Tre domande a… Giorgio Benvenuto

Tre domande a… Giorgio Benvenuto

Il Congresso Mondiale delle Famiglie tenuto recentemente a Verona ha sollevato forti polemiche fra tradizionalisti e innovatori, se così possiamo sintetizzare. La sua opinione qual è?

Rispetto a quanto pensavano gli organizzatori il Congresso è stato un flop. Nel senso che ho avuto la netta sensazione che le loro posizioni siano largamente minoritarie nel Paese. Infatti c’è stata un’immediata reazione da parte di tanti cittadini, dell’opinione pubblica e di diversi organi di informazione. Tutti hanno sostenuto che sui diritti delle donne indietro non si torna. Vorrei poi aggiungere che, ad onta dell’immagine di politico infallibile, anche il ministro Salvini ha steccato: si aspettava un trionfo e si è trovato con decine di migliaia di cittadini in piazza che protestavano. Questa vicenda fa capire che se si scende in piazza Salvini non solo non è inarrestabile ma rappresenta una minoranza. In altre parole, lo si può battere a patto che le opposizioni, PD per primo, abbiano idee, capacità di mobilitarsi e di ascoltare i cittadini.

Qualche giorno fa è assurto alle cronache nazionali il caso dei settanta rom trasferiti nel centro di accoglienza di Torre Maura, nella periferia est di Roma. I residenti, a cui si sono affiancati da gruppi neofascisti, hanno manifestato contro la decisione del Comune. Cosa pensa di situazioni come questa?

Penso che le istituzioni non abbiano dialogato a sufficienza con i cittadini. A Roma il problema delle periferie è esplosivo e tutta la città è diventata invivibile. Oggi Roma è una città dove si spara per strada, dove si incendiano gli autobus di linea, dove i trasporti non funzionano. Tutte queste criticità, e molte altre ancora, si sommano l’una con l’altra ed esplode la guerra tra poveri come nel caso di Torre Maura. Al di là della strumentalizzazione dei neofascisti non c’è una politica che affronti adeguatamente queste situazioni. È necessario invece trovare con i soggetti interessati delle soluzioni che permettano il rispetto delle regole e la convivenza. Insomma, dianzi ai problemi delle periferie romane manca una politica da parte del Comune e purtroppo le opposizioni fanno polemica anziché avanzare proposte concrete. Non che io abbia la soluzione in tasca, ma governare significa capire quali sono le difficoltà dei cittadini così come quelle dei rom o dei migranti e poi trovare le opportune mediazioni. Non mi pare che in Campidoglio questa operazione venga fatta da qualcuno e così si arriva allo scontro tra gruppi sociali.

Il 30 e 31 marzo scorsi Papa Francesco si è recato in Marocco continuando a costruire ponti col mondo islamico. Da quanto abbiamo detto finora in Italia invece si alzano muri. Come valuta l’azione di questo pontefice?

Mi lasci dire che in un certo senso provo un po’ d’invidia per Papa Francesco perché una volta erano le sinistre che costruivano ponti tra i popoli, parlavano di solidarietà internazionale, si ponevano il problema dei più deboli e dell’uguaglianza. Detto questo credo che l’azione di Papa Bergoglio sia in continuità con la linea di rinnovamento inaugurata da Giovanni XXIII. Oggi la Chiesa punta sul dialogo e non mi sembra che abbia rimpianti rispetto al passato come è invece accaduto al Congresso di Verona. Io sono laico, ma riconosco che il Vaticano ha compreso che le religioni debbono comunicare tra loro. È necessario archiviare l’epoca dei monologhi, della ricerca dell’uomo forte. Il nostro mondo non può essere governato da persone mitizzate, i cosiddetti capi. Comandare significa imporre, mentre governare vuol dire interloquire con i soggetti sociali. Questo atteggiamento costituisce allo stesso tempo la forza e la debolezza della democrazia perché confrontarsi è una cosa più complicata rispetto a dare ordini. Ma dinanzi ai problemi dei nostri tempi, tra cui quello dell’emigrazione, non ci sono altre strade se non quella del dialogo.

 

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