Una risposta a Nadia Urbinati: sì la sinistra non può dimenticare il socialismo. Il ruolo degli intellettuali e il loro “diritto” a costruire una nuova cultura politica. Il “programma fondamentale” di Trentin

Una risposta a Nadia Urbinati: sì la sinistra non può dimenticare il socialismo. Il ruolo degli intellettuali e il loro “diritto” a costruire una nuova cultura politica. Il “programma fondamentale” di Trentin

Difficile, anzi impossibile per noi, non essere d’accordo con Nadia Urbinati, docente del Dipartimento di Scienze politiche alla Columbia University, quando scrive su Repubblica un commento il cui titolo è già tutto un programma. “Se la sinistra dimentica il socialismo”, questo il titolo, pone un problema vitale non solo per il futuro dell’Italia, oggi preda di una alleanza giallo-verde che si annuncia come disastrosa non solo per il nostro paese ma per l’Europa intera. In altra parte del giornale raccontiamo le gaffe del presidente del Consiglio nei suoi interventi al G7. Giuseppe Conte viene trascinato a viva forza, quasi diciamo per non essere troppo offensivi nei suoi confronti, dal suo capo della comunicazione, fuori da un incontro con i giornalisti in una pausa dei lavori del G7 onde evitare ulteriori strafalcioni.

Nadia Urbinati prende spunto dal ritorno al potere in Spagna del Partito socialista, con il suo leader Sanchez, che “non disdegna di identificarsi con le idee socialiste”. Prosegue la professoressa: “Difficile dire cosa pensa il nostro Partito Democratico, che sembra aver scelto questo aggettivo per non doversi qualificare. In Italia vi è timidezza – prosegue – per non dire ostilità a dichiararsi di sinistra”.

Non c’è solo la Spagna di Sanchez. Da Corbyn a Sanders, la “riscossa”

Non c’è solo la Spagna, non c’è solo Sanchez. Jeremy Corbyn, il leader laburista inglese, in un recente intervento ha affermato che “voci più prominenti della sinistra sono sembrate non più in contatto con la realtà e troppo impegnate a difendere lo status quo e l’ordine stabilito”. E così “quella parte della popolazione che si sente abbandonata da questo sistema ha trovato le voci dell’estrema destra più radicali di quelle della sinistra”, e si è lasciata incantare dal loro richiamo. Corbyn ha invertito la rotta e il partito laburista ha ritrovato forza, capacità di rappresentare il mondo del lavoro e non solo. Perfino negli Stati Uniti Bernie Sanders ha fatto risuonare con successo la parola socialismo. È stato l’unico membro del Congresso ad autodefinirsi espressamente socialista e  non genericamente progressista  o liberal. E tanti giovani sono diventati uno dei suoi punti di forza. E poi ci sono tanti altri leader che si richiamano alla sinistra, dal Portogallo, alla Grecia, alla Francia stessa che cercano una “casa socialista”. Pensavo a Sanders quando alla recente assemblea di Liberi e Uguali abbiamo faticato a trovare qualche giovane da intervistare. Assemblea nel corso della quale la parola “socialismo” è stata quasi ignorata. Forse c’è anche un motivo per cui questa bella parola viene ignorata o, comunque, messa in un angolo. Questa parola richiama il craxismo che di socialista aveva ben poco. Allora si è preferito, quando  il partito comunista si trasforma (non è qui il caso di entrare nel merito di una scelta che allora ritenemmo sbagliata e continuiamo a pensare così) il Pds, i Ds, poi si arriva all’Ulivo e al Pd. Dal Pd si passa a Rifondazione comunista, Comunisti Italiani, Sinistra italiana, Liberi e Uguali e si scoprono “campi progressisti”. La parola “socialista” resta appannaggio di due movimenti, uno che richiama il partito craxiano, l’altro la tradizione del socialismo storico.

Occorre riscrivere il vocabolario, riscoprire il valore della parola socialismo

È in questo quadro che si inserisce uno stimolo politico, di grande interesse come quello proposto da Nadia Urbinati. Forse, pensiamo, sarebbe necessario ricostruire il vocabolario, riscoprire i valori fondanti del socialismo, riappropriarsi di quanto lasciato in eredità da Gramsci, dalle tante personalità della “scuola comunista”, di quella della tradizione socialista, l’dea di Giustizia di Carlo Rosselli, della “scuola” del sindacalismo con un richiamo a Bruno Trentin, segretario generale della Fiom Cgil, la grande organizzazione dei metalmeccanici, poi segretario generale della Cgil, parlamentare europeo dei Ds, cui venne affidato l’incarico di scrivere il “programma fondamentale” del nuovo partito, insieme, fra gli altri, ad Alfredo Reichlin, Giorgio Ruffolo. I “Diari 1988-1994” curati da Iginio Ariemma, l’eredità politica  di Trentin sono un utile “manuale” nel senso più elevato del termine per costruire un nuovo soggetto politico socialista. Due sono le parole chiave, le “rivendicazioni” sulle quali basare il nuovo partito della sinistra, la libertà e l’uguaglianza. Parole semplici che hanno bisogno, per diventare l’ossatura del “programma fondamentale” del nuovo socialismo, del contributo fondamentale di personalità del mondo della cultura, di quegli intellettuali con i quali il Pci aveva un rapporto “odi et amo”, basta ricordare gli scontri fra Togliatti e Vittorini, rapporto fondamentale. Un rapporto che va sempre più perdendo la sua “forza propulsiva” essenziale per una cultura politica di sinistra, socialista. Fino ad una vera e propria repulsione da parte di Renzi Matteo e del suo  Pd, nel quale gli intellettuali, le personalità del mondo della cultura sono definiti dei “salottieri”.

I  partiti che si richiamano alla sinistra incapaci di “usare” il mondo della cultura

Ma quel salto di qualità che era da ritenersi possibile, a nostro parere indispensabile, per costruire un nuovo partito della sinistra, non vi è stato neppure in quelle forze che hanno dato vita a formazioni che richiamano la sinistra, frammenti di una politica che non ha saputo, o voluto fare della cultura la sua forza propulsiva. È vero che quei partiti, spezzoni della sinistra, hanno fatto poco o niente per allacciare rapporti con il variegato mondo della cultura, non ne hanno cercato il contributo, chiusi in un loro piccolo orizzonte. È vero anche, non ci riferiamo a nessuno in particolare, che è molto più facile partecipare ad una trasmissione televisiva, o scrivere commenti, che, non è il caso per essere chiari dell’articolo di Nadia Urbinati, che sembrano calati dall’alto, prediche da una cattedra. Oggi, più che mai, c’è bisogno di “mischiarsi”, anche, come accadeva un volta, partecipare ad assemblee dal basso, nelle sezioni, magari per ricostruire un rapporto fra il popolo e la cultura. Ricordiamo ancora Bruno Trentin, un dirigente sindacale, un intellettuale che metteva la sua cultura a disposizione dei lavoratori. Il socialismo di cui parla Nadia Urbinati o è questo o non è.

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