
Nell’esteso panorama delle riflessioni critiche sul modello economico-sociale che si è globalmente imposto, e specificamente nel contesto italiano, quelle relative alla sanità richiamano da tempo la mia attenzione. Non è quindi l’attuale pandemia, che sta mettendo in crisi arroganti sicurezze e distorte finalità del modello neo capitalistico, ad avermi indotto alle considerazioni che seguono – in me avvalorate e rese più incollerite anche da un vissuto personale – semmai il Covid 19 ha avuto infatti su di me il solo effetto di farmi superare la pigrizia nello scrivere. Ritengo quasi superfluo, per la rilevanza delle molte motivazioni, giustificare questa attenzione a prescindere dall’attuale emergenza, anche se essa esasperando il sistema ne evidenzia la crisi di valori e le carenze funzionali.
La salute come diritto
La salute non è solo un diritto fondamentale come afferma la Dichiarazione Universale del 1948, la nostra Costituzione, il sentire di ogni persona, è una conditio sine qua non per il godimento di ogni altro valore e diritto individuale e collettivo. A fronte di questa eccezionale prerogativa occorre recuperare la novità e ricchezza della nostra Carta che riconosce rango costituzionale non solo ai diritti di libertà, civili e politici, ma anche ai diritti sociali, con piena consapevolezza che tra le due tipologie di diritti non solo non vi è contrapposizione ma, al contrario, i primi costituiscono una premessa indispensabile per l’esercizio pieno ed effettivo dei secondi. Il riconoscimento e la garanzia dei diritti fondamentali della persona umana e il suo pieno sviluppo sono il valore fulcro e al contempo il fine che il sistema costituzionale assegna ai pubblici poteri. Basta richiamare l’articolo 3 che sancisce “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale” e che impone ai pubblici poteri “di rimuovere gli ostacoli di ordine economico, politico e sociale che pregiudichino il pieno sviluppo della persona umana”. Attraverso la costituzionalizzazione la garanzia dei diritti sociali s’iscrive tra i valori fondanti e condivisi della nostra comunità al pari dei diritti di libertà, in quanto entrambi costituiscono il nuovo patto di cittadinanza, democratico-sociale, tra cittadini e Stato. Garanzia, che fra l’altro, viene sottratta alla disponibilità del legislatore ordinario, alle contingenze di natura economica (art. 41), come pure agli avvicendamenti dei governi. In linea generale si può affermare che tra diritti sociali e il vincolo finanziario occorre operare un bilanciamento ineguale, nel senso che l’eventuale rilievo riconosciuto a quest’ultimo da parte del legislatore va considerato “valore-mezzo” e come tale non può intaccare il nucleo essenziale dei diritti sociali, protetti dalla Costituzione come “valore-fine”. Invertire il rapporto, come purtroppo spesso è avvenuto, non è coerente con il quadro dei principi costituzionali.
Non c’è dubbio che i diritti sociali fondamentali, pur avendo un carattere processuale per l’incessante evolversi delle condizioni di riferimento (sociali, culturali, produttive, tecnologiche, ecc), vanno concepiti e strutturati come universali, cioè garantiti e realmente agibili in modo equanime e con le stesse caratteristiche qualitative a tutti e su tutto il territorio nazionale. Questa visione è espressa nella Carta all’articolo 32 che impegna la Repubblica a garantire la salute come diritto inviolabile del singolo e interesse della collettività.
Il diritto alla salute nel nostro sistema è delineato dunque come:
- diritto fondamentale, in quanto premessa necessaria sul piano biologico, ancor prima che giuridico, alla piena realizzazione della persona umana a garanzia dell’integrità psico-fisica dei cittadini;
- diritto universale, proprio di tutte le persone fisiche (cittadini, stranieri, clandestini) che per qualsiasi motivo si trovino nel nostro paese a prescindere dalle loro condizioni personali e sociali;
- diritto collettivo, come interesse dell’intera comunità organizzata. La tutela della salute come diritto collettivo può consentire la limitazione dei diritti dei singoli, anche di rango costituzionale, giustificando ad esempio l’imposizione legislativa di trattamenti sanitari obbligatori per taluni soggetti (art. 32.2) oppure la libertà di circolazione delle persone sul territorio nazionale (art. 16);
- diritto in senso dinamico, come confermato espressamente dalla legge istitutiva del S.S.N. Il diritto alla salute contemplato dalla Costituzione non è solo l’assenza di malattie, ma consiste nel benessere psico-fisico comprendendo la prevenzione dalle malattie, la sicurezza alimentare, la cura della disabilità e degli anziani non autosufficienti.
La traduzione operativa della garanzia e della promozione della salute, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione, si è concretizzata solo nel 1978 con la legge 833, che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale concepito quale struttura in grado di assicurare un reale sistema di tutela della salute globale, uguale per tutti. Infatti in tale norma all’art. 1 il S.S.N. viene definito il “complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L’attuazione del Servizio Sanitario Nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini” (art. 1, l. 833/1978). Un’ampiezza del concetto di salute ulteriormente chiarito dall’art.2 che individua gli obiettivi da perseguire, una lettura illuminante che riporto in coda a questo testo.
Le criticità di un sistema sbagliato
Alla luce di questi richiami costituzionali è importante soffermare lo sguardo su ciò che sta avvenendo nella lotta al Covid 19 perchè ogni condizione di stress evidenzia limiti e carenze che rimangono nascoste e sottaciute nella situazione di normalità. La realtà presenta inevitabilmente luci e ombre. Tra le prime colpisce l’atteggiamento di tutti gli operatori, interni al sistema ed esterni (no profit e volontariato). La dimostrazione di generosità, disponibilità, competenza e capacità è stata grande, ma la direi piuttosto frutto del substrato valoriale e culturale del sistema sanitario come era stato concepito, quasi un recupero identitario della vecchia missione di servizio solidaristico verso la forma più acuta di debolezza sociale, quella della malattia. Una dedizione che spicca ancor più in un quadro di riferimento interno ed esterno inadeguato. Tra le molte e rilevanti ombre non mi soffermo sulle incertezze e i compromessi messi in luce dal Governo, perché con l’estemporanea maggioranza con cui è stato varato, credo che fosse quasi impossibile fare di meglio. Molto più preoccupante mi è parso il comportamento ondivago e contraddittorio dei livelli territoriali. Mi preme di più invece porre l’attenzione sui gravissimi limiti dimostrati dalla struttura sanitaria odierna. Per rimanere al livello più immediato, come è possibile che dopo due mesi rimanga un problema irrisolto un adeguato reperimento di ventilatori, di tamponi e perfino di mascherine, soprattutto quelle per il personale sanitario? Come si può giustificare che ad oggi non sia ancora stato raggiunto l’obiettivo di raddoppiare i letti di terapia intensiva, a cominciare dalle regioni che si vantavano della loro sanità virtuosa? Non è forse inammissibile che tuttora si sia incapaci di organizzare un servizio che eviti la mostruosità delle morti in assoluto isolamento, quello del paziente come quello dei suoi familiari?
A un livello più complesso, fra le molte criticità che richiedono approfondimenti, ne indico intanto due. Mentre sono sotto esame e variamente criticati i tentennamenti e le diversità dei comportamenti della politica, sono rimasti tuttora nell’ombra quelli non meno gravi di importanti associazioni imprenditoriali o di talune organizzazioni sportive – in testa il calcio – che in nome di un’autonomia, mal concepita e permessa, hanno favorito la rapida diffusione del contagio. Ennesima conferma di una classe dirigente del Paese di basso profilo. E inoltre, esclusi i provvedimenti restrittivi, tutto lo sforzo d’intervento contro la pandemia è stato di natura terapeutica, rivolto cioè a fronteggiare il contagio conclamato. Ma è totalmente mancata la parte preventiva, che come suggerito da qualche epidemiologo, avrebbe dovuto puntare sulla identificazione tempestiva dei soggetti contagiosi e al loro isolamento, esteso a tutti i loro contatti. Ciò avrebbe quasi sicuramente consentito di individuare e arginare i molti contagiosi asintomatici.
È quello che stanno cercando di fare ora alcune, ancora poche, strutture locali che si muovono sul territorio.
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