
A 75 giorni dalle elezioni del 20 dicembre 2015, il cui esito fu definito “italiano” per la frammentazione del quadro politico, la Spagna si ritrova ancora senza un governo. Pedro Sanchez, leader socialista e premier incaricato dal re per la formazione del nuovo governo, dopo l’abbandono del leader popolare Rajoy, ha presentato al Congresso dei deputati un accordo tra Psoe e Ciudadanos, forte di appena 130 seggi sui 350 complessivi. Ed è stato sconfitto: 131 i voti favorevoli, 219 i contrari. Secondo il dettato costituzionale spagnolo, restano 58 giorni per approvare un governo, altrimenti si va alle elezioni legislative anticipate, fissate per il 26 giugno.
Sanchez sperava in un appoggio di Podemos per un governo del cambiamento, lo aveva implorato, prima presentando una bozza di accordo, rinviata al mittente, perché giudicata un “rozzo copia e incolla” dell’accordo con Ciudadanos, e poi direttamente in Aula, sia nel primo discorso di mercoledì, che nelle successive repliche. Podemos, con Pablo Iglesias, ha invece ribadito testardamente la necessità di un governo delle sinistre. Il segretario generale del Psoe è così il primo leader spagnolo che non ha ottenuto la fiducia della Camera nel corso della storia democratica del Paese. Ha giocato piuttosto male le sue carte. Certo, ha incassato la fiducia di Ciudadanos, partito centrista con appena 40 deputati, ma ha intrapreso una pessima partita a scacchi con Podemos, forte di 69 deputati. Tra Sanchez e Iglesias è andato in scena un dialogo tra sordi. Anche solo aritmeticamente, un accordo tra Psoe e Podemos parte da 159 o 160 voti (considerando l’indipendentista che ha già votato per Sanchez), appena 16 meno della maggioranza assoluta. In secondo luogo, se Sanchez avesse voluto un appoggio esterno di Podemos, avrebbe dovuto chiederlo esplicitamente in un patto aperto e trasparente. In terzo luogo, davvero nessuno in Spagna ha compreso le ragioni di dare priorità a Ciudadanos piuttosto che a Podemos.
Che succede ora? Intanto, sabato 5 marzo, il re Felipe VI è ridiventato protagonista della scena politica. Ha convocato per lunedì il presidente della Camera Lopez, e ha intenzione di compiere un terzo ed ultimo giro di consultazioni, prima di affidare l’incarico ad un’altra personalità politica. Il re è pressato dalle autorità europee, e da singole cancellerie, che vorrebbero scongiurare un voto anticipato, che potrebbe dare lo stesso risultato del 20 dicembre. Perciò, a questo punto, le alternative sembrano due: o un governo di Grande Coalizione tra socialisti e popolari, ma senza i due leader, Rajoy e Sanchez, oppure un governo tecnico di transizione – alla Monti, lo chiamano in Spagna.
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