Valter Vecellio. In ricordo di Mauro Mellini, al quale questo Paese deve più di qualcosa…

Valter Vecellio. In ricordo di Mauro Mellini, al quale questo Paese deve più di qualcosa…

Provo a descriverla per come l’ho stampata nitidamente nella mente. Chissà chi l’ha scattata, quella fotografia, e chissà in quale archivio è finita. È il 1 dicembre 1970. La Camera dei deputati approva la legge n.898, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, quella che comunemente diventa la legge Fortuna-Baslini (il primo, Loris, è un parlamentare del PSI; l’altro, Antonio, del PLI). La Democrazia Cristiana, il Movimento Sociale, la Sudtiroler Volkspartei, il Partito di Unità Monarchica si sono ferocemente opposti alla legge, fortissimamente voluta da uno schieramento laico-progressista composto da PSI, PSIUP, PCI, PSDI, PRI, PLI.

Quella sera, ad attendere i risultati della votazione finale, una folla con torce, cartelloni, striscioni. Ancora è consentito manifestare attorno ai palazzi del Potere; è il popolo dei “cornuti”, come si sono autobattezzati: donne e uomini le cui unioni non hanno retto, e che si sono trovati altri affetti, altri amori, altre unioni. Oggi sembra normale: se due persone a un certo punto non trovano più una ragione e una sintonia, possono legalmente interrompere il loro percorso, e cominciarne un altro. Non sempre è stato così: c’era il delitto d’onore; la “prova del letto caldo”; e l’indissolubilità del matrimonio. Indissolubilità formale, perché pagando c’era sempre una compiacente Sacra Rota vaticana che annullava il matrimonio con i pretesti più vari. Numerosi, i casi di parlamentari democristiani e missini, contrari al divorzio, che si erano potuti creare nuove famiglie, annullando il precedente matrimonio: magari per impotenza e incapacità di procreare, anche se avevano messo al mondo (e riconosciuto) più di un figlio…

Torniamo alla fotografia di quel 1 dicembre: è calata la notte. Montecitorio illuminato; e tra i volti di quella folla ne spiccano quattro: Loris Fortuna; un giovane Marco Pannella che con la sua altezza da corazziere sovrasta un po’ tutti; un battagliero avvocato civilista, Mauro Mellini; e una donna popolana nel senso vero della parola, una trasteverina quando a Trastevere viveva quell’umanità descritta in tanti film in bianco e nero tipo Poveri ma belli. La donna: si chiama Argentina Marchei; alta un metro e sessanta, corpulenta. Avete presente la Augusta Proietti moglie di Alberto Sordi in Le vacanze intelligenti? Ecco, un tipo così. Una signora il cui marito va a cercare fortuna in Sud America e non se ne sa più nulla. Lei incontra un altro uomo, si vogliono bene, nascono dei figli; vorrebbero uscire dalla condizione di “pubblici concubini” che dura da ben 54 anni, essere una famiglia normale. Tra i cartelli di quella sera, uno dice tutto: “Argentina Marchei ha vinto, Paolo VI ha perso”. La donna piange calde lacrime di gioia e di commozione. Finalmente il sogno di una vita si può concretizzare. Al fianco di quella donna, l’avvocato: Mellini. È lui, assieme a Pannella, il deus ex machina di un movimento che in pochi mesi raccoglie migliaia di adesioni: la LID, Lega per l’Istituzione del Divorzio. Entrambi radicali, hanno compreso che se si vuole vincere occorre creare un fronte di “unione” laica delle forze, ed è così che si trovano fianco a fianco personalità che solitamente militano su fronti opposti: dai comunisti Umberto Terracini e Fausto Gullo, ai socialisti Giacomo Mancini e Riccardo Lombardi, dal liberale Giovanni Malagodi al socialdemocratico Giuseppe Saragat, al repubblicano Ugo La Malfa… Il supporto “pubblicitario” (anche qui, giova ricordarlo), prima ancora che dal settimanale progressista L’Espresso, di Eugenio Scalfari, viene assicurato da ABC, un settimanale stampato con carta a risulta, zeppo di “donnine”, le prime che mostrano qualcosa in più del ginocchio, e con grande parsimonia, qualche capezzolo. Lo dirige un giornalista dimenticato, Antonio Sabato. Apre le sue pagine alla LID, e la tiratura “esplode”: centinaia di migliaia di copie, rivela un’Italia sommersa, che non si sospettava esistesse.

Quando per la prima volta i radicali si presentano alle elezioni nel 1976, è uno dei quattro eletti, con Emma Bonino, Adele Faccio e Marco Pannella. Garantista ventiquattromila carati, sono infinite le lotte che ha animato e condotto, in nome della giustizia giusta: nelle aule del Parlamento; a palazzo dei Marescialli, eletto al Consiglio Superiore della Magistratura; e nei tribunali di mezza Italia. E una quantità di pubblicazioni. Mi limito a citarne alcune: Così annulla la Sacra Rota; Le sante nullità (che svela le ipocrisie di tanti antidivorzisti che hanno fatto ricorso a quell’istituzione per sciogliere i loro matrimoni); 1976 Brigate Rosse, operazione aborto; Il giudice e il pentito; La bancarotta della giustizia; Il partito dei magistrati; Eminenza, la pentita ha parlato. Quest’ultimo libro aveva particolarmente colpito Leonardo Sciascia: “Un libro che offre la narrazione di un caso che può riassumerli tutti e servire da esempio riguardo ai pericoli, alle ingiustizie, alle vergognose strumentalizzazioni che certe leggi comportano…un amaro e tempestivo divertimento, tanto tempestivo che si può considerare, come nelle prediche di San Bernardino, un esempio da aggiungere alle inutili prediche che alcuni – il sottoscritto compreso – hanno fatto contro la legge sui pentiti votata dal Parlamento italiano…”.

Da tempo Mauro si era staccato dai suoi antichi compagni. Con Marco Pannella era entrato in dura polemica; si era opposto con tutta la sua “vis”, alla svolta transnazionale del Partito Radicale. Tenace, grintoso, spigoloso e insieme tenero e affettuoso… difficile descriverlo. A volte feroce: è giunto ad accusare Pannella di essere bramoso solo di “fare scena”, di “appagarsi di inconcludenti provocazioni”… Si capisce, nella foga della polemica accade che si dica quello che non si pensa, e non si pensi a quello che si dice. Vale, quello che Mauro disse nell’apprendere della morte di Marco: un giudizio che pur nel dissenso fa trasparire affetto e amicizia: “Marco, in vita ed in morte, ha avuto quello che voleva e sapeva imporre: una attenzione quasi religiosa, in un mondo ateo e materialista, alle sue idee ed ai suoi proclami. Il suo carisma si è imposto alle più alte personalità. Devo dire che io ho avuto il torto di pretendere da lui un ruolo ed una concretezza politica, un’azione coerente per una nuova forza liberale, progressista laica che rompesse la tenaglia cattolico-comunista. Ho avuto torto perché Pannella non era, in effetti, un “uomo politico” né “politica” erano le cose per le quali sacrificava la salute, la qualità della vita, le amicizie e gli affetti. Parlava ai politici ed alla politica, come hanno fatto nel passato profeti e persone consacrate alla religione. Ed è per questo, e malgrado questo, che non può dirsi che Marco abbia fallito. Ed è per questo che la rottura della nostra amicizia, tanto dolorosa per me, che ha voluto far seguire al dissenso, era, in fondo giustificata.  Il torto, lo ripeto, era mio: non lo avevo capito, pretendendo ancora una volta coerenza e concludenza politica. Da non politico che rispettava la politica e ad essa parlava, è stato un personaggio di irripetibile qualità e rilievo che la storia non potrà ignorare. Ma questo è anche il motivo di un più grande dolore per la sua scomparsa. Nessuno potrà proseguire la sua opera e chiunque dirà di farlo, in fondo, gli recherà offesa. Marco è stato ascoltato, non è stato capito proprio da chi gli era più vicino”.

Ecco: per certi versi si può dire che Mauro, parlando di Marco, parlava anche, soprattutto di se stesso… Grazie di tutto Mauro; che la terra ti sia lieve.

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