Patrizio Paolinelli. Tre domande a… Giorgio Benvenuto. Il PD ai ballottaggi, un sindacato in movimento, l’anniversario di Berlinguer

Patrizio Paolinelli. Tre domande a… Giorgio Benvenuto. Il PD ai ballottaggi, un sindacato in movimento, l’anniversario di Berlinguer

Come valuta il risultato complessivo del PD ai recenti ballottaggi per le amministrative?

Direi che è un risultato modesto ma allo stesso tempo importante perché interrompe la caduta elettorale. Tuttavia non si può indulgere in facili ottimismi perché ora il PD è chiamato a rispondere ai problemi del Paese, innanzitutto quello del lavoro. A mio parere dovrebbe avanzare delle proprie proposte finendola di discutere solo di ciò che dice Salvini. Insomma, basta col gioco di rimessa perché chi è oggi al governo non è invincibile, tutt’altro. Basta guardare al modo zigzagante con cui vanno avanti, alle risposte altalenanti, alle soluzioni improvvisate, alla mancanza di strategia. E tutto ciò mentre le disuguaglianze sociali aumentano. In questo senso il PD ha un’occasione. Ma può coglierla se si caratterizza agli occhi dei cittadini come un’alternativa. Credo che le vittorie a Livorno, a Prato e altrove vadano lette in questa direzione. Saprà proseguire questa strada il gruppo dirigente del PD? Lo spero. Al momento purtroppo mi sembra che sia ancora un po’ stordito dal dimezzamento dei voti rispetto a quattro anni fa. Sarebbe ora di riprendersi. E un modo c’è: ascoltare i cittadini. Possibile che a Roma il PD non riesca a organizzare una manifestazione per protestare contro la gestione? La città sta morendo. E non è accettabile.

Sciopero generale dei metalmeccanici il 14 giugno e il 22 manifestazione nazionale dei sindacati per il Sud. A partire da queste iniziative, come proseguire?

C’è molto da fare. Però quanto sta accadendo è importante. Si pensi alla manifestazione dei metalmeccanici: ha un grandissimo valore perché per anni sono stati divisi, addirittura hanno fatto accordi e scioperi separati. Oggi finalmente sta riprendendo quota l’idea di un discorso unitario del sindacato. E vorrei ricordare che l’unità non si raggiunge con un mero accordo tra segretari generali. Ma è anche il risultato di un movimento che direttamente o indirettamente coinvolge l’intero mondo del lavoro e con esso l’intera società. Mi sembra che la vivacità espressa dal sindacato in questi ultimi tempi – penso, tra le altre, alle manifestazioni dei pensionati e del pubblico impiego –  mandi dei messaggi chiarissimi alla politica chiedendole un ritorno al confronto per recuperare autorevolezza in Europa e nel mondo.

Si è da poco commemorato il trentacinquesimo anniversario della scomparsa di Enrico Berlinguer. Cosa pensa di questa celebrazione?

C’è troppa retorica nel ricordarlo e poi tutto viene traguardato nel senso morale. Credo che se Berlinguer non fosse scomparso così prematuramente, nell’84, si sarebbe trovata un’intesa sulla scala mobile e avremmo evitato il referendum. Invece si tenne e quella ferita non si è mai rimarginata all’interno della sinistra non facendoci cogliere le enormi possibilità che si erano aperte con la caduta del Muro di Berlino. Dunque, penso che sia giusto commemorare, ma anche ricordare le occasioni che sono state perdute. Tornando a Berlinguer, la sua strategia politica aveva condotto alla piena autonomia del PCI dall’Unione Sovietica e alla scelta del campo occidentale con la dichiarazione dello stesso Berlinguer a favore della NATO. Tutto indica che il comunismo italiano era un’altra cosa rispetto a quello al potere nei paesi del socialismo reale. Il corso delle cose poi ci ha detto che dopo la caduta del Muro di Berlino non siamo stati in grado di costituire un partito socialdemocratico a vocazione europea. Berlinguer invece aveva caratteristiche europee. Era un comunista occidentale, che sapeva quanto il PCI fosse differente dai partiti comunisti del blocco sovietico, altrimenti non avrebbe avuto il successo che ha avuto nel nostro paese. La domanda oggi è: in cosa si differenzia la sinistra?

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