Festival di Cannes 2021. Il primo evento cinematografico mondiale dopo la pandemia si risveglia “Woke”

Festival di Cannes 2021. Il primo evento cinematografico mondiale dopo la pandemia si risveglia “Woke”

Ripartenza del Cinema e della vita al Festival di Cannes 2021 (6-17 luglio) dopo più di un anno di pandemia e di chiusura delle sale, con un’edizione marcata dallo spirito “Woke”: un risveglio sempre più progressista, secondo il nome di un movimento nato in America contro il razzismo e tutte le diseguaglianze sociali e differenze di genere, una sfida culturale contemporanea ritenuta invasiva da qualcuno, espressa attraverso l’elezione di Joe Biden.

Due personalità di spicco legate al Festival di questa 74esima edizione, che incarnano a loro modo questo movimento: Spike Lee, primo afroamericano nella storia del Festival a presiedere la giuria. Un uomo, un artista che è l’incarnazione e il simbolo di una lotta contro il razzismo e la sottomissione delle donne. Omaggiato con il grande poster a lui dedicato, in riferimento al suo primo film “Lola Darling” (1986), pioniere del citato movimento Woke e più che mai d’attualità. Altra icona di questa lotta, l’attrice-regista-produttrice Jody Foster, sempre in pima linea in difesa dei diritti delle donne, che riceverà a Cannes l’ambita Palma d’Oro alla Carriera. La prima volta che ha salito i 24 gradini del famoso red carpet aveva tredici anni al fianco di Brian de Palma per Taxi Driver, Palma d’oro 1976.

Sono 24 anche i film della competizione ufficiale. I francesi si ritagliano la parte del leone, con sette film selezionati. Film d’apertura, «Annette», un musical con Adam Driver e Marion Cotillard, che segnerà il ritorno, dopo dieci anni, del regista francese Leos Carax, autore di alcuni dei momenti più poetici del cinema francese degli ultimi 35 anni, come “Les Amants du Pont neuf “ del 1991. Un attimo di magia prima d’immergersi in tematiche più scottanti. Su un piano, meno “romantico” nel senso tradizionale, un altro francese habitué di Cannes, Jacques Audiard tenterà (sei anni dopo aver ricevuto la Palma d’Oro con «Dheepan») la doppietta con «Les Olympiades» (Paris 13th District), cronaca in bianco e nero degli amori “pansessuali” — termine emergente – dei giovani d’oggi. Girato in piena pandemia, nel cuore di Parigi racconta la storia di tre ragazze e un ragazzo, che ridefiniscono le relazioni affettive e sessuali nel XXI secolo, senza tabù, frontiere e barriere convenzionali, il film è ispirato a un fumetto americano intitolato “Morire in piedi”. Uno “choc” sulla Croisette. Nella serie degli eterni ritorni, cinque anni dopo «Ma Loute», Bruno Dumont torna a Cannes con «France», film ispirato al poeta Charles Péguy, con Léa Seydoux, che interpreta una giornalista con i denti affilati, caduta in disgrazia. Léa Seydoux sarà la star di questa edizione, protagonista in ben quattro film attraverso le diverse sezioni parallele. Quattro anni dopo «l’Amant double», François Ozon affronta il tema dell’eutanasia con «Tout s’est bien passé», tratto da un romanzo sul tema del fine vita, con Sophie Marceau, Géraldine Pailhas e André Dussollier: un padre chiede alla figlia di aiutarlo a morire recandosi in Svizzera. Morte e amore, le due “mammelle” del cinema…

L’omosessualità femminile sarà al centro di due opere, attraverso il tempo e dalle due parte delle Alpi. Il primo “la Fracture” di Catherine Corsini con Marina Foïs, Pio Marmaï et Valeria Bruni-Tedeschi, è realizzato nel clima della crisi dei Gilet Gialli, a Parigi. Il secondo, “Benedetta”, del regista olandese Paul Verhoeven, famoso per aver realizzato Basic Instinct, è ambientato nel primo seicento in Italia. Un profumo di scandalo sulla Croisette! La pellicola girata in Toscana è tratta dalla storia vera della religiosa Benedetta Carlini vissuta tra la fine del XVI secolo e il XVII secolo. La giovane costretta dalla miseria a entrare in convento e avrà una relazione saffica con un’altra monaca. La “suora lesbica” è interpretata dell’attrice francese Virginie Efira.

Abitualmente ispirata a Pier Paolo Pasolini e Federico Fellini, la giovane regista francese in competizione, Julia Ducournau, notata nel 2016 per «Grave», apporta un brivido d’horror e fantascienza con «Titane», una storia di famiglia e di crimini inspiegabili, con un inquietante Vincent Lindon dotato di una protesi al titanio.

Unica presenza italiana nella selezione ufficiale “Tre piani” di Nanni Moretti, che ha vinto nel 2001 la Palma d’Oro con “La Stanza del figlio”, un film che evoca un’atmosfera di confinamento. La pellicola prende ispirazione dall’omonimo libro dell’israeliano Eshkol Nevo, il cui titolo si riferisce ai tre piani di un condominio e alle tre storie, dolorose e simboliche. Storie borghesi, spostate come ambientazione, dalla periferia di Tel Aviv a Roma. I fatti personali si intrecciano ai fatti sociali. Scritto da Nanni Moretti con Federica Pontremoli e Valia Santella, riunisce un cast corale. È interpretato, oltre che dallo stesso Nanni Moretti, da Riccardo Scamarcio, Margherita Buy, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Elena Lietti, Denise Tantucci, Alessandro Sperduti, Anna Bonaiuto, Paolo Graziosi, Tommaso Ragno e Stefano Dionisi.  Il film arriverà nelle salle italiane il 23 settembre.

Un altro regista italiano protagonista a Cannes è Marco Bellocchio, il suo documentario, presentato fuori concorso, “Marx può aspettare”, il prossimo 16 luglio, in contemporanea dal 15 anche nelle sale italiane. Un documentario intimo, personale, che parte dal dramma del gemello Camillo suicidatosi nel 1968 a 26 anni e sull’elaborazione di questo lutto, per diventare quasi un’indagine su un’epoca storica. “Una storia totalmente autobiografica, ma che vuole essere universale” come ha precisato il regista, che riceverà la Palma d’onore alla Carriera, tra i più importanti riconoscimenti assegnati durante la manifestazione.

Ritornando al concorso, “prestigio mondiale oblige”, sono in competizione anche film del resto del mondo. “Héros” dell’iraniano Asghar Farhadi, vincitore di due premi oscar, (“Una Separazione”, 2011 e “Il Cliente”, 2016), tratta un tema forte: il carcere per un debito nell’Iran dei nostri giorni.

 “Memoria” del tailandese Apichatpong Weerasethakul, vincitore della Palma d’Oro “guidato da una silenziosa follia”, trasmette la sua attrazione intima sull’esotismo e la bellezza dei paesaggi della Colombia e delle Ande, attraverso il personaggio  di una coltivatrice di orchidee, interpretata dall’inglese Tilda Swinton con la francese Jeanne Balibar.

Meno contemplativo «Nitram», dell’australiano Justin Kurzel, che ritorna con un thriller sul massacro di Port Arthur nel 1996: un killer che uccise a colpi d’arma da fuoco 35 persone. Tratta il tema delicato  della vendita delle armi e di una strage di massa. Un grande sforzo del Festival per mantenere un prestigio all’altezza della sua reputazione si nota anche per la presenza inedita da decenni di due film africani insieme nella selezione ufficiale. La partecipazione del Marocco, assente da 60 anni dalla competizione, con Nabil Ayouch («Haut et Fort») e del Ciad con il regista Mahamat-Saleh Haroun («Lingui»), che parla della drammatica situazione delle donne in un paese dove l’aborto è moralmente e legalmente condannato. Almina e sua figlia Maria vedranno il loro mondo già fragile cadere a pezzi.

Temi sociali anche nelle opere del russo Kirill Serebrennikov («Petrov Flu»), dell’ungherese Ildiko Enyedi («l’Histoire de ma femme»), del giapponese Ryusuke Hamaguchi («Drive My Car»).

Per finire Nadav Lapid, cineasta israeliano, Orso d’oro a Berlino nel 2019, partecipa con «le Genou d’Ahed», sulla solitudine dell’artista. Il belga Joachim Lafosse presenta «les Intranquilles» e il finlandese Juho Kuosmanen («Compartment n° 6»), porta sul grande schermo un romanzo di Rosa Likson.

Ma la nostalgia è un altro pianeta che esplorano Mia Hansen-Love con «Bergman Island», sulle tracce di Ingmar Bergman sull’isola di Farö e l’americano Wes Anderson in “The French Dispatch” sull’espatrio di tre scrittori americani a Parigi nel XX secolo. Un cast stellare (Benicio del Toro, Adrian Brody, Mathieu Almaric e Léa Seydoux) per il maestro del manierismo e dell’estetismo.

Ma il nostro mondo era più bello prima?  Dipende… È certo che la pandemia ha inasprito il divario di genere, le diseguaglianze e le ingiustizie.

Dalla nostra corrispondente a Cannes, Laura Damiola

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