
Cosa significa la parola crescita? L’esempio più chiaro è quello che riguarda un bambino. Quando nasce pesa tanto, è alto tanto. Poi cresce. Una volta si usava scrivere le date relative alla crescita mese per mese, poi anno per anno, infine da adulto affari suoi. Se nel percorso invece di aumentare di peso diminuisci significa che qualcosa non va. Vai dal medico e ti dà la cura per riprendere peso, crescere. Elementare, direbbe Sherlock Holmes. Forse vale per tutti ma non per l’Istat e i grandi media che si abbeverano a fonti non limpide. Strilla Renzi Matteo e, insieme ai ministri Padoan e Poletti, detta la linea. Crescita è la parola magica, deve comparire su tutti i giornali. E “Repubblica” non si fa pregare. Assume la leadership e titola “Torna la crescita”. Non è vero, non è corretto. Ma serve a Renzi Matteo per inveire contro i gufi e trovare largo spazio nei media. Consideriamo il Pil come il nostro bambino.
Il Pil nel 2007 valeva circa 1700 miliardi ora ne vale 1547. Il reddito nel 2016 inferiore alle previsioni
Nel 2007,prima della crisi valeva circa 1.700 miliardi. Nel 2015 i miliardi sono 1547, sotto anche al livello del 2000. E se il Pil non sale, usiamo pure la parola crescita, in questo caso si può, ma non c’è, per dirla volgarmente, trippa per gatti. Né per ridurre le tasse, né per investire 2miliardi e mezzo nella ricerca scientifica, nuovo, esilarante, annuncio del premier. I dati statistici più recenti indicano che nel 2016 la crescita del reddito nazionale italiano sarà inferiore a quanto previsto nei mesi scorsi e che anche la crescita dei prezzi sarà minima. Facciamo finta di niente, facciamo finta che i nostri colleghi abbiano letto male i dati Istat. Non sono superiori alle previsioni. Quel +0,8 è inferiore a quel +0,9 indicato dal governo nel Documento di economia a finanza che aveva rialzato un precedente +0,7 perché gli serviva per avere l’approvazione della Ue che non è arrivata. Altra distrazione degli scriba riguarda il numero degli occupati. Anche editorialisti di gran nome ci sono caduti, sparando aumenti che non ci sono e quindi titoli dei media fasulli con 70 mila posti in più a gennaio 2016. Molto più consistente annuncia una scriba del quotidiano di Largo Fochetti che sta per imparentarsi con la Stampa, De Benedetti-Marchionne, bella accoppiata nel nome della libertà dell’informazione, l’aumento degli occupati rispetto al gennaio 2015.
Ogni mese l’Istat indica l’aumento di 400 mila occupati. Fantasie. Il ruolo della decontribuzione
E torna quel numero che circola: ogni mese 426 mila occupati in più. In calo gli occupati a tempo indeterminato, 28 mila unità. Gli “indipendenti”, forse voleva dire lavoro autonomo, calano di 149 mila unità. Merita una parola di commento? Neppure per sogno. Proviamo a fare qualche calcolo. Non c’è dubbio che parte dei posti di lavoro dipendente sono stati creati da trasformazioni di partite iva, co.co.pro, collaborazioni occasionali in posti di lavoro subordinato. La decontribuzione ha giocato un ruolo molto forte, altro che Jobs act. Ma si dirà che il saldo fra l’incremento degli occupati dipendenti e il crollo degli occupati indipendenti è ancora positivo (+299mila). Il trucco c’è e si vede, questo numero vale se il confronto avviene con il mese di gennaio 2015. Se invece si tratta dell’estate scorsa, oggi – nota sul Sole 24 ore Luca Ricolfi, non un pericoloso estremista – “siamo sopra di soli 50mila occupati, e se il termine di paragone è agosto 2015, la serie destagionalizzata dell’Istat registra appena 4mila occupati in più: insomma, fra agosto 2015 e gennaio 2016 l’occupazione totale appare sostanzialmente invariata”. Dov’è la crescita? Non c’è. E siccome siamo clementi non accuseremo l’Istat di aver nascosto un dato che in precedenti uscite aveva comunicato. Si tratta dei voucher, buoni che consentono il lavoro nero o giù di li, nel 2015 circa un milione sono circolati sul mercato del lavoro. Ci si meraviglia infine del fatto che l’aumento dell’occupazione si è verificato fra i lavoratori in età 50-64 anni mentre è in aumento netto la disoccupazione giovanile. Si chiede la solita scriba se si tratta di una crescita che si deve probabilmente, in buona parte, all’aumento dell’età pensionabile. Tolga pure il “buona parte” e il “forse”, si tranquillizzi, è dovuto alla riforma Fornero.
La lotta all’evasione fiscale? Per ora si tratta di accertamenti. Ma quanto entrerà nella casse statali?
Fra i tanti dati resi noti uno riguarda gli “straordinari”, così dicono i renziani, risultati nella lotta all’evasione fiscale, con un recupero di ben 14,9 miliardi. Si vuol dire che nelle casse dello Stato sono entrati questi miliardi? È chiaro che si lascia credere perché è solo l’annuncio delle evasioni contestate. Come è noto passa un lungo tempo prima del recupero dell’evasione e finisce sempre con un compromesso. L’evasore paga un terzo, anche un quarto, magari a rate, della somma richiesta. Se qui miliardi fossero già entrati, e tutti, ci sarebbe da far festa. Per carità di patria sorvoliamo sull’elogio rivolto sempre da Repubblica agli imprenditori italiani, tanto bravi, si fanno un nome all’estero. Scrive un tal Roberto Mania che se le esportazioni sono cresciute del 4,3% lo si deve ai nostri imprenditori, “non è solo merito del governo in carica che pure c’è”. Ci mancava . “Sono i nuovi capitalisti italiani – dice lo scriba – che hanno fatto bene il loro mestiere,spesso lontano dalla ribalta”. Sarà bene ricordare che taluni di questi “nuovi capitalisti” vanno all’estero dove pagano salari miseri, chiudono le attività in Italia, mettono i lavoratori in cassa integrazione. A noi, comunque risulta che le esportazioni verso paesi extra Ue, sono diminuite di 495 milioni . Non lo dice un gufo. Lo dice l’Istat. Figuriamoci.
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