
Negli ultimi giorni un’ondata di scandali ha investito la classe politica, in particolare, il partito della Lega (quel partito che anni fa parlava di “Roma ladrona”, salvo, poi, far sparire 49 milioni di fondi pubblici). Non si contano più le inchieste e gli arresti di pubblici amministratori ed imprenditori (legati anche alla criminalità organizzata) per corruzione ed appalti truccati.
Da Nord a Sud (Milano, Legnano, Varese, Roma, Umbria, Sicilia ecc.) non c’è Comune, Provincia o Regione che sia immune nella concessione degli appalti da fenomeni di corruzione; ciò avviene di continuo: gli episodi corruttivi e le turbate libertà degli incanti si contano a centinaia e forniscono il quadro di una P.A. corrosa dal fenomeno delle tangenti. L’arte della corruzione nasce e si sviluppa negli uffici pubblici e in quelli di imprese private: la collettività è danneggiata enormemente dalle innumerevoli “cricche” locali, più o meno stabili nel tempo o che si aggregano, di volta in volta, per raggiungere lo scopo prefissato che è quello di procurarsi un ingiusto vantaggio personale, lucrando sulle risorse di tutti. I “colletti bianchi” della corruzione considerano, invero, il territorio alla stregua di una preda da scarnificare. Molto frequente è che il corrotto indossi la fascia tricolore di un sindaco. Succede di continuo, ma le tante storie di corruzione locale spesso non escono dai confini provinciali, eppure, messe insieme, esse tratteggiano il quadro in cui il municipio, simbolo più immediato della democrazia, viene svenduto a interessi privati. La Commissione europea – nello svolgere nel 2017 un’indagine sulla percezione della corruzione nei singoli Paesi membri dell’Unione – ha rilevato che in Italia il 15% delle imprese ha risposto di aver ricevuto richieste di favori o di tangenti nei seguenti casi: permesso di costruire, permesso di aprire attività commerciali, cambio d’uso dei terreni, permessi ambientali.
L’unica radicale soluzione possibile per contrastare questo cancro che divora le amministrazioni comunali è quello di sottrarre ai Comuni la gestione del territorio. È assolutamente necessario togliere loro tutte le competenze in ordine ai piani regolatori e di lottizzazione, alle varianti urbanistiche, al rilascio delle concessioni edilizie e dei successivi certificati di staticità, agibilità o abitabilità e per i cambiamenti di destinazione di uso degli immobili (oltre che per i condoni e per le demolizioni delle costruzioni abusive) e attribuirle ad organi statali quali gli uffici tecnici provinciali delle Sovraintendenze e del Genio civile, integrati tra loro e opportunamente potenziati con uomini e mezzi. Così come deve essere restituita ai prefetti e ai questori la competenza in tema di rilascio di licenze ed autorizzazioni per gli esercizi commerciali (negozi, bar, ristoranti, stabilimenti balneari, ecc.). Ma è bene dire subito che una tale riforma, che va ad incidere su rilevanti interessi politici ed economici poco trasparenti (voto di scambio, speculazioni edilizie, corruttele), difficilmente sarà attuata.
Necessaria la figura dell’agente provocatore non introdotto dal nuovo Parlamento
Per contrastare efficacemente la dilagante corruzione sarebbe stato, poi, necessario prevedere la figura dell’agente provocatore che il nuovo Parlamento non ha ritenuto di introdurre.
La nuova legge (c.d. “spazza-corrotti”) prevede che “non sono punibili gli investigatori che, nel corso di specifiche operazioni di polizia, e solo al fine di ottenere elementi di prova, promettono o danno denaro richiesti da un pubblico ufficiale”. Sembra così doversi escludere che la norma preveda la figura dello “infiltrato” negli uffici della P.A. che presentano situazioni ambientali completamente diverse da quelle che caratterizzano le associazioni criminali, e presuppongono occulti circuiti di scambio di tangenti che riguardano grandi affari e appalti milionari, nei quali sembra difficile che l’agente di p.g. possa inserirsi. È da ritenere, quindi, che la norma preveda il “falsus emptor” colui, cioè, che si finge parte in determinati reati-contratti, la cui attività appare, però, fortemente limitata dal dovere agire “nel corso di specifiche operazioni di polizia” e dal dover essere egli “richiesto” di promesse o dazioni di denaro da parte del p.u. in cambio di futuri provvedimenti favorevoli. Era, invece, necessario prevedere la figura del “falso corruttore”, cioè dell’agente che, sotto mentite spoglie, sia di identità che di professione, verifica la corruttibilità o meno di un funzionario pubblico avvicinandolo e promettendogli denaro od altra utilità in cambio di un provvedimento di favore relativamente ad appalti, concessioni ecc.
Le operazioni sotto copertura e il falso corruttore
È vero che la Corte di Strasburgo, ritiene violata la clausola “del processo equo” nel caso in cui un soggetto venga condannato per un reato provocato “in senso stretto” dalle stesse forze di polizia, ma – a parte le non sempre perspicue motivazioni delle decisioni della Corte EDU sia in questa materia che in quella sulla criminalità organizzata (basti pensare alla “sentenza Contrada” basata su gravi errori di diritto) – va ricordato che l’art. 50 della Convenzione ONU contro la corruzione consente agli Stati membri di porre in essere “operazioni sottocopertura” nel cui ambito rientra il “falso corruttore”. Del resto, poiché il P.U. non può, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, ricevere indebitamente denaro o altre utilità, (o accettarne la promessa), da chicchessia, è evidente che egli deve rispondere del reato di corruzione anche se il denaro o l’utilità (o la promessa) provenga dal falso corruttore con il quale ha stretto un accordo corruttivo.
È evidente che chi è contrario all’introduzione legislativa di tale figura ha solo paura: forse la classe politica ha il timore che, in tal modo, le indagini si trasformino in sistematiche “retate”.
*Antonio Esposito, già presidente di Sezione della Corte di Cassazione
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