
Dopo mesi di silenzio, complice anche il lockdown mondiale per la pandemia, la questione migranti torna prepotentemente sotto i riflettori. Mentre in Italia si solleva il polverone sulla Nave Jonio, fatta sbarcare ieri in Sicilia con un piccolo cluster di Coronavirus tra i migranti (otto su 43 sono risultati positivi al tampone), in pieno Mediterraneo si alza la tensione tra i 180 a bordo della Ocean Viking che da quasi una settimana non trovano un porto in cui approdare. La situazione sulla nave sta diventando di ora in ora più ingestibile e almeno cinque persone hanno già tentato il suicidio, due gettandosi in mare. A lanciare l’allarme, nelle prime ore della mattina, è stato Frédéric Penard, direttore operativo di Sos Mediterranee: “Siamo di nuovo lasciati in un limbo senza alcuna indicazione di un porto per lo sbarco”, scrive.
I 180 a bordo sono stati salvati dal suo team in cinque giorni e in quattro diverse operazioni nelle regioni di ricerca e soccorso maltese e italiana. Nonostante le numerose richieste alle autorità marittime italiane e maltesi, (cinque fino alla mattina del 2 luglio), la nave non ha ancora un porto di sbarco. Alcuni dei 180 sopravvissuti sono in condizioni precarie in mare da più di otto giorni: “Questa situazione è inaccettabile”, tuona l’Ong che denuncia una mancanza di solidarietà da parte dell’Unione europea, nonostante l’accordo di Malta. Un silenzio che ha implicazioni dirette sui migranti a bordo, che hanno rischiato la vita per “sfuggire alla violenza e agli abusi nella Libia devastata dalla guerra: le tensioni a bordo della nostra nave stanno aumentando, con diversi sopravvissuti che minacciano di buttarsi in mare”. Molti, fanno sapere, hanno subito ustioni da sole e da carburante durante il tempo trascorso su imbarcazioni non adatte alla navigazione in mare aperto, una persona ha dovuto essere evacuata dopo il peggioramento delle sue condizioni di salute e a bordo c’è una donna incinta. I sopravvissuti hanno raccontato che, in un centro libico, le guardie hanno picchiato un sopravvissuto sulla gamba con un bastone d’acciaio fino a rompergli il piede: “Innumerevoli persone ci hanno detto che hanno tentato più volte di fuggire dalla Libia, sono state intercettate dalla guardia costiera libica in mare e riportate in detenzione in un circolo vizioso senza fine”.
Sulla nave Jonio, in difesa dei migranti sbarcati ieri in Sicilia, interviene Mediterranea Saving Humans: “La pandemia non fa purtroppo distinzione e non conosce i confini e si è evidentemente propagata anche nel continente africano ed in Libia in modo massiccio. Questo impone un intervento umanitario di soccorso che preveda l’evacuazione dai campi di prigionia libici dove le condizioni igenico-sanitari disastrose rischiano di trasformare quei luoghi in un focolaio senza precedenti”. E comunque, fa presente l’organizzazione, un’emergenza non esclude l’altra: “Senza navi da soccorso in mare le persone muoiono a migliaia nel Mediterraneo centrale. In assenza di soccorsi da parte dei governi le navi della società civile non possono fermarsi, adesso meno che mai. Far morire le persone in mare non può essere un metodo di prevenzione e contenimento del virus. È un discorso inaccettabile”.
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