Londra. Brexit. La Camera dei Comuni boccia elezioni anticipate per il 12 dicembre. E il premier Johnson accetta l’estensione al 31 gennaio 2020

Londra. Brexit. La Camera dei Comuni boccia elezioni anticipate per il 12 dicembre. E il premier Johnson accetta l’estensione al 31 gennaio 2020

La Camera dei Comuni ha respinto stasera la mozione presentata dal governo britannico di Boris Johnson per ottenere le elezioni politiche anticipate il 12 dicembre. Il mancato sì dell’opposizione laburista ha impedito di raggiungere il necessario quorum dei due terzi, come già in due altre occasioni. Al governo Tory resta però ora la strada di sostenere la nuova proposta di altri 2 partiti d’opposizione, LibDem e Snp, per andare al voto il 9 dicembre modificando a maggioranza semplice da domani la legge vigente sulle elezioni. E il premier britannico Boris Johnson ha scritto al presidente del Consiglio Ue Donald Tusk confermando che Londra accetta il rinvio della Brexit al 31 gennaio prossimo accordato dall’Unione europea, ma invita la Ue ed escludere un ulteriore rinvio oltre quella data. I rappresentanti di Francia, Germania, Irlanda e gli uomini del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, hanno lavorato durante il week-end per delineare con precisione le condizioni di questo terzo rinvio della Brexit: primo, l’Accordo di recesso (quello nella nuova versione, dopo l’ultima proposta di Londra) non verrà rinegoziato; secondo, Londra consentirà agli altri 27 paesi membri di incontrarsi senza il Regno Unito e discutere del futuro dell’Ue già da ora; terzo, il governo britannico dovrà nominare formalmente un candidato commissario, se la nuova Commissione europea si insedierà prima del recesso del Regno Unito. Ora, è pressoché certo che il Regno Unito non riuscirà a lasciare l’Ue prima dell’insediamento del nuovo Esecutivo comunitario, il primo dicembre. Anche il governo di Londra, dunque, come gli altri 27 Stati membri, dovrà proporre un suo commissario designato a Ursula von der Leyen, perché lo prevede il Trattato Ue, e perché lo chiederà la decisione formale dei Ventisette sulla nuova proroga.

Il premier britannico Boris Johnson, prendendo la parola alla Camera dei Comuni, ha chiesto ai deputati di “votare stasera per questa mozione” che chiede elezioni generali per il 12 dicembre perché “questo Parlamento ha fatto il suo corso”. Il leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn, prendendo la parola poco dopo, ha annunciato che non sosterrà la richiesta di nuove elezioni, dicendo che non si fida di Johnson. Corbyn ha elencato quali sono per lui le condizioni per un sostegno del Labour alle elezioni: la garanzia che l’ipotesi del no deal non sia sul tavolo e fissare la data delle elezioni per legge in modo che non possa essere cambiata.

Su chi peserà il conto di Brexit quando Londra si sarà alzata da tavola per l’ultima volta?

Nel giorno in cui l’Unione europea decide di concedere al Regno Unito la terza proroga in sette mesi, un documento del governo tedesco rivelato dal Financial Times rimette sul tavolo un tema su cui gli Stati membri sono molto lontani dall’essere d’accordo: il bilancio pluriennale dell’Unione dal 2021 al 2027. Oggi Londra versa nelle casse di Bruxelles circa 14 miliardi di euro l’anno. Il giorno dopo Brexit (se mai ci sarà) il buco dovrà essere riempito e la cifra dovrà essere ripartita tra i 27. Secondo il quotidiano della City a portare il fardello più pesante sarà proprio la Germania, il cui contributo netto al bilancio della Ue aumenterebbe del 100%, passando da una quota di 15 miliardi l’anno prossimo a 33 miliardi di euro nel 2027. Conto salato anche per l’Olanda, che potrebbe passare dai 5 miliardi attuali a 7,5 miliardi alla fine del periodo. Le cifre della Commissione in realtà sono diverse, anche se non troppo distanti. L’uscita del Regno Unito dall’Unione comporterà un peggioramento dei saldi di molti contributori netti al bilancio europeo, secondo Bruxelles: la Germania passerebbe da 15,9 a 21,1 miliardi di euro annui, i Paesi Bassi da 2,7 a 3,4 miliardi, l’Austria da 1,2 a 1,8 miliardi, la Danimarca da 1,1 a 1,2 miliardi e l’Irlanda, in precedenza beneficiario netto per 0,1 miliardi annui, diventerà contributore netto per 0,8 miliardi. Al contrario, altri Paesi registrerebbero un miglioramento dei loro saldi: l’Italia, per esempio, vedrebbe ridursi il suo contributo netto di circa la metà, da 4,1 a 2,3 miliardi di euro l’anno (grazie all’aumento della quota parte delle risorse della politica di coesione, ma il calcolo non tiene conto del taglio ai fondi Pac), la Francia da 7,6 a 5,4 miliardi, la Svezia da 2,2 a 2 miliardi.

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