
Nel Rapporto del Forum Disuguaglianze e diversità le proposte sono distinte in tre parti, una per ognuno dei tre principali meccanismi che determinano la formazione e la distribuzione della ricchezza:
• Cambiamento tecnologico
• Relazione fra lavoro e impresa
• Passaggio generazionale.
UN CAMBIAMENTO TECNOLOGICO CHE ACCRESCA LA GIUSTIZIA SOCIALE
Di fronte a noi sta l’ennesima biforcazione della storia: da una parte uno scenario di regressione sociale, dall’altra uno scenario di emancipazione sociale. La strada che imboccheremo dipende in gran parte da come allocheremo il controllo della conoscenza. È stato sempre così e oggi è ancora più vero, per via del procedere tumultuoso della tecnologia dell’informazione. La tecnologia dell’informazione non è in sé né giusta né ingiusta. Dipende dal«cambiamento tecnologico» a cui dà vita. Il cambiamento tecnologico in atto ha prodotto e può produrre progressi, anche per i ceti deboli, in molti campi: salute, diritti, sicurezza sul lavoro, tempestività dei servizi, energia, diffusione delle informazioni, mutualismo su rete e intrattenimento (una grande leva per cementare consenso). Ma molte sue tendenze minacciano gravemente la giustizia sociale: Concentrazione del controllo sulla conoscenza; Polarizzazione delle condizioni di lavoro; Masse di dati personali forniti gratuitamente in rete e usate in modo incontrollato; Decisioni (per assunzioni, carriera, servizi privati e pubblici, credito, assicurazione, etc.) assunte da algoritmi in modo opaco e non verificabile
La concentrazione prodottasi nella conoscenza e nel potere è straordinaria. Tre segni:
• Sette fra le prime dieci imprese del mondo sono digitali: le nuove «sette sorelle» (brevetto The Economist).
• L’impotenza della democrazia: Mark Zuckerberg (2008) vs. J.P.Morgan (1933). Il primo si rifiuta di comparire davanti alla Commissione del Parlamento britannico che investiga la vicenda Facebook-Cambridge Analytica; il secondo compare di fronte alla Commissione del Congresso USA presieduta da Ferdinand Pecora che investiga le responsabilità per la Grande Crisi (e da cui nascerà la Regolamentazione dei mercati e la disintegrazione delle Banche di Affari, entrambe sopravvissute fino all’era neo-liberista).
• La proprietà intellettuale rappresenta l’84% del capitale delle prime 500 imprese di S&P era 17% negli anni ‘70).
È tempo di riprendere il governo del cambiamento tecnologico in un modo coerente con i principi della democrazia e della giustizia sociale, sviluppando il potenziale diffusivo e di decentramento delle tecnologie dell’informazione, oggi soffocato. Non è facile, perché molta cattiva strada è stata fatta. Una strategia che riprenda il governo del cambiamento tecnologico e lo indirizzi alla giustizia sociale deve risolvere con radicalità tre questioni:
• il paradosso, per cui un vasto patrimonio pubblico di open science viene costruito da entità pubbliche e con mezzi finanziari di tutti noi, per poi lasciarne l’utilizzo a pochi soggetti privati che lo privatizzano per costruire potenti posizioni di monopolio;
• l’esasperazione della protezione della proprietà intellettuale avvenuta con l’Accordo TRIPS;
• avere permesso l’affermazione di una “sovranità privata” di pochi monopoli sui dati personali che immettiamo in rete e sugli algoritmi di apprendimento automatico che li utilizzano al di fuori del nostro controllo.
Questa deriva pesa in tutte le nostre dimensioni di vita:
• Lavoro: occupazione, retribuzioni, dignità, autonomia e sicurezza
• Servizi pubblici essenziali e ricchezza comune
• Consumo di beni e servizi sul mercato
• Informazione e politica
Il Rapporto del ForumDD mostra la pervasività dei rischi che minacciano soprattutto i ceti deboli, a vantaggio di pochi che controllano la conoscenza. E individua così 10 proposte che potrebbero ancora consentirci di riprendere il governo del cambiamento tecnologico, ossia di riguadagnare la modernità alla causa della giustizia sociale. E poi c’è la proposta n. 11, quella in cui ci domandiamo: con quale Pubblica amministrazione l’Italia può costruire e soprattutto attuare queste diverse politiche? E troviamo una risposta, semplice e attuabile.
Proposta n. 1 La conoscenza come bene pubblico globale: modificare gli accordi internazionali e intanto farmaci più accessibili
Si propongono tre azioni che mirano ad accrescere l’accesso alla conoscenza. La prima azione riguarda la promozione, attraverso l’UE, di una modifica di due principi dell’Accordo TRIPS che incentivi la produzione e l’utilizzo della conoscenza come bene pubblico globale. Le altre due azioni riguardano il campo farmaceutico e biomedico; si propone, sempre attraverso l’UE, di arrivare a un nuovo accordo per la Ricerca e Sviluppo, in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità, che consenta di soddisfare l’obiettivo del “più alto livello di salute raggiungibile” e, contemporaneamente di rafforzare l’iniziativa negoziale e strategica affinché i prezzi dei farmaci siano alla portata dei sistemi sanitari nazionali e venga assicurata la produzione di quelli per le malattie neglette. L’Accordo TRIPS del 1995 ha esasperato la protezione della proprietà intellettuale legandone il rispetto (con assai poco applicate “flessibilità”) alla partecipazione al libero commercio internazionale. Bisogna lavorare da domani a ristabilire la giusta gerarchia fra il principio universale Jeffersoniano del libero accesso alla conoscenza e la protezione della proprietà intellettuale (motivata dall’incertezza e dagli inevitabili insuccessi di chi svolge ricerca in forma privata). L’obiettivo finale da avere come traguardo è quello di sostituire l’attuale postulato del Trattato – “Riconoscendo che i diritti di proprietà intellettuale sono diritti privati” – con il seguente: “Riconoscendo che la conoscenza è il più importante bene comune globale dell’umanità e che una limitata attribuzione di diritti privati di proprietà può essere talvolta giustificata per incentivarne la produzione. Nella non breve strada che necessaria per arrivare a questo risultato, fatta di mobilitazione politica internazionale, negoziati e alleanze, il ForumDD propone intanto di affrontare lo stesso obiettivo nello specifico campo della salute. Perché in questo campo della nostra vita l’ingiustizia può diventare intollerabile, violando l’obiettivo universale di consentire a ognuno di “raggiungere il più alto livello di salute” possibile: basti pensare ai prezzi che potranno essere chiesti per i prodotti che saranno sviluppati sulla base dei risultati dello Human Genome Project (HGP), costato circa 3 miliardi di dollari, interamente finanziati dal settore pubblico di diversi Paesi. E perché in questo campo esistono condizioni per alleanze internazionaliste di giustizia sociale: si pensi al risultato ottenuto dal governo sudafricano di Mandela quando, in piena crisi HIV-AIDS, permise il ricorso a farmaci generici non protetti da brevetto, e vinse. Nascono allora qui le altre due proposte che mirano a impedire che la nuova ricerca apra un divario ingiustificabile fra chi può e chi non può permettersi i farmaci antitumorali, a impedire che prezzi monopolistici mettano fuori gioco i sistemi sanitari nazionali, a far si che siano prodotti farmaci per le malattie neglette, a rendere trasparenti le spese per la ricerca. Anche la prima di queste proposte è assai ambiziosa, ma rappresenta un traguardo da tenere davanti agli occhi. Mentre la seconda si misura con negoziati e soluzioni su cui lavorare subito. Proposta n. 2. Il “modello Ginevra” per un’Europa più giusta Si propone di promuovere a livello europeo degli “hub tecnologici sovranazionali di imprese” che si occupino di produrre beni e servizi che mirino al benessere collettivo, partendo dalle infrastrutture pubbliche di ricerca esistenti ed estendendo il loro ambito di azione dalla fase iniziale della catena di creazione di valore a quelle successive. L’obiettivo è quello di sfruttare il successo di forme complesse e autonome di organizzazione per rendere accessibili a tutti i frutti del progresso scientifico e affrontare il paradosso attuale per cui un patrimonio di open science prodotto con fondi pubblici viene di fatto appropriato privatamente da pochi grandi monopoli. Il sistema europeo di ricerca pubblica, definito “modello Ginevra” visto il ruolo di apri-pista svoltosin dal 1954 dal CERN (Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra, è composto da circa trecento maggiori infrastrutture di ricerca (oltre mille, con quelle minori): dallo European Advanced Transnational Research Infrastructure in Medicine allo European Spallation Source, dai Laboratori nazionali del Gran Sasso alla Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe.
Sono imprese pubbliche caratterizzate da autonomia di bilancio e manageriale. L’esistenza e il successo di queste imprese pubbliche dimostrano ciò che negli ultimi trenta anni si è perso nel senso comune: che per avere organizzazioni efficienti ed efficaci non è necessario l’obiettivo del profitto. La proposta consiste nell’estendere il ruolo delle imprese pubbliche dalla ricerca di base alle fasi dell’innovazione e commercializzazione, rompendo il potere dei grandi monopoli direttamente nel mercato. Questi hub tecnologici multinazionali che rispondono a interessi pubblici potrebbero avere un ruolo particolarmente importante nei settori della transizione energetica, della cura della salute e dell’economia digitale. Proposta n. 3 Missioni di medio-lungo termine per le imprese pubbliche italiane Si propone di assegnare alle imprese pubbliche italiane missioni strategiche di medio lungo periodo che ne orientino le scelte, in particolare tecnologiche, verso obiettivi di competitività, giustizia ambientale e giustizia sociale. I punti di forza della pro- posta sono: l’identificazione di un presidio tecnico; la trasparenza della responsabilità politica; il monitoraggio dei risultati; la garanzia della natura di medio-lungo termine degli obiettivi; e il rafforzamento delle regole a tutela dell’autonomia del management. L’Italia può orientare il cambiamento tecnologico utilizzando in modo appropriato la leva del sistema di imprese pubbliche sulle quali già esercita un controllo: in primo luogo la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), con le sue partecipate, e le imprese controllate dal Ministero dell’Economia e Finanze (MEF). Complessivamente, la CDP e le maggiori imprese controllate dalla CDP o direttamente dal MEF occupano oggi circa 480mila dipendenti con un attivo di bilancio pari a circa 6,5 miliardi di euro. Ciò che manca, da anni, è una missione strategica nazionale da parte dello Stato che quelle imprese controlla. Ogni impresa che opera sul mercato (o in borsa) è guidata, sotto la guardia del profitto, da obiettivi strategici: tenere o conquistare un mercato, introdurre una nuova produzione, “fare storia” in un dato settore, esercitare potere o influenza, e magari anche contribuire alla tutela dell’ambiente o allo sviluppo di un territorio. E’ anomalo che gli amministratori pubblici che esercitano il controllo di imprese per conto dei cittadini, non abbiano un mandato strategico. Il ForumDD avanza una proposta affinché lo Stato assegni a quelle imprese obiettivi strategici, di competitività, sostenibilità e giustizia sociale. E disegna un metodo che assicuri la natura a lungo termine di questi obiettivi, un’ancor più forte autonomia del management nell’attuarli e un confronto pubblico sui risultati: a garanzia che tali obiettivi non siano usati per una cattura politica delle imprese pubbliche e un loro uso per finalità di breve termine, come accaduto in passato.
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