
Il terzo incontro (27 maggio) del ciclo di seminari promosso dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL dal titolo: “Istruire è Educare” ha visto come protagonista il prof. Mauro Ceruti, docente di Filosofia della complessità all’Università Iulm di Milano e autore di importanti saggi sulla teoria della complessità, della quale può essere considerato in Italia uno dei pionieri. Si è trattato di una lezione magistrale di alto profilo animata da una viva partecipazione ai problemi critici della scuola e dell’Università, centrata sul cambiamento di prospettiva e la necessità di orientare di nuovo la cultura realizzando una generale riforma del sapere, che risponda alle sfide dei grandi cambiamenti di paradigma che negli ultimi decenni hanno modificato il senso del rapporto dell’uomo con la Natura e il Cosmo. Sembra proprio che, dopo il cartesianesimo e la rivoluzione scientifica, che hanno inaugurato il Moderno, sia necessario operare una nuova conversione del sapere, superando i limiti dei comparti specialistici, e le convinzioni radicate circa la duplicità tra scienze umane e scienze naturali, effetto anche di derive e di mentalità settoriali non disponibili al rinnovamento della visione globale e dell’azione pedagogico-didattica secondo un nuovo paradigma. La riflessione filosofica, che ha offerto molti spunti di discussione e aperto percorsi possibili per una critica degli idola theatri, per usare un’espressione baconiana, e il rilancio del valore dell’istruzione-educazione con una visione strategica che affronti le sfide della relazione educativa nel tempo della complessità, dei cambiamenti veloci e di portata planetaria, della relativa indipendenza della tecnica che non può più considerarsi come applicazione della scienza ma ha guadagnato una sua autonomia e un forte dinamismo di sviluppo con enormi ricadute sulla vita sociale, l’economia e le basi stesse del sapere. Si tratta di procedere ad una revisione complessiva dei nostri saperi e degli atteggiamenti di fronte alle articolazioni disciplinari caratterizzate dalle iper-specializzazioni per cercare l’ubi consistam della realtà contemporanea, che lasci scorgere la fisionomia di un sapere transdisciplinare in cui operino nuovi concetti circolari, diversi da tutte le astrazioni precedenti.
La realtà contemporanea è stata inaugurata dall’antropocene. L’attacco della lezione magistrale è stata la constatazione che viviamo in un mondo che ci appare incomprensibile soltanto perché è estremamente complesso. Si tratta di un mondo nuovo, le cui coordinate ci sfuggono. Il compito affidatoci è di conseguenza quello di pensare la complessità. In altri termini, non dobbiamo essere indifferenti rispetto al mondo, nei termini dell’invito gramsciano che è l’assunzione di un compito educativo e civile. Gli uomini di oggi debbono abitare la complessità e sforzarsi di comprendere il destino comune. La crisi cognitiva in cui versiamo è quella del sapere parcellizzato, che risulta disarmato rispetto alla complessità. Anche le modalità di apprendimento debbono mutare in funzione di questo obiettivo. L’orizzonte democratico è messo alla prova dalla sfida della complessità. Bisogna, secondo Ceruti, rendersi conto che il nostro tempo è il tempo dell’interdipendenza, tessuto di parti composte in un’unità, La crisi del presente che non è soltanto economica ma interessa tutti gli ambiti ed è legata alla complessità della nostra civiltà.
Le grandi rivoluzioni del XX secolo, la fisica quantistica, la teoria della relatività, la teoria dei sistemi e la biologia hanno prodotto dei grandi cambiamenti nello statuto epistemologico del sapere. Tutto appare connesso e interdipendente in circolarità. L’interdipendenza dei sistemi complessi ci pone di fronte all’insorgere di eventi imprevedibili. Piccole cause danno luogo a grandi effetti. Questo scenario costituisce una sfida alle istituzioni educative che sono costrette a modificare radicalmente i loro assunti e ci fanno fare ingresso in una condizione antropologica in cui è protagonista la potenza tecnologica e l’interdipendenza planetaria.
Si tratta di un passaggio d’epoca in cui molti fattori, quali quelli biologici, fisico-chimici si connettono ai fattori tradizionalmente legati al concetto di civiltà. Abbiamo così un’entità planetaria interdipendente con lo sviluppo delle iniziative umane. Il termine che coglie meglio questo passaggio è Antropocene, che esprime la complessità che pone al primo posto la terra come unico sistema dinamico e al secondo posto le azioni di cambiamento umano. In questo approccio bisogna sempre avvicinarsi agli eventi con una ricerca multicausale, nell’intreccio di locale e globale, per affrontare questo groviglio inestricabile (il relatore si è richiamato al “groviglio inestricabile” di C. E. Gadda e alle Lezioni americane di I. Calvino per illustrare questo punto). Nella situazione attuale natura e cultura sono una cosa sola. L’antroposfera sostiene una biosfera antropogenica. Si tratta perciò di problematizzare la scienza, di prendere atto della complessità della scienza. La scienza moderna si era emancipata dalla teologia e per secoli la scienza, la ragione, la democrazia e la giustizia viaggiavano insieme. Ma il cambiamento epocale intervenuto ha interrotto questo viaggio comune. La scienza si sviluppa a velocità elevata. Il pensiero ha il compito di interpretare la scienza, che ormai è diventata la tecno-scienza. Il dominio tecnico si è posto al servizio dell’economia, la chimica e la genetica si rapportano alla ricerca del profitto e la tecnologia non è più un’ancella della scienza. La teoria dei quanti, della relatività, gli sviluppi della genetica hanno determinato straordinari sviluppi tecnologici. Prima la tecnica seguiva la ricerca scientifica. Adesso la tecnologia anticipa la scienza. Si sviluppa autogenerandosi come un organismo vivente. Non si può più pensare il rapporto scienza-tecnica come relazione tra l’invenzione e la sua ricaduta tecnica. La tecnologia oggi preme sulla vita, investe l’antropologia e la cultura. La tecnoscienza è la protagonista della scena. Un’educazione critica deve misurarsi con il cambiamento della tecnoscienza. La natura, in questo contesto, è diventata responsabilità umana. Il rapporto tra uomo e natura è stato messo in discussione e trasforma l’identità umana. Diventa dunque essenziale una nuova cultura etica e politica della responsabilità umana per affrontare problemi come la biodiversità del pianeta, i costituenti genetici e la stessa identità biologica. Questi aspetti hanno messo in crisi l’etica moderna (kantiana, laica e illuministica), la certezza in una condizione umana stabile e la concezione di un agire prossimo all’azione e controllabile, per la potenza inedita delle nuove tecnologie. Si deve riconoscere che la tecnica non è neutrale né per l’uomo né per la natura. Il Bene riguarda ormai anche la natura e i viventi, non soltanto i rapporti tra gli uomini. La tecnologia è sempre più biotecnologia, genera condizioni di mutamento climatico e pone in crisi gli ambiti dell’educazione e della politica. Bisogna elaborare una visione in grado di prendere atto che non è più l’homo sapiens che trasforma la terra e intendere il vero senso del cambiamento dell’Antropocene, l’epoca attuale in cui l’ambiente terrestre, nelle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana. Ciò costringe ad abbandonare il paradigma tecnocratico, che spesso si associa con il paradigma neoliberista. Mentre crescono disparità e disuguaglianze, bisogna pensare ad una nuova condizione umana, cioè pensare la complessità e mutare strategia. Per quanto riguarda il sapere la crisi cognitiva è prodotta dalla crisi educativa e la produce. Spesso è il risultato della deriva del pensiero unico, antropogenico. L’ostacolo maggiore non è l’ignoranza (superata dall’accessibilità alla conoscenza) ma l’approccio alla stessa formulazione dei problemi, cioè riguarda la stessa conoscenza. Bisogna rendersi conto che la specializzazione non è in grado di cogliere e interpretare i problemi attuali, perché non si muove nelle dimensioni interconnesse. L’università e la scuola non ci insegnano a collegare le conoscenze. Così le soluzioni offerte dal paradigma tecnocratico diventano il problema, perché frazionano ciò che è interconnesso e paralizzano la comprensione e l’azione, la capacità di esercitare la cittadinanza e di agire. Il sapere critico va oltre gli specialismi. Questo passaggio costituisce per Ceruti la sfida principale per l’educazione: mutare l’apprendimento e il sapere paradigmatico, non i programmi. La stessa scuola pubblica e l’educazione alla cittadinanza è in rapporto con la sfida della complessità, che è quella della nuova condizione umana e planetaria. Il problema di un aggiornamento delle conoscenze non si risolve implementando l’introduzione delle tecnologie dell’informazione, che modificano le forme della vita quotidiana, le relazioni interpersonali ma costruendo delle teste ben fatte (il riferimento è al celebre testo di E. Morin, La testa ben fatta, trad. it. Cortina, Milano 2000).
Si tratta di superare il divario tra i problemi planetari e lo stato attuale delle conoscenze e dei processi educativi. La pedagogia diffusa è isolante e parcellizzante, non rende consapevoli, Una risposta errata è l’opzione neoliberista e populista, intesa come bandiera di salvezza rispetto alla situazione globale. Si tratta invece di affrontare sul serio la sfida culturale per colmare questo divario in campo educativo e farne l’asse della riforma epocale della scuola e dell’educazione alla cittadinanza.
Educare alla complessità significa pertanto tenere insieme l’unità e la molteplicità, il planetario e il locale. In ambito scolastico questo conduce alla convinzione che sia necessario prendere, superando l’arretratezza della scuola, coscienza dei bisogni emergenti, legati anche alla nostra identità multipla e alla dimensione interculturale in cui viviamo. Nel perseguire l’unità di istruzione ed educazione l’approccio pedagogico ed epistemologico necessario, anche per una efficace educazione alla cittadinanza, è quello del deutero-apprendimento (G. Bateson), dall’imparare da ciò che si sa, trovare soluzioni a problemi nuovi e porre nuove domande, insomma la riscrittura dei problemi, secondo il nuovo paradigma della complessità. Gli educatori debbono essere consapevoli che lo studente apprende a scuola una minima parte di ciò che apprende nella sua giornata. La maggior parte lo apprende senza filtro interpretativo sui media. Resta vero che le opportunità di apprendimento si sono moltiplicate, ma anche diversificate fino a diventare eterogenee, quasi incompatibili. Bisogna tener conto che gli spettri di attenzione e di stimolazione neurologica nei bambini presentano uno spettro largo, che ci sono appartenenze diverse e ambiti multipli di apprendimento, multiculturalità e uno spazio multilinguistico, in cui la diversità gioca un ruolo importante come fattore di apprendimento multilinguistico. Dal punto di vista epistemologico non è possibile separare la socializzazione dalla consapevolezza nell’istruzione. Bisogna anzi rendersi conto che la socializzazione rappresenta un processo istitutivo e non complementare dell’istruzione-educazione, in cui si attua una cogeneratività reciproca. Impossibile soltanto accennare ai molti altri spunti di approfondimento riguardanti l’economia, la politica, la scienza, la cultura, la pedagogia presenti nella lezione del prof. Ceruti, che ha proposto una risposta impegnativa al problema della condizione umana di fronte alla crisi della biosfera e al rischio della complessità.
- Massimo Piermarini. La ricetta di Piketty per ridurre le disuguaglianze, luci e ombre - 10 Dicembre 2021
- Massimo Piermarini. Valore, ricchezza, lavoro. Percorsi di lettura da Moishe Postone a Oskar Negt alla riscoperta della teoria critica di Marx - 20 Settembre 2021
- Massimo Piermarini. Il lavoro come costruzione sociale - 19 Luglio 2021