
Salvini spinge subito sull’acceleratore per approfittare dello sbandamento di Luigi Di Maio (del quale si sono perse nuovamente le tracce dopo il vertice coi capi del movimento di lunedì) e capitalizzare il risultato imponendo come ormai fa da qualche settimana la sua personale agenda politica. Per questo ha fatto circolare oggi pomeriggio il testo “definitivo” del dl sicurezza bis, tornando a chiedere che “venga esaminato nel prossimo Consiglio dei Ministri” nella “convinzione” che “siano stati soddisfatti tutti gli interrogativi tecnici”. Ma non solo: oggi in una diretta Facebook ha anche anticipato i contorni della proposta di flat tax messa a punto dagli economisti del Carroccio. “Con 30 miliardi di euro si fa la riduzione fiscale, la tassa piatta sui redditi delle imprese e delle famiglie almeno fino a 50mila euro”. E anche gli altri dossier cari ai leghisti, Autonomia e Tav, “sono pronti”. Proprio sulla Tav, la Lega ha confermato, contrariamente a quanto chiedevano i pentastellati, il suo emendamento al decreto sblocca-cantieri, adesso in Aula al Senato. Una “scaletta” che il M5s, alle prese con la digestione della sconfitta che ha scatenato i malumori degli ortodossi ma non solo, difficilmente può mandare giù. Ma in assenza di indicazioni dal vertice, i parlamentari non sanno come fare fronte all’offensiva degli alleati di governo. “Alla fine anche Renzi prese il 40% e poi è successo quel che è successo”, è l’auspicio di un deputato pentastellato.
In questo clima, giovedì si prospetta una giornata estremamente complessa e potenzialmente “esplosiva” per l’esecutivo. In giornata, infatti, è attesa la sentenza del Tribunale di Genova sul caso di Edoardo Rixi, nel processo sulle cosiddette “spese pazze” nella Regione Liguria. Se fosse condannato, Salvini è determinato a evitare un nuovo caso Armando Siri, dimesso dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. “Ci auguriamo qualcosa di positivo, dovesse arrivare qualcosa di diverso abbiamo già detto che Rixi sta al suo posto. La Lega ha deciso”, ha ribadito oggi il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo. Un dito nell’occhio del Movimento 5 stelle, che ribadisce che in caso di condanna deve dimettersi. Ma ora Di Maio ha meno forza per poter imporre la propria linea. Per uscire dall’impasse si attende un chiarimento al vertice, con il confronto tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i vice. Il premier ha sentito entrambi, mentre Di Maio e Salvini ancora non sono tornati a parlarsi. Si vedranno al ritorno da Bruxelles del capo del governo.
Maurizio Landini al ministro Salvini: “crescere non vuol dire ingrassare. No alla flat tax”
A Salvini replica duramente il segretario generale della Cgil (nel più generale silenzio della sinistra, e del Pd, purtroppo) Maurizio Landini. “Se uno vuole cambiare le regole in Europa non è sufficiente aver preso voti in Italia, bisognerebbe dirlo a Salvini che crescere non vuol dire ingrassare. Crescere, se vuoi cambiare l’Europa, vuol dire fare alleanze, discussioni”. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha parlato del risultato delle elezioni europee a margine di un convegno a Milano. Il punto “non è quello di sforare il 3% del rapporto deficit-Pil ma farlo per cosa? Una delle battaglie è quella di fare un piano straordinario di investimenti pubblici e poi chiedere tutti insieme che gli investimenti di questo tipo non vengano conteggiati nel deficit – ha aggiunto -. Ma allo stesso tempo bisogna fare accordi in Europa. La Cgil è contro il pareggio di bilancio non abbiamo mai pensato a difenderlo ma c’è da fare una discussione in Europa per avere un sistema fiscale unico per combattere le delocalizzazioni e l’Italia come ci sta dentro queste cose, dicendo che dobbiamo alzare muri?”. Il problema “non è il 3% ma che politiche si fanno e che tipo di alleanze si fanno in Europa”, ha concluso. “Il fisco è uno dei punti su cui ci mobiliteremo anche nei prossimi giorni, e su cui ci siamo già mobilitati, perché il modo per affrontare questo tema centrale non è quello di fare una tassa piatta uguale per tutti”. Maurizio Landini ha poi aggiunto: “Noi non andiamo in piazza per dire no a Salvini, ma per sostenere le nostre proposte. Smettiamola di discutere di quello che propone il governo, discutiamo di quello che proponiamo noi”. Intanto, “sabato ci sarà quella dei pensionati, sabato 8 giugno quella del lavoro pubblico, il 14 ci sarà lo sciopero generale dei metalmeccanici con manifestazioni anche a Milano, il 22 giugno saremo a Reggio Calabria per una grande manifestazione al sud. Per noi la riforma fiscale va fatta ma deve affrontare alcuni nodi – ha proseguito -. Una è l’evasione fiscale, basta condoni che anche questo governo ha fatto, poi le tasse non vanno abbassate per tutti in modo generico, ma sul lavoro in generale e sui pensionati aumentando le detrazioni fiscali, che è un modo per aumentare i loro salari. Ma in modo diverso da quello che pensa Salvini e su questo chiediamo che il governo apra una trattativa vera con le organizzazioni sindacali”, ha concluso.
Il M5S allo sbando, senza più un capo politico, avanza il direttorio. Il caos nei gruppi parlamentari
Quel che è certo è che i gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle si apprestano ad affrontare mercoledì un’assemblea completamente diversa dalle ultime che si sono svolte con l’introduzione del capo politico, pochi interventi critici, ‘parlavano in 3 o 4′ – viene riferito – poi la replica di Di Maio a conclusione. Mercoledì si rischia, infatti, di arrivare ad un’processo’ sulle cause dell’ultima sconfitta elettorale. E gli interventi, da quanto si sente, non saranno certo pochi: sul banco degli ‘imputati’ non tanto la leadership di Luigi di Maio ma la sua cerchia ristretta. Nel mirino, di fatto, l’organizzazione interna del Movimento, segnata, peraltro, da un vertice che si è svolto ieri al Mise fra il capo politico, Luigi di Maio e alcuni ‘big’ di M5s che non è affatto piaciuta, per usare un eufemismo, a molti parlamentari. Stigmatizzato, si apprende, anche il fatto che vi fosse Alessandro di Battista. Ormai solo più ‘cittadino’ a 5 Stelle, dopo la scelta di non ricandidarsi. Le decisioni prese in un circolo ristretto, scelto a discrezione, il reset delle seconde linee, le modalità della comunicazione ad essere, per lo più, sotto tiro. In primis, c’è chi osserva, serve un direttivo che sia “elettivo” in maniera democratica.
A tenere banco in Parlamento, anche le prese di posizione in chiaro, assunte dal senatore Gianluigi Paragone, dalla presidente della commissione Finanze Carla Ruocco e dalle dimissioni di Primo di Nicola da vicepresidente del gruppo di Palazzo Madama. “La generosità di di Maio di mettere insieme tre-quattro incarichi deve essere rivista. Il Movimento cinque stelle, per ripartire, ha bisogno di una leadership h24, dobbiamo passare dall’io al noi”, ha detto Paragone in un’intervista. “Non capisco perché si parli prima ai giornalisti e poi in assemblea”, è stato subito osservato. Paragone, anche lui presente al vertice del Mise e di Maio ‘sono molto vicini’, impossibile che la sua uscita sia voce dal sen fuggita, c’è chi si è affrettato a notare. Ma non è mancato, al contrario, chi, sarcastico, ha sottolineato: ‘sono sempre stato convinto che di Maio avrebbe dovuto guardarsi da chi non lo ha mai criticato pubblicamente durante le assemblee M5s’. La “centralizzazione delle decisioni e l’uomo solo al comando non sono nelle corde del Movimento cinque stelle” ha detto Carla Ruocco, che ha invocato “una maggiore condivisione”. Richiesta che rispecchia quella di moti altri parlamentari. Che nella scelta di rivedere la riorganizzazione del Movimento ci sia la mano di Davide Casaleggio non lo pensa nessuno dei parlamentari interpellati. Intanto, Primo Di Nicola scrive: “mi sono dimesso da vice presidente del gruppo parlamentare del Movimento 5 stelle al Senato. Una decisione che ritengo necessaria non solo alla luce del risultato elettorale ma anche e soprattutto delle cose che ci siamo detti in tanti incontri e assemblee. Mettere a disposizione del Movimento gli incarichi. E’ l’unico modo che conosco per favorire una discussione autenticamente democratica su quello che siamo e dove vogliamo andare”. Mentre non usa giri di parole il presidente della commissione Cultura della Camera, Luigi Gallo: del risultato delle Europee “la responsabilità è tutta di Luigi di Maio”. E aggiunge: “Sarebbe ora che Di Maio si chiedesse se è in grado di guidare un governo a trazione M5s o se invece non sia il caso di lasciare”. Insomma, dal terremoto elettorale al terremoto parlamentare. La sconfitta ha finalmente fatto emergere una verità che i capi dei 5Stelle non hanno mai voluto raccontare: il movimento monolitico e compatto è solo una finzione, buona fin che si vince, ma quando si perde diventa come quella prova d’orchestra nel noto film di Federico Fellini, che consigliamo a Di Maio e soci di vedere al più presto.
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