Patrizio Paolinelli. Tre domande a… Giorgio Benvenuto. La memoria storica come anticorpo alla legittimazione del fascismo

Patrizio Paolinelli. Tre domande a… Giorgio Benvenuto. La memoria storica come anticorpo alla legittimazione del fascismo

Dal Secondo dopoguerra i partiti e i movimenti d’ispirazione fascista sono sempre stati presenti nel panorama politico italiano. Tuttavia, fino a ieri erano fuori dal cosiddetto arco costituzionale. Oggi invece sono pienamente legittimati. Come si è giunti a tale situazione?

Il problema parte da lontano. In primo luogo, ritengo che l’amnistia concessa ai fascisti all’indomani del secondo conflitto mondiale sia stata un errore. A tale errore si aggiunse il reclutamento nell’alta burocrazia della pubblica amministrazione di molti personaggi coinvolti con la dittatura. C’è da chiedersi perché sia accaduto tutto ciò. Penso per due motivi: da un lato, si riteneva che il fascismo fosse una cosa morta e sepolta, dall’altro, ci fu un eccesso di tolleranza. Ma in politica certe cose devono essere chiare e tra le norme transitorie della nostra Costituzione è previsto il reato di apologia al fascismo. Reato poco perseguito visto come andarono poi le cose. In secondo luogo, durante gli anni caratterizzati dalla strategia della tensione la UIL, insieme ad altri, promosse una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare a favore dello scioglimento del Movimento sociale. Non se ne fece nulla perché per alcuni era meglio che i voti del MSI restassero congelati in un partito al di fuori dell’arco costituzionale anziché andare in tutto o in parte ai partiti governativi. A mio giudizio fu un calcolo miope. Quest’insieme di fattori sono le basi su cui oggi si fonda la legittimazione del fascismo e giungo al terzo punto della mia riflessione. Nel 2015 è stato introdotto nel nostro Codice penale il reato di propaganda del regime fascista, la legge Fiano. Purtroppo tale legge è arrivata quando i buoi erano scappati dalle stalle e oggi i fascisti li vediamo scorrazzare tranquillamente nelle strade, manifestare nelle piazze, li vediamo fomentare l’odio contro gli immigrati, presentarsi alle elezioni. Sono quindi rientrati nel gioco politico. Detto questo, non credo che ci sarà un ritorno del fascismo storico, ma che le attuali organizzazioni d’ispirazione fascista possano in qualche modo far da puntello a forme politiche autoritarie.

La legittimazione del fascismo inizia negli anni ’80. C’era dunque tutto il tempo per non arrivare alla situazione attuale. La sinistra ha sottovalutato il fenomeno?

Credo che la sottovalutazione di cui mi chiede riguardi soprattutto la Seconda Repubblica. In estrema sintesi mi pare che da parte di molti esponenti della sinistra il ragionamento sia stato il seguente: archiviata la Prima Repubblica l’arco costituzionale non serve più. Nel ’93 ciò permise lo sdoganamento del MSI – il cui segretario si candidò a Roma contro Rutelli – senza che a sinistra si siano registrate grandi reazioni. Evidentemente importanti gruppi dirigenti ritenevano che nella nuova Repubblica l’antifascismo non potesse avere più una dimensione politica di rilievo. Sbagliavano e questi ultimi mesi lo dimostrano. E poi credo ci sia anche un secondo fattore da tenere in considerazione. E cioè che con la fine dell’Unione Sovietica il liberismo avesse vinto la partita con la storia e fosse destinato se non all’eternità a una vita ultrasecolare. E’ stata una visione politica pragmatica. Visione che non biasimo ma che non mi pare abbia funzionato. Nella Seconda Repubblica si pensava che aver cambiato nome al MSI fosse di per sé sufficiente e non ci fossero più pericoli per la democrazia. Si è trattato di un errore politico.

Le recenti celebrazioni del 25 aprile dimostrano che In Italia è ancora radicata una cultura politica antifascista. Ciò lascia ben sperare per il presente e per il futuro?

Non c’è dubbio. Nel nostro Paese sono ben presenti una cultura e un sentimento antifascista. D’altra parte la Resistenza era composta da formazioni dei più diversi colori politici. E questo patrimonio fa ancora parte del senso comune che ci attraversa. Se c’è una battaglia da fare questa riguarda la memoria storica. Memoria che occorre tenere viva perché la Resistenza appartiene a tutti e, tra l’altro, diede vita all’arco costituzionale. Mi lasci dire che credo sia necessaria una riflessione più attenta sulla Prima Repubblica. E’ stata distrutta e invece penso che vada valorizzata. Non nego che ci siano stati problemi e distorsioni ma da un’analisi anche superficiale vediamo che ci ha dato la Costituzione e ha portato un’Italia distrutta dalla guerra e ancora contadina a essere una potenza industriale. In Europa eravamo dei protagonisti. Se paragoniamo quelle trasformazioni e il ruolo dell’Italia di allora con l’oggi mi pare che i giudizi tutti in negativo sulla Prima Repubblica siano sbagliati. Ancora una volta, la memoria è importante.

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