
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti – il Jobs act – nella parte, non modificata dal decreto dignità, che determina in modo rigido l’indennità che spetta al lavoratore ingiustificatamente licenziato.
Cosa prevede l’articolo 3 del Jobs act
Di fatto per il lavoratore licenziato in modo ingiusto il Jobs act prevede un’indennità e dunque un risarcimento di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità, entro un limite minimo di quattro mesi di stipendio e massimo di ventiquattro mesi. Se per esempio fosse stato giudicato illegittimo un licenziamento di un lavoratore a tutele crescenti con 4 anni di servizio, questi avrebbe ricevuto un risarcimento di 8 mesi di stipendio. L’articolo 3 recita “salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”.
Le modifiche del decreto dignità
Il decreto Dignità, approvato ad agosto scorso, ha modificato solo una minima parte dell’articolo: è stato rialzato il limite minimo e massimo dei risarcimenti rispettivamente a 6 a 36 mesi. L’impianto generale non è stato cambiato: dunque l’indennità è legata all’anzianità di servizio. E la Consulta contesta proprio questo: la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio è contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza.
Fratoianni, leader di Sinistra Italiana: “la dignità del lavoro non è questione di anzianità”
“La Corte Costituzionale conferma un principio che dovrebbe essere ovvio, e che doveva essere ovvio anche per chi ha costretto gli italiani a sopportare gli effetti del JobsAct : licenziare senza causa un lavoratore assunto da un mese o da vent’anni è uguale, perché la dignità non è questione di anzianità”, afferma il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni. “I principi di ragionevolezza e di uguaglianza – prosegue il leader di SI- oltre al dettato costituzionale non sono un optional. Solo il Pd poteva non rendersene conto”. “Ora c’è solo una cosa da fare, e il M5S dovrebbe ascoltarci a differenza di quanto ha fatto nei mesi scorsi – conclude Fratoianni – serve ripristinare l’ articolo 18 per tutte e tutti”.
Laforgia, LeU: “incostituzionale anche la monetizzazione stessa dei licenziamenti”
“La Consulta boccia il jobs act nella parte che riguarda il criterio per determinare le indennità di licenziamento. Per me dovrebbe essere dichiarata incostituzionale la monetizzazione stessa dei licenziamenti. Aver eliminato l’art.18 è stato un grave colpo alla dignità del lavoro per mano del Governo Renzi”, dichiara il senatore di LeU Francesco Laforgia, componente dell’ufficio di Presidenza. “Se questo Governo vuole fare qualcosa di buono ripristini quella parte dello statuto dei lavoratori che non è stata inserita nel decreto dignità. Altrimenti quelle di Di Maio sono solo chiacchiere”, conclude.
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