
Continuano ad aumentare i casi di coronavirus in Italia, dove nelle ultime 24 ore si registrano 229 nuovi positivi (ieri erano 193) dei quali 119 nella sola Lombardia. Ancora in calo i decessi rispetto a ieri: 12 i morti, che portano il numero complessivo a 34.926. Sono questi i numeri del bollettino resi noti oggi dal Ministero della Salute. In totale i contagiati da inizio Covid-19 sono 242.363. Il numero di guariti oggi è in diminuzione a 338, per un totale di 193.978. Cala di 28 il numero di ricoverati (871), mentre si riduce di 2 il numero dei ricoverati nelle terapie intensive, ora sono 69. Il numero delle persone in isolamento domiciliare è di 12.519, con un calo di 106 rispetto a ieri. Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati 52.552 tamponi. Sette le regioni italiane che non hanno registrato nuovi positivi oggi: si tratta di Puglia, Umbria, Sardegna, Valle d’Aosta, Calabria, Molise e Basilicata.
Continuano a crescere i numeri della pandemia da coronavirus a livello planetario
Questa mattina il “contatore” della Johns Hopkins University, uno dei più autorevoli a livello mondiale, segnala il superamento dei 12 milioni di contagi dalla scoperta del Covid-19 in Cina alla fine dell’anno passato. Per la precisione, le diagnosi di positività ad oggi sono in totale 12.041.480, di cui 6.586.742 tornate negative. Attenzione però: per una percentuale ancora non definita ma comunque significativa di queste, il termine “guarigione” rischia di essere un beffardo eufemismo. La medicina si è ormai resa conto che spesso il superamento dell’infezione da SARS-CoV-2 lascia in chi l’ha subita uno strascico anche molto pesante con conseguenze che vanno oltre la fine della polmonite. “I tempi di osservazione ristretti non permettono di avere dati certi, ma il danno polmonare determinato dalla malattia potrebbe non scomparire alla risoluzione della polmonite”, avverte sul sito della Fondazione Umberto Veronesi Luca Richeldi, direttore del dipartimento di pneumologia del Policlinico Gemelli di Roma e membro del comitato tecnico scientifico della Protezione Civile, per il quale “l’infezione polmonare da coronavirus può lasciare un’eredità cronica sulla funzionalità respiratoria. A un adulto, in media, potrebbero servire da 6 a 12 mesi per un recupero funzionale, che non è detto però che sia sempre completo”. Il Covid ha inoltre causato, sempre a livello planetario, 549.468 vittime. Le Americhe rappresentano l’epicentro della pandemia: gli Stati Uniti, con oltre 3 milioni di casi confermati, sono il Paese più colpito dal virus, seguito dal Brasile con circa la metà dei contagi degli USA. Gli Stati Uniti, dove a maggio tutti e 50 gli Stati federati hanno parzialmente riaperto le attività, stanno fronteggiando una ripresa delle infezioni, con la Florida, la California e il Texas che hanno battuto nuovi record di contagi giornalieri. Nella sola Florida i casi confermati superano i 10.000 al giorno e i 200.000 in totale. La situazione è catastrofica ma il quadro reale dei contagi potrebbe essere addirittura peggiore.
Altems: oltre 3,3 miliardi persi per ricoveri mancati causa emergenza
Si conferma notevole l’impatto economico per il SSN dell’emergenza COVID-19. Si registra una perdita di ricoveri non-COVID oltre i 3,3 miliardi di euro. Mentre la nuova analisi di scenario relativa ai costi per il trattamento dei casi positivi guariti e/o deceduti mostra che il costo stimato per il SSN dei casi (guariti o deceduti) varia da un minimo di 687 a un massimo di 1.568 milioni. È stata anche aggiornata la stima dei costi per giornate in terapia intensiva. Date le 185.527 giornate di degenza (al 7 luglio, dati Ministero della Salute) in terapia intensiva, ed assunto un costo giornaliero medio di 1.425 euro, il costo totale a livello nazionale si stima di quasi 264 milioni. Sono alcuni dei dati emersi della 15/ima puntata dell’Instant Report COVID-19. L’analisi riguarda tutte le 21 Regioni e Province Autonome con un focus dedicato alle Regioni in cui è stato maggiore il contagio (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Lazio). Per quanto riguarda la ricerca del virus attraverso i tamponi, si osserva che il trend nazionale persiste in discesa: rispetto alla settimana scorsa, in Italia il tasso per 100.000 abitanti è passato da 5,57 a 5,19. Relativamente al tasso settimanale di nuovi tamponi, i valori più alti di tamponamento vengono registrati nelle regioni del nord (PA di Trento, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia ed Emilia-Romagna). Il valore più basso viene registrato nella Regione Campania (2,10). Nella maggior parte delle Regioni solo una minoranza dei casi accertati di COVID-19 risulta diagnosticata a partire dai test di screening. Nella maggior parte delle Regioni la quasi totalità dei casi accertati di COVID-19 risulta diagnosticata a partire dal sospetto clinico.
Possibile la trasmissione in gravidanza
La trasmissione del virus SarsCov2 da madre a figlio durante la gravidanza potrebbe essere possibile: pesanti indizi emergono da due casi al centro di uno studio italiano, condotto su 31 donne che hanno partorito tra marzo e aprile. Lo ha realizzato l’Università Statale di Milano con l’Ospedale Sacco, il Policlinico San Matteo di Pavia e l’Ospedale San Gerardo di Monza. I risultati, condivisi sul sito medRxiv, sono presentati alla conferenza su Covid-19 nell’ambito del congresso Aids 2020. “I neonati sono tutti sani, ma in due casi abbiamo trovato dati che suggeriscono fortemente che sia avvenuta la trasmissione del virus”, spiega Claudio Fenizia, ricercatore della Statale di Milano che illustra i risultati in una conferenza stampa virtuale intervenendo subito dopo il noto virologo americano Anthony Fauci. “Il primo bimbo, nato prematuramente da una madre con una forma di Covid molto severa, è risultato positivo al tampone per 7-10 giorni: sia la placenta che il sangue del cordone ombelicale sono risultati positivi al virus. Il secondo bambino, figlio di una mamma con pochi sintomi, è stato positivo al tampone per poche ore dopo la nascita e presentava la placenta positiva: la cosa più preoccupante è che aveva sviluppato anticorpi IgM, dunque doveva essere stato esposto direttamente al virus, probabilmente due settimane prima”. Delle 31 neomamme, solo una aveva il latte positivo al virus. “Finora sapevamo dalla letteratura scientifica che c’erano stati dei casi con latte positivo, così come una placenta di un aborto positiva al virus e due neonati con anticorpi, ma il nostro studio – precisa Fenizia – è il primo a tracciare un quadro completo delle condizioni di mamma e bambino al momento del parto, perché oltre ai tamponi naso-faringei abbiamo raccolto il sangue materno, quello del cordone ombelicale, la placenta, il liquido amniotico, il tampone vaginale e il latte”. Lo studio ha analizzato anche la presenza di molecole pro-infiammatorie nel sangue di alcune mamme infette e dei loro neonati. “Abbiamo trovato uno stato infiammatorio molto marcato anche nei bambini e questo è un dato preoccupante che andrà approfondito, per valutare le possibili conseguenze soprattutto nei casi in cui il coronavirus colpisce la donna nei primi mesi di gravidanza, mentre finora abbiamo visto solo i casi più prossimi al parto”.
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