
Dice Federico Fornaro, capogruppo di Liberi e Uguali alla Camera: “Aver inutilmente spaventato i mercati per poi comunque chiudere l’accordo con l’Unione Europea ci costerà molti miliardi di euro. 1,7 miliardi sono solo un antipasto”. È questo il dato più significativo fra quelli diffusi dall’Istat, anche se l’Istituto sembra fare di tutto per non dare alcun conto a questo numero. Che, invece, offre il quadro esatto della attuale situazione economica dell’Italia. “Gli italiani stanno pagando e pagheranno l’atteggiamento inutilmente prepotente di chi non ha ancora capito la differenza tra la propaganda e il governo di un grande Paese come l’Italia”.
Già, perché quell’1,7% di cui parla Fornaro non è un numero venuto dal niente. Si tratta dell’effetto spread tra luglio e settembre quando la spesa per interessi è cresciuta rispetto allo stesso periodo del 2017 pari ad un aumento del 12%. Una spesa che si poteva e doveva evitare. Ci tornano a mente le dichiarazioni di Salvini in particolare, gli attacchi alla Unione europea, la manovra non si tocca, i burocrati della Ue ci fanno un baffo. E i mercati hanno reagito come sanno fare, usando gli strumenti che hanno a disposizione. Alla fine hanno dettato al governo la manovra. E i risultati si sono resi visibili. In poche parole: Istat testimonia che cala il potere di acquisto mentre aumenta la spesa per interessi. Un capolavoro che anche uno studente al primo anno di Economia saprebbe evitare. Sarebbe interessante che gli “economisti” che albergano nel governo gialloverde, non lo chiediamo a Salvini perché costui con i numeri ha qualche problema, spiegassero il mistero del bilancio del terzo trimestre.
Sale il reddito delle famiglie, aumentano i consumi, ma scende il potere di acquisto. Il rapporto deficit-Pil migliora, si fa per dire, dall’1,8 all’1,7%. La pressione fiscale è stata pari al 40,4% in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto allo stesso periodo. Il reddito delle famiglie è aumentato dello 0,1. La dinamica dell’inflazione ha annullato questo aumento, se così si può chiamare, il potere d’acquisto delle famiglie consumatrici è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. Anche la quota dei profitti sul valore aggiunto delle società non finanziarie, pari al 41,4%, è diminuita di 0,9 punti. Il tasso di investimento delle società non finanziarie, pari al 22,2%, è aumentato di 0,1 punti. L’incidenza del deficit delle amministrazioni pubbliche sul Pil, commenta l’Istat, ha segnato nel terzo trimestre un miglioramento marginale (0,1 punti percentuali rispetto al corrispondente trimestre del 2017), poiché l’aumento dell’avanzo primario è stato quasi completamente bilanciato dalla crescita della spesa per interessi (salita di circa 1,7 miliardi). Il reddito disponibile delle famiglie, prosegue l’Istat, ha segnato un incremento modesto (+0,1%), dopo quello decisamente marcato del trimestre precedente.
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