
Un incontro “cordiale”, ma che serve a fare chiarezza su prassi consolidate, a ripercorrere idealmente il manuale della grammatica istituzionale. Giuseppe Conte e Sergio Mattarella si confrontano al Quirinale per quasi due ore, due giorni dopo la fumata nera del Consiglio dei ministri di lunedì sul decreto sicurezza bis, bandiera della Lega, e sul provvedimento per sostenere la famiglia, caro al Movimento 5 stelle. Il premier sale al Colle a mani vuote, senza portare con sé la nuova versione, pur arrivata sulla sua scrivania nella giornata di martedì, del provvedimento limato da Matteo Salvini. Non è in questa fase che il Capo dello Stato interviene sui testi. L’interlocuzione che, da prassi appunto, si avvia tra gli uffici dei ministeri e della presidenza della Repubblica quando un decreto sta per essere esaminato ed approvato dal Governo, non deve diventare cronaca (e strumento) della politica.
Conte lo dice chiaro convocando la stampa a palazzo Chigi intorno alle 19.30. Le voci di un suo possibile incontro con i giornalisti si rincorrono e smentiscono per tutto il pomeriggio, poi a sera le luci della sala stampa si accendono. Il premier ricostruisce il Consiglio dei ministri ‘incriminato’. “Si è scritto di risse sfiorate e discussioni accese, vi deludo: il clima è stato molto sereno e molto costruttivo”. Di più. “Tutto il Governo condivide i due obiettivi politici: intervenire sulla sicurezza nei nostri mari e sul nostro territorio e intervenire con ulteriori misure a favore delle famiglie”. Quanto alle “criticità” fatte trapelare dal Colle, il capo del Governo è chiamato a fare chiarezza: “E’ una prassi consolidata che vi sia un’interlocuzione con gli uffici del Quirinale, anche in previsione dell’emanazione dei decreti. Però per come è stata rappresentata ci sono delle incongruenze. Non si può attribuire al presidente della Repubblica una censura preventiva né il ruolo di sindacato politico. Gli si fa un torto in astratto e in concreto: non ha svolto questo ruolo né intendeva svolgerlo”. Da adesso in poi, insomma, l’iter dei due provvedimenti tornerà sui binari della normalità. Dopo l’incontro con Mattarella, Conte sente Di Maio e Salvini e chiarisce anche con loro la nuova tabella di marcia: “Abbiamo convenuto che è complicato tenere un Consiglio dei ministri prima delle Europee, si svolgerà nel primo giorno utile della settimana prossima”. Il decreto contenente misure sulla famiglia, caro a Luigi Di Maio, peraltro, si avvierebbe a diventare un disegno di legge, essendo sprovvisto dai requisiti di necessità e urgenza richiesti per un decreto. Quanto alla nuova versione del testo sulla sicurezza, azzarda Conte, le criticità emerse “sembrano” superate. Se così è, si vedrà a partire da lunedì. E molto, c’è da giurarci, dipenderà dall’esito del voto europeo che con ogni probabilità condizionerà anche l’equilibrio e la tenuta del governo. Mattarella resta osservatore attento, concentrato più sulla tenuta dei conti e l’andamento dei mercati, che su eventuali scenari di crisi. Anche in questo caso, del resto, la grammatica istituzionale parla chiaro: è la Costituzione a guidare le mosse dell’inquilino del Colle.
Tutto rimandato dunque. Il premier Giuseppe Conte rinvia i due decreti voluti da M5S e Lega, su sicurezza e famiglia, a dopo le Europee. Il premier, insomma, vuole tornare al suo ruolo di mediatore. Di Maio, in una nota diffusa poco dopo le parole di Conte, appoggia la sua linea: “Ora c’è tutto il tempo di lavorare insieme sui rimpatri, che sono una questione importante da affrontare con determinazione”. La priorità per il M5S, invece, resta la famiglia. “Qualcuno dice ‘aspettiamo dicembre per quantificare questo miliardo di euro di risparmio dal reddito di cittadinanza’ – spiega Di Maio da Cosenza -. Io invece dico che è un’emergenza: l’Italia è l’ultimo Paese che fa figli in Europa, su baby sitter e pannolini dobbiamo aiutare chi vuole fare e chi ha figli”. Anche in questo caso però ci sono nodi da sciogliere: all’orizzonte c’è una legge di Bilancio che avrà bisogno di molte risorse, e il ministro dell’Economia è molto guardingo nel dare luce verde.Le bandiere securitaria e famigliare, comunque, continueranno a sventolare durante i comizi delle due forze di Governo, per venire issate su Palazzo Chigi un po’ più avanti. Il leader della Lega, pur avendo fatto la voce grossa nell’ultimo Cdm di questa settimana, non si straccia le vesti. Però qualche frecciatina la lancia. “Se qualcuno, per motivi non tecnici ma di altra natura, preferisce che venga approvato la settimana prossima, non mi do fuoco”, spiega a ‘Porta a Porta’. Il leader del Carroccio incassa con eleganza, ma traccia un’agenda precisa per le settimane post- voto. Dopo il ‘sicurezza bis’, bisognerebbe abolire l’abuso d’ufficio, che spesso paralizza l’attività dei sindaci. E, di fronte ad una vittoria del centrodestra in Piemonte, si dovrà andare avanti su Tav, senza se e senza ma.
E il rimpasto? “Un voto alla Lega serve a cambiare l’Europa – taglia corto al Tg1 – io non voglio mezza poltrona in più, non cambierà niente e il Governo andrà avanti”. A mettere il dito nella piaga ci pensa però il suo braccio destro. Giancarlo Giorgetti si fa portavoce del malumore crescente dentro il partito che spinge a rompere con i 5 stelle. “Non accuso nessuno, tantomeno il premier, ma così non si può andare avanti, senza affiatamento” attacca il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio puntando l’indice contro “l’immobilismo” dell’esecutivo in carica. E’ un gioco delle parti che non va per niente giù a Luigi Di Maio. “Ogni giorno ormai, da circa un mese, c’è qualcuno, e non del M5s, che minaccia la crisi di governo e fa la conta delle poltrone in base ai sondaggi. Oggi è toccato a Giorgetti” tuona il leader pentastellato che avverte: “Basta minacciare crisi di governo e basta fare la conta delle poltrone. Si pensi al Paese”. I
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