Roberto Bertoni. Da Berlinguer al vuoto: la sfida delle nuove generazioni

Roberto Bertoni. Da Berlinguer al vuoto: la sfida delle nuove generazioni
C’è un vuoto che pervade da anni la politica italiana, un vuoto che nessuno è riuscito ancora a colmare e a cui nessuno, al momento, sembra voler porre rimedio. È un vuoto di idee, proposte, iniziative, un vuoto che grida nell’abisso di una politica ridotta a mera spartizione di poltrone, alla ricerca di un potere che, di fatto, ormai alberga altrove. In politica non è rimasto quasi niente. I partiti non sono nemmeno più quei gestori sordi di un potere per lo più poco pulito che Berlinguer denunciava nell’intervista a Scalfari del luglio ’81 bensì delle scatole vuote, senza un programma né una direzione di marcia, scalabili da chiunque abbia un minimo di denaro e la dovuta faccia tosta, camaleontici e in grado di adattarsi ad ogni contesto, mutando pelle, collocazione e posizioni a seconda della convenienza del momento.
E l’aspetto più inquietante è che, almeno in Italia, non possiamo nemmeno fare affidamento sul ricambio generazionale di cui pure ci sarebbe bisogno, per il semplice motivo che non abbiamo sangue fresco da immettere nell’immediato, come purtroppo si è visto negli anni tragici della rottamazione, i quali non sono certo stati caratterizzati da un’inversione di rotta nelle pratiche seguite, se non in senso negativo. Che fare, dunque? L’unica via d’uscita è riscoprire la nobiltà della politica, la sua straordinaria bellezza e i suoi significati più intimi e profondi. Già, ma come?
Ricorre quest’anno il trentacinquesimo anniversario della scomparsa di Enrico Berlinguer, morto a Padova l’11 giugno 1984 in seguito al malore che lo aveva colpito quattro giorni prima durante un comizio in piazza della Frutta. Ebbene, è superfluo star qui a ricordare Berlinguer, tutto ciò che ci ha insegnato, le sue riflessioni, i suoi valori, la meraviglia della sua concezione della società e dell’essere umano. È, invece, assai utile ricordare una sua frase, relativa al fatto che nessuno può salvarsi da solo, che c’è bisogno di una comunità, di un pensare e di un agire collettivo, che bisogna remare tutti nella stessa direzione, altrimenti una società si sfalda e viene meno il tessuto civico del quale, invece, c’è bisogno per andare avanti senza che nessuno resti indietro. Questa frase di Berlinguer, che ha costituito la bussola della sua vita, è l’antitesi del thatcherismo e di ciò che esso ha rappresentato, negli ultimi quarant’anni, in termini di predicazione individualista ed elogio dell’egoismo, con quell’aberrante concetto secondo cui la società non esiste e non ha senso nemmeno parlarne.
Se la sinistra italiana, a cominciare dal suo partito principale, che continua, con una certa dose di forzatura, a definisi erede del PCI, vuole ritrovare un orizzonte, un senso e una ragione di esistere non può che ripartire da qui, magari valorizzando i ventenni che, essendo cresciuti nel crogiolo ardente della crisi, danno l’impressione di aver ben presente cosa significhi essere una comunità solidale in cammino. Certo, sono inesperti e non ha senso compiere generalizzazioni ma guai a non cogliere le peculiarità di questi ragazzi, i quali non hanno nulla a che spartire con gli anni Ottanta e le loro degenerazioni, con il disimpegno, con il cedimento etico, con il trionfo della società dei consumi, più che mai “volgare e gaudente”, e con la progressiva distruzione del concetto stesso di politica.
Questi ragazzi hanno dimostrato in più occasioni che hanno voglia di buona politica, che la amano e ci credono e che, pertanto, sarebbe imperdonabile non coglierne lo spirito e la freschezza. Per far questo, non c’è dubbio che ocorrano partiti forti e accoglienti, ma soprattutto occorre il coraggio di ricostruire delle strutture che non siano meri collettori di potere né spazi alla mercé di predoni assetati di privilegi e opportunità per promuovere unicamente se stessi. Comunità, luoghi di pensiero, soggetti autorevoli e combattivi: questo è indispensabile. Disse sempre Berlinguer, parlando a cuore aperto alla parte migliore dei sessantottini: “Venite dentro e cambiateci”. Questo deve fare oggi la sinistra, se non vuole rassegnarsi al proprio invecchiamento e, inesorabilmente, al proprio declino e alla propria perdita di senso.
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