Papa Francesco innalza alla santità Paolo VI, ma soprattutto l’arcivescovo Romero, una vita spesa per i poveri. Invitò i soldati a non uccidere, a disobbedire. E fu ucciso

Papa Francesco innalza alla santità Paolo VI, ma soprattutto l’arcivescovo Romero, una vita spesa per i poveri. Invitò i soldati a non uccidere, a disobbedire. E fu ucciso

“La ricchezza è pericolosa”. Sono le parole che papa Francesco ha scelto per l’omelia della messa nella quale ha proclamato Santi Paolo VI, monsignor Romero e altri cinque beati. Tutti uniti dall’aver dato la vita per la Chiesa e per gli ultimi. Per celebrare, ha scelto di usare il Calice, il pallio e la pastorale di Paolo VI. E di stringere alla vita il Cingolo ancora insanguinato del martirio di Romero. La ricchezza, ha spiegato Bergoglio, “rende difficile persino salvarsi”. E il problema non è la severità di Dio. Il problema è “il nostro troppo avere, il nostro troppo volere ci soffocano il cuore e ci rendono incapaci di amare”. Il cuore è come una “calamita”, ha detto: “si lascia attirare dall’amore, ma può attaccarsi da una parte sola e deve scegliere, o amerà Dio o amerà la ricchezza del mondo”. Tra i 70mila fedeli raccolti in piazza e arrivati da ogni parte del mondo ci sono anche la Regina Sofia di Spagna, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, i presidenti del Cile, di El Salvador e di Panama. Anche ai potenti, il papa ha suggerito che la grazia da chiedere è quella di “lasciare le ricchezze, le nostalgie di ruoli e poteri, le strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo”.

L’arcivescovo di El Salvador Romero. La sua lotta per i poveri e gli ultimi della Terra

“È inconcepibile che qualcuno si dica cristiano e non assuma, come Cristo, un’opzione preferenziale per i poveri. Prendiamo sul serio la causa dei poveri, come se fosse la nostra stessa causa, o ancor più, come in effetti poi è, la causa stessa di Gesù Cristo”. Parlava così Oscar Romero in un’omelia il 9 settembre 1979. Un anno dopo, mentre celebrava la messa, un cecchino dello squadrone della morte gli recise la giugulare. La sua colpa era aver parlato ‘troppo’, aver denunciato gli abonimi della dittatura militare di El Salvador. Era il 24 ottobre e nella stessa data l’Onu ha proclamato la Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime.

Romero non era solo un vescovo, era un prete di strada, il sacerdote degli ultimi, voce degli oppressi: il santo perfetto per papa Francesco. Negli anni del suo arcivescovado e dopo la sua morte, fu accusato da più parti di essere stato vicino alla teologia della liberazione, ma Bergoglio non ha mai avuto dubbi sulla santità: “Ucciso due volte”, disse durante la sua beatificazione. “Diffamato e calunniato, anche da suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Lapidato con la pietra più dura che esiste al mondo: la lingua”. Sembra che con Paolo VI ci fosse un rapporto difficile. Nell’ultima udienza privata con lui, l’arcivescovo di San Salvador lasciò al Pontefice una nota dura: “Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico”.

L’invito di monsignor Romero ai soldati: “disubbidite agli ordini, Non uccidete”

Il 23 marzo 1980 Romero invitò gli ufficiali e tutte le forze armate a non eseguire gli ordini, se contrari alla morale umana: “Io vorrei fare un appello particolare agli uomini dell’Esercito e in concreto alla base della Guardia Nazionale, della Polizia, delle caserme: Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri stessi fratelli contadini; ma rispetto a un ordine di uccidere dato da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice ‘Non uccidere’. Nessun soldato è tenuto a obbedire a un ordine contrario alla Legge di Dio. Vi supplico, vi chiedo, vi ordino in nome di Dio: ‘Cessi la repressione!'”.

Fu ammazzato il giorno dopo, mentre celebrava la messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza. Giovanni Paolo II decise di non presiedere al funerale, delegò la celebrazione a Ernesto Corripio y Ahumada, arcivescovo di Città del Messico. Durante i funerali l’esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un massacro.

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