanità, per cui l’Italia è stata condannata, nel 2013, dalla Corte di Strasburgo. Né vale l’affermazione ricorrente: costruire nuovi penitenziari. Ne servirebbero almeno una quarantina, investimento minimo di un miliardo di euro, e servirebbero per dismettere quelli cadenti attuali. Nelle sue dimensioni il problema resterebbe immutato, senza considerare che i tempi di costruzione sono biblici. Nel frattempo? Particolare: al 31 gennaio le persone in attesa di primo giudizio erano 9.933: quasi esattamente il numero eccedente la capienza massima delle nostre celle.
Più in generale, la questione del sovraffollamento: raggiunge livelli intollerabili, sostanzialmente sovrapponibili a quelli antecedenti la sentenza Torreggiani, con la quale, nel 2013, la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento inumano e degradante dei detenuti, per la sistematica violazione degli standard minimi di vivibilità all’interno delle celle. In tutti i penitenziari italiani ci sono 60.125 detenuti a fronte dei 50.550 posti disponibili. Nei 190 istituti di pena del Paese sono stati 60 i suicidi lo scorso anno. Uno dei casi limite la situazione nel carcere di Poggioreale: registra una presenza di 2.351 detenuti, a fronte di una capienza regolare di 1.635 persone. Nella casa circondariale napoletana nel 2018 si sono registrati ben quattro suicidi e numerosi episodi di tensione. Stessa situazione a Secondigliano: a fronte di 1.020 posti ci sono 1.456 detenuti stipati nelle celle. Ancora: si apprende che sono almeno un centinaio le persone detenute, nella sola Milano, con un’invalidità certificata. Il dato emerge da un progetto di inclusione socio-sanitaria e lavorativa realizzato dal Consorzio Sir, battezzato “Gli invisibili: la disabilità fra carcere e territorio”. Nato un paio d’anni fa grazie a risorse del Programma Operativo Regionale e del Fondo Sociale Europeo, “Gli Invisibili” si propone una serie di obiettivi: realizzare tirocini lavorativi part time di tre mesi presso le cooperative sociali del Consorzio, soprattutto nel settore manutenzione del verde e pulizie; laboratori di agricoltura sociale e artigianato artistico dentro al centro clinico del carcere di Opera destinati ai detenuti disabili; percorsi di accoglienza temporanea in appartamenti protetti, con personale specializzato nell’assistenza a persone con disabilità.
Il centinaio di segnalazioni arrivate in due anni di lavoro riguardano sia disabilità fisiche (52 per cento), che psichiche (27 per cento) e miste (21 per cento). Un primo dato colpisce: non esiste monitoraggio sistematico del fenomeno delle persone con disabilità in carcere; l’ultima rilevazione del Dipartimento amministrazione penitenziaria nel 2016 individuava 628 casi, sparsi sull’intero territorio nazionale. Un dato probabilmente sottostimato, scivolate nell’oblio dell’invisibilità – come recita il titolo del progetto – a causa di uno stato di salute fatto di incompatibilità con la carcerazione, mancanza di strutture in grado di accoglierli pienamente, carenza di operatori che li accompagnino nelle attività, fatica a usare i servizi igienici e a lavarsi come tutti gli altri. A Milano le segnalazioni sono arrivate da tutti e tre gli istituti penitenziari per adulti, oltre che dal territorio dell’area metropolitana dove ci sono detenuti che scontano la pena in misura alternativa: il 44 per cento dal carcere di Opera, il 17 per cento dalla Casa di reclusione di Bollate, 9 per cento dalla Casa circondariale di San Vittore, il 25 per cento dall’Ufficio di esecuzione penale esterna, con il restante 5 per cento segnalato invece dagli enti locali coinvolti – i comuni di Milano e Cesano Boscone.
Come s’usa dire, signor ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: se c’è, batta un colpo!