Pensioni, il nuovo piano del Governo è uno scandalo: con queste regole smettere di lavorare è impossibile
Sono previsti, tra qualche anno, nuovi aumenti dell’età anagrafica per andare in pensione. Più si campa, più si lavora, questa è la realtà.
Sono in molti quelli che, ogni anno, provano a fare due conti per cercare di capire quanto tempo ancora dovranno lavorare.
Il problema, però, è che ogni anno, per l’appunto, le regole di accesso all’età pensionabile possono cambiare, pertanto assai spesso questi calcoli lasciano il tempo che trovano. Non è facile stabilire, se non a breve termine, a che età si andrà in pensione per vecchiaia. Lo si può stabilire, forse, sino al 2026, dato che – se non cambia qualcosa nel frattempo – l’accesso pare congelato ai 67 anni.
Dopo quella data, infatti, ripartiranno gli aumenti dell’età di accesso alla quiescenza, i quali sono dovuti al progressivo aumento della speranza di vita. Un trend, quest’ultimo, che aveva subito una battuta di arresto a causa del Covid ma che, adesso, ha ripreso la sua normale progressione.
Si stima che dal 2027, anno dopo anno, l’età pensionabile dovrebbe aumentare pertanto progressivamente, di circa due o tre mesi per anno, per giungere – nell’arco di tre decenni – a superare i 70 anni suonati. Un problema serio per i post-millennials.
Più difficile smettere di lavorare prima
Ma il problema non è soltanto dato dal fatto che l’agognata quiescenza, col tempo, si allontana sempre di più. Esiste infatti un ulteriore aspetto da sottolineare, ossia il fatto che cercare di anticipare la pensione è sempre più difficile. Anche nel 2024. Si pensi ad esempio ai requisiti necessari per la pensione anticipata contributiva a 64 anni.
Per quest’anno infatti, non solo sono necessari venti anni di contributi versati, ma deve essere rispettato anche un ulteriore requisito, peggiorativo rispetto al 2023. Se lo scorso anno l’assegno previdenziale doveva almeno essere superiore di 2,8 volte l’assegno sociale, per il 2024 il rapporto è passato a 3 a 1.
Inflazione e metodo contributivo
Il metodo contributivo, come è noto, consiste nel considerare, come montante da trasformare in rendita pensionistica, il totale dei contributi versati. Un sistema certamente sostenibile, ma che produce nel tempo assegni sempre più leggeri, e ciò per due ordini di motivi almeno.
Il primo motivo è legato all’inflazione, che ad esempio in questi ultimi anni è risalita, e che erode le somme accantonate, le quali sono calcolate su salari non al passo con il costo della vita. L’altro motivo è l’elevato precariato, che si traduce in vite di lavoro estremamente frammentate, con “buchi” contributivi molto ampi e pertanto impossibilitate a garantire al pensionando assegni che consentano di vivere una vita dignitosa.