Palermo, summit sulla Libia. Nessun documento conclusivo, nessun impegno concreto, rinvio sine die. Non una parola sui lager libici

Palermo, summit sulla Libia. Nessun documento conclusivo, nessun impegno concreto, rinvio sine die. Non una parola sui lager libici

Tanto rumore per nulla, avrebbe titolato William Shakespeare, nel summit organizzato a Palermo sulla Libia. E se, come ancora scrivono i 5Stelle, raccontare del fallimento sostanziale vuol dire “essere contro l’Italia”, ebbene accetteremo anche questa accusa, tra le tante altre. Ma i fatti sono duri come pietre, e la propaganda pentastellata e quella di Palazzo Chigi non può non riconoscere l’inutilità del summit, l’incapacità del governo di promuovere una vera strategia sulla Libia, che sia davvero europea, e soprattutto la sua subalternità ad alcuni dei leader dei Paesi africani. Tanto rumore per nulla? Oppure uno stratagemma messo in piedi proprio nel giorno della consegna della lettera sulla manovra economica a Bruxelles, fingendo così di essere interlocutori principali della Ue per la Libia, e cercando un baratto per nuova flessibilità, sul modello renziano? Il sospetto è d’obbligo, viste le reazioni dei capi di stato e delle organizzazioni non governative, già note da tempo.  Nessun documento finale, dunque, alla conferenza di Palermo sulla Libia, a cui le diplomazie pure lavoravano da settimane. E sarebbe stata in particolare la delegazione del generale Khalifa Haftar, così corteggiato da Conte da scomodare perfino Putin pur di averlo a Palermo, a contestare il testo della dichiarazione finale della Conferenza, che comunque già si sapeva nei giorni scorsi non sarebbe stata firmata, ma presumibilmente solo approvata. E della Conferenza di Palermo restano la stretta di mano tra il maresciallo Khalifa Haftar e il presidente del governo di Accordo nazionale, Fayez al Serraj, immortalati in una foto opportunity, e lo schiaffo della Turchia che ha abbandonato a metà giornata “con profonda delusione” villa Igiea. L’intesa “verbale e senza documento finale” tra le parti libiche prevede, come già anticipato alle Nazioni unite, una conferenza generale in Libia nelle prime settimane del prossimo anno e le elezioni in primavera passano in secondo piano (mentre il governo italiano ha sempre premuto per elezioni in dicembre, altro smacco), nonostante l’entusiasmo del rappresentante speciale per l’Onu in Libia, Ghassan Salamé, che ha definito il summit di Palermo “pietra miliare per il futuro dei libici” e quello, molto di maniera, del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, secondo cui “l’Italia riunisce i protagonisti del Mediterraneo e rilancia il dialogo per la Libia”, senza rivendicare “leadership” o fini economici.

Palazzotto, Sinistra Italiana: “Flop annunciato, dopo 7 anni siamo al punto di partenza”

“La conferenza internazionale sulla Libia di Palermo è stato un flop annunciato. Non tanto per le presenze, viste le assenze dei maggiori leader europei, quanto per le conclusioni. Dopo sette anni siamo ancora al punto di partenza: all’invito a trovare una soluzione condivisa. Non una parola sui campi lager in cui vengono rinchiusi i migranti, come niente sul rispetto dei diritti umani negati in quel Paese. Questo basta per dire che in Libia la strada da fare è ancora molta”, afferma il deputato di Leu Erasmo Palazzotto. E più forte è l’appello di Amnesty International che in unota del suo rappresentante in Italia, Riccardo Noury, non può evitare di manifestare delusione: “Mi auguro che la stretta di mano” tra il generale libico Khalifa Haftar e il premier del governo di unità nazionale della Libia Fayez al Sarraj “non sia stata utile soltanto per i fotografi, ma che significhi arrivare a un progresso autentico, nel quale tuttavia temiamo che i diritti umani rischino di continuare a essere assenti”. Riccardo Noury afferma che “in questi giorni della Conferenza di Palermo non ho sentito le parole ‘diritti umani’. Ho sentito altre cose che hanno tutte un obiettivo. Fare della Libia un Paese stabile affinché continui ad assolvere in maniera più efficace il compito che le è stato affidato dall’Europa e in particolare dall’Italia: fermare le partenze dei migranti verso l’Europa”.

Il professor Karim Salem spiega la tragica situazione del conflitto libico. Le fazioni in guerra sono molto più di due

La crisi libica non solo non viene risolta, ma continua ad essere aggravata da Paesi stranieri che finanziano le milizie armate, considerandole interlocutori credibili. Ne è convinto Karim Salem, ricercatore presso il Cairo Institute for Human Rights Studies e rappresentante della Libya Platform, una coalizione di 15 associazioni libiche. Salem interviene a Roma nel corso della conferenza stampa alla Camera promossa dall’Arci ‘Le verità scomode sugli accordi con la Libia e le sue milizie’. I relatori esprimono forti riserve sull’appuntamento siciliano, incapace di fornire una soluzione efficace all’instabilità libica – che prosegue dal 2011 – in quanto continua a sostenere che in Libia si scontrino due fazioni. Ma le fazioni in guerra sono molte di più: come ha spiegato Karim Salem, accanto all’esercito nazionale e alle brigate di Khalifa Haftar esiste tutta una galassia di gruppi armati dove “non c’è solo l’Isis ma anche gli estremisti salafiti”. Tutto avviene in una dinamica fluida, poiché formazioni, alleanze o inimicizie variano a seconda della convenienza. “E la presenza dei gruppi armati militari e paramilitari non solo mette in pericolo la popolazione, che continua a subire violenze, ma paralizza il lavoro di tutte le istituzioni” avverte Salem. “Il potere legislativo, esecutivo e giudiziario non funzionano a causa loro”. Lo dimostrerebbero l’inefficenza dei due governi di Tripoli e Tobruk, ma anche “l’impossibilità dei giudici a svolgere il proprio lavoro, dal momento che subiscono continuamente minacce. E questo favorisce l’impunità”. I governi occidentali, tramite gli accordi stipulati con alcuni attori locali, finiscono per finanziare le milizie, accusa Salem, “e questo aumenta la criminalità e allontana dalla pace”. L’attivista avverte: “Si pensa che i migranti siano gestiti dal ministero dell’Interno ma in realtà, sono le milizie locali a governare il fenomeno”. Insomma, i tavoli di pace organizzati finora dalle potenze straniere “hanno fallito perché non tengono conto della fragilità della situazione sul terreno. Ad esempio, si parla di disarmo. Ma al momento non è stata redatta alcuna lista chiara delle milizie da integrare nell’esercito nazionale, né si è deciso come farlo”. Salem conclude tracciando percorsi e via d’uscita possibili: “Bisogna formare un comitato sotto l’egida dell’Onu, che implementi un piano trasparente. Le istituzioni libiche devono impegnarsi a ricostruire la società, a partire dalla lotta all’impunità e riorganizzando il settore della sicurezza. Se arrivano armi, bisogna sapere chi le sta fornendo e a chi”. E se questa analisi è vera, come crediamo che sia, poiché proviene da chi la tragedia libica la conosce e la studia ogni giorno, di cosa cianciano il governo e i suoi aedi, i quali parlano di un successo del summit, e in particolare dell’Italia? Se questo summit era il fiore all’occhiello della politica estera italiana, sarebbe opportuno un enorme ripensamento. Era dunque solo propaganda? Ebbene, sì, purtroppo.

Share