
L’ipotesi di un bluff di Nicola Zingaretti è svanita nel giro di poche ore, il segretario dimissionario ha chiarito che un suo ripensamento non esiste, che il suo passo indietro – anzi “di lato”, come ha precisato – è reale e non prevede un bis su acclamazione all’assemblea del 13 e 14 marzo, come tutti invece ieri pensavano. Il presidente del Lazio fa sul serio, almeno così racconta chi ci ha parlato, e adesso il parlamentino Pd che si dovrebbe riunire tra una settimana rischia di trovarsi davvero senza bussola. Tanto che, nonostante la presidente Valentina Cuppi continui ad indicare la data del prossimo weekend per l’assemblea, in parecchi mettono addirittura in dubbio che si possa confermare l’appuntamento, in assenza di un’intesa su come procedere. Da statuto, le possibilità sono solo due: o si elegge un nuovo segretario – che potrebbe essere lo stesso Zingaretti se solo fosse disponibile – o si convoca il congresso, facendo decadere tutti gli organismi dirigenti. La seconda strada è impraticabile per ovvi motivi: sarebbe difficile spiegare che si organizzano i gazebo per le primarie appena pochi giorni dopo il decreto del governo che rinvia le amministrative all’autunno. Ma, con Zingaretti fuori dai giochi, è complicato anche eleggere un nuovo segretario, anche perché nessuna delle varie correnti del partito era preparata a questa evenienza. Andrea Orlando, attuale vice, è ministro del Lavoro e comunque, spiega un esponente della segreteria “è una figura divisiva, difficilmente sarebbe accettato dalle altre aree di maggioranza, a cominciare da quella di Dario Franceschini”. Circola allora l’ipotesi di Roberta Pinotti, tra le altre, ma in uno schema che prevedrebbe comunque un mandato “a tempo”, anche se non previsto dallo statuto. Una segretaria che dovrebbe gestire il partito fino alla fine dell’emergenza sanitaria, per poi dimettersi e convocare il congresso a fine 2021. Anche in questo caso, però, non si tratta di un percorso semplice. A inizio 2022, infatti, scade il mandato di Sergio Mattarella e sono in molti a dubitare che si possa fare un congresso tra le amministrative e l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Non a caso, nei colloqui frenetici di queste ore, si starebbe persino valutando di richiamare in servizio magari un “padre nobile” del Pd, una figura che possa in questo momento essere di pacificazione e che abbia anche l’autorevolezza per guidare il partito in una fase assai delicata e per un periodo che potrebbe non essere brevissimo, anche se magari non fino al 2023, data della scadenza naturale di questa assemblea nazionale: si sente parlare di Walter Veltroni, di Romano Prodi, ma sono al momento solo parole in libertà, voci da un partito oggettivamente colto alla sprovvista dalla mossa di Zingaretti. Quello che è certo è che l’ala più vicina a Zingaretti ritiene che ormai serva un chiarimento definitivo con quella che viene definita la corrente del “torna a casa Renzi”.
Spiega uno dei parlamentari vicini al leader dimissionario: “Dobbiamo mettere fine all’ipocrisia, serve un chiarimento vero sui temi sollevati da Nicola”. C’è la tentazione di guardare anche fuori dal Pd, Marco Miccoli, della segretaria, su twitter rilancia lo slogan “piazza grande” con il quale Zingaretti si candidò alla guida Pd. “Questa discussione non riguarda solo noi ma tutta la sinistra nel paese”. Parole che sembrano riecheggiare quelle pronunciate ieri sera da Pier Luigi Bersani in tv a ‘Piazzapulita’: “Non si può pensare di uscire da questa situazione con i vecchi attrezzi, serve un progetto politico nuovo”. La sensazione è che l’ala sinistra del partito ritenga ormai impossibile la convivenza con quella che viene considerata la “Quinta colonna” di Matteo Renzi nel partito e che ci si voglia muovere per arrivare appunto ad un “chiarimento definitivo” con quell’area, definita “solo di ceto politico”. Rompe il silenzio anche Stefano Bonaccini, l’uomo indicato come possibile candidato di Base riformista al prossimo congresso, ma solo per dire che lui non appartiene a “nessuna corrente” e per assicurare che lui si augura un ripensamento di Zingaretti, che lui “stima”. Zingaretti, per ora, rinnova la tessera del Pd e chiarisce che non smetterà di fare politica. “Per quanto riguarda me – assicura – la questione non è quella di un mio ripensamento: non è un tema di ripensamento che non c’è e non ci sarà. Piuttosto penso debba essere il gruppo dirigente a fare un passo in avanti nella consapevolezza di avere un confronto più schietto, franco e plurale ma anche solidale sul ruolo del Pd, sui valori di riferimento, sulla nostra idea dell’Italia e dell’Europa. Io non ce l’ho fatta ad ottenerlo, perché più che il pluralismo ha prevalso la polemica. Ho fatto dunque un passo di lato. Spero che ora questo confronto sia possibile”. Si vedrà nelle prossime ore se il confronto sarà possibile o se servirà un rinvio dell’assemblea per trovare una soluzione che permetta di uscire dallo stallo.
Le Sardine in supporto di Nicola Zingaretti
L’incontro è avvenuto questa mattina a largo del Nazareno, sede nazionale del PD. La presidente del partito Valentina Cuppi ha accolto con molto entusiasmo l’iniziativa. “Quello delle sardine – ha spiegato la presidente Cuppi – è un approccio combattivo ma molto costruttivo. Io sono entrata in questo partito con l’idea lanciata da Nicola Zingaretti in piazza grande per un partito vicino alle persone connesso con la vita delle persone e che sappia dare voce a chi vuole averla: sia delle persone che stanno all’interno del partito, militanti che lavorano nei territori sia di chi ancora non ne vuole far parte o non vorrà farne parte”. “Noi dobbiamo esser capaci di costruire un cambiamento e un campo progressista che sappia essere inclusivo e attraente”, conclude la presidente del PD. Il leader delle Sardine Mattia Santori è intervenuto in un punto stampa prima di entrare nella sede di partito. “Ci siamo stancati della politica fatta dagli schermi e visto che noi siamo stati da sempre quelli che hanno fatto politica col corpo e la faccia siamo qui”, cosí Santori. “Noi facciamo parte del campo progressista e chiediamo che si apra una fase costituente, ma non per il Pd ma per tutte le persone, in migliaia, che aspettano da anni di partecipare e di creare una nuova fase”, ha proseguito Santori. “Il problema di adesso – ha aggiunto il portavoce del movimento 6000 sardine – non è Draghi o Zingaretti, il problema è che noi tutti non siamo riusciti a costruire in quindici anni un’iniziativa credibile per il Paese e per la politica, come associazioni, come movimenti, come cittadini perché ci innamoriamo delle nostre etichette e non vogliamo partecipare a una ricostruzione”. “Siamo qui per dire al PD che deve sapere se ci sarà dentro questa fase di ricostruzione se vuole essere il perno di un campo allargato oppure se vuole arroccarsi come ha fatto in questi anni. Il problema non sono le etichette, le Sardine così come il Pd possono morire domani, ma l’idea che si presenta e questo manca. Dopo un anno non è cambiato niente” ha concluso Mattia Santori.
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