
La voce calma, di chi parla di qualcosa che non lo riguarda direttamente, anche se sa perfettamente cosa dice; ed è consapevole della gravità delle sue affermazioni. Centellina parola per parola: “Michele Sindona non lo ritengo un’eccezione, un qualcosa di troppo raro. Probabilmente ce n’è ancora qualcuno, in giro. Cambia il nome, cambia la faccia, ma la sostanza rimane…”. Allude a Roberto Calvi? Non occorre essere a conoscenza di particolari e riservate “notizie”, per capirlo. Ma è anche un discorso più ampio, generale: di Sindona e di Calvi, impuniti ed operanti, ce ne sono tanti…
L’intervistato si chiama Giorgio Ambrosoli: protagonista e vittima di una storia di tanti anni fa, e che è bene non dimenticare. Nel 1974 viene nominato commissario liquidatore della Banca Privata di Sindona, il finanziere legato ad ambienti mafiosi e piduisti, al centro di una colossale speculazione finanziaria. Ambrosoli, puntiglioso e caparbio, ricostruisce gli imbrogli messi in essere da Sindona e dal suo clan politico-affaristico; fa “semplicemente” il suo dovere. Per questo, per mesi, riceve minacce, intimidazioni: sempre più circostanziate, precise, “pesanti”. Lui però non cede, va avanti. Ha un senso del dovere “antico”, verso le istituzioni, la collettività, verso se stesso; un senso del dovere che gli impone di fare esattamente quello che fa. Lo sa di essere solo. Lo sa di essere “additato”; lo sa che quel “dito” lo ha indicato come bersaglio da colpire, ostacolo da spazzare via. Lo sa: ma la sera non vuole provare vergogna per quello che non ha fatto, e vuole che i figli non provino vergogna di suo padre. In Spagna persone così le chiamano “hombre vertical”. Per questo suo voler essere “uomo verticale”, che non si piega davanti alla violenza e all’ingiustizia la sera dell’11 luglio 1979 a Milano, Ambrosoli viene assassinato sotto il portone di casa. Il killer è un mafioso venuto dagli Stati Uniti, Joseph William Aricò. Nell’ambiente lo chiamano “Billy lo Sterminatore”. Il mandante è Sindona.
Arrestato nel 1982, Aricò muore il 19 febbraio 1984: precipita mentre tenta di evadere dal Metropolitan Correctional Center di Manhattan dov’è rinchiuso. Dopo il killer, è la volta del mandante: Sindona muore avvelenato nel carcere di Voghera, il 22 marzo 1986. Un caffè alla Gaspare Pisciotta. Suicidio, si stabilisce; a volerci credere c’è comunque da spiegare da dove sia venuto fuori quel cianuro: non risulta che il carcere di Voghera all’epoca disponesse di un “ufficio cianuro”, dove chi voleva poteva acquistarne una confezione; qualcuno quel veleno a Sindona glielo ha procurato. Se qualcuno ci chiede del cianuro, e soprattutto se è chiuso in cella, difficilmente lo userà per combattere i topi. Dire che Sindona è stato suicidato non è una esagerazione.
Ambrosoli alla moglie scrive una lettera che parla del coraggio di chi fa il proprio dovere, del dovere di avere coraggio. E’ una lettera che dovrebbe essere letta e “studiata” nelle scuole:
“Anna carissima, sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me, perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Unione Monarchica Italia, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti; ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del Paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allegare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto… Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi…Giorgio”.
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