
Abbiamo ancora negli occhi le drammatiche immagini di Genova, con un cronista di Repubblica, Stefano Origone, picchiato una decina di giorni fa dalla polizia mentre seguiva una manifestazione antifascista contro l’ennesimo comizio di CasaPound. Il tutto in un Paese nel quale ancora nessuno ha abolito né la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione né la legge Scelba né la legge Mancino e nel quale, pertanto, un’organizzazione del genere, dichiaratamente fascista, non dovrebbe poter esistere e, meno che mai, presentarsi alle elezioni. Il tutto in una città, Genova, medaglia d’oro della Resistenza, la stessa che nel 1960 si mobilitò con incredibile vigore contro la folle decisione del governo Tambroni, che godeva dell’appoggio esterno del MSI, di concedere la Superba per celebrare il proprio congresso.
Genova, città di lotte e di camalli, già repubblicana quando l’Italia era ancora monarchica, la città che seppe combattere fino a liberarsi da sola dal nazifascismo, la città di Taviani e di Guido Rossa, l’operaio dell’Italsider che venne assassinato nel 1979 dalle BR per aver denunciato un collega che distribuiva volantini brigatisti in fabbrica. Genova, la città che nel 2001 ha subito la mattanza della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto, con i pestaggi e le violenze disumane delle forze dell’ordine a danno di manifestanti pacifici e inermi, a margine di un G8 gestito come peggio non si sarebbe potuto dal secondo governo Berlusconi (ministro degli Interni Scajola) e segnato dagli scontri, dai saccheggi dei black block e dalla morte, in circostanze drammatiche, del giovane Carlo Giuliani. Genova, città di sangue, di lotte e di passioni civili formidabili, attualmente governata dalla destra a causa del suicidio del partito renziano ma ancora capace di opporsi a una formazione che, come detto, non ha mai rinnegato il fascismo né rinunciato ad inneggiarvi.
È in questo clima, dopo il trionfo elettorale della Lega e in uno dei momenti più difficili per la sinistra, che celebriamo quest’anno la Festa della Repubblica. Una Festa straordinaria e tragica, in un contesto di spaesamento, con le urne che incombono nuovamente e ad un anno esatto dalla nascita di questo governo, in un periodo in cui è indispensabile riaffermare i valori repubblicani e la dignità della persona, il rispetto per la libertà d’espressione e la tutela dei beni comuni. Un 2 giugno dolente, dunque, sullo sfondo di una crisi permanente, ormai sistemica, devastante nelle sue conseguenze e pericolosa per il clima fetido che ha generato. Un 2 giugno nel quale è doveroso ribadire la nostra identità, i princìpi sui quali si fonda, i nostri ideali democratici e repubblicani, il sangue che è costato tutto ciò e sfidare a viso aperto l’ignoranza di quanti considerano normale che il neofascismo abbia rialzato la testa a due passi da via Tasso a Roma o in quel di Genova.
Non basta non dimenticare: occorre, più che mai, rinforzare gli anticorpi contro la barbarie di ieri, di oggi e di sempre e respingere la marea nera che sta mettendo a repentaglio il nostro stare insieme.
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