
Da diversi anni il rapporto tra politica e sindacati è profondamente mutato. C’è un fattore-chiave che caratterizza tale mutamento?
Sì, ma prima occorre fare un’osservazione di carattere generale. Soprattutto nella Prima Repubblica e in parte nella fase iniziale della Seconda i sindacati avevano forti legami con la politica. Progressivamente col nuovo millennio tutto cambia e prende forma il fattore-chiave di cui lei mi chiede. Fattore che si sostanzia così: sia dai governi del centrodestra che da quelli del centrosinistra i sindacati – e direi nel loro complesso i corpi intermedi – sono considerati inutili, superati. Per il centrodestra a causa delle tendenze paternalistiche e autoritarie che connotano la sua politica, per il centrosinistra per l’acritica adesione alla globalizzazione liberista. Si tratta di un elemento fortemente peggiorativo che spazza via la rappresentatività dei corpi intermedi. Pensi agli 80 euro di Renzi o al Jobs Act. In entrambi i casi il sindacato è stato completamente scavalcato. Ovviamente ciò non accade sempre. Ed è una novità l’accordo di questi giorni tra l’attuale governo e i sindacati della scuola. È probabile però che si tratti di un calcolo politico per scongiurare uno sciopero nazionale alla vigilia delle elezioni europee.
Quest’anno il tema del Concerto del Primo Maggio organizzato a Roma da Cgil Cisl e Uil è l’Europa del lavoro, dei diritti e dello Stato sociale. Che possibilità hanno le organizzazioni sindacali di incidere sulle politiche neoliberiste dell’UE?
Le possibilità ci sono se i sindacati riempiono di contenuti le loro parole. Ossia, innanzitutto se si battono per impedire il dumping fiscale e sociale. Mi spiego. Se le aziende pagano meno tasse in Irlanda, in Romania e in altri paesi dell’Unione è evidente che la moneta unica non funziona perché svantaggia alcuni Paesi a favore di altri. Occorre pertanto un’unica politica fiscale. Lo stesso ragionamento vale per i diritti. Per fare un esempio, i lavoratori ungheresi non hanno le stesse tutele dei francesi e addirittura i contratti vengono stabiliti per legge. È evidente che in un’Europa in cui in alcune realtà i diritti dei lavoratori non sono rispettati alla fine verranno perduti dappertutto. Il sindacato, seppur gradualmente, deve arrivare a regole comuni europee sul fisco, sul lavoro e, aggiungo, sull’immigrazione. Sono questioni che fanno l’Europa. Penso poi che i sindacati debbano chiedere a Bruxelles un piano straordinario per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica investendo in particolare sui giovani. Come si finanzia questo piano? Permettendo all’Unione Europea di incassare direttamente una tassa da imporre alle grandi aziende del Web. A fine maggio si terrà il congresso della Confederazione europea dei sindacati. Mi auguro che in quell’occasione su questi temi si puntino i piedi e se occorre si organizzino grandi manifestazioni a Bruxelles.
La festa del Primo Maggio è da tempo sotto attacco e molte attività commerciali restano aperte. Secondo lei questa celebrazione ha ancora senso?
Certamente. Sono convinto che alcune feste vadano onorate e credo che mettere in discussione il Primo Maggio sia un grave errore per una democrazia, non a caso veniva abolito durante le dittature. Non ho utilizzato il termine onorare a caso, perché ritengo che si debba celebrare chi per i diritti dei lavoratori è stato perseguitato, è finito in prigione e ha persino pagato con la vita. Penso pertanto che una democrazia debba difendere il Primo Maggio così come il 25 aprile, perché se quest’ultima ricorrenza rappresenta la rinascita del nostro Paese è altrettanto vero che il Primo Maggio rappresenta un’occasione per riflettere sul fatto che le persone non sono al servizio dell’economia ma è l’economia al servizio delle persone. Ciò significa che il Primo Maggio costituisce un’espressione dell’umanesimo occidentale e chiedere di lavorare in quel giorno è una provocazione.
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