Storie di ordinaria ingiustizia, il diritto al diritto negato. Un convegno colpevolmente ignorato che racconta la mala giustizia italiana

Storie di ordinaria ingiustizia, il diritto al diritto negato. Un convegno colpevolmente ignorato che racconta la mala giustizia italiana

Forse il Consiglio Superiore della Magistratura (dall’attuale ministro della Giustizia non sembra sia aria di aspettarselo, ma chissà…) dovrebbe disporre che in tutti i tribunali, prima del ritiro in camera di consiglio per deliberare una sentenza, si pronunci un monito: “Ricordatevi del povero Enzo Tortora”; a imitazione esplicita del monito disposto dal Doge di Venezia: «Recordève del pòvaro Fornaretto!». Quella del Fornaretto dovrebbe esser storia (o leggenda) nota. Conviene comunque rammemorarla.

Siamo nella Venezia rinascimentale del 1507. Il giovane panettiere Piero Fasiol si reca alla sua bottega o, secondo altre versioni, dalla sua amata Annetta per chiederle di sposarlo; trova una guaina d’argento e decide di farne dono ad Annetta, che però non lo accetta e gli chiede di tornare indietro a vedere se qualcuno la sta cercando. Tornato indietro, Piero trova steso a terra il cadavere del conte Alvise Guoro. Per farla breve: viene accusato del delitto. Dopo varie peripezie (e tra l’altro un tentativo di fuga non riuscito), il Consiglio dei Dieci stabilisce che Piero è colpevole e lo condanna a morte. Sentenza eseguita in Piazza San Marco, per decapitazione. Non passano molti giorni, che, per un caso fortuito, si individua il vero assassino. In seguito ai rimorsi per aver condannato il povero fornaretto, i magistrati veneziani divennero molto più prudenti nel decidere sulla vita di una persona.

Prudenza che sembra essersi smarrita, e non solo perché si è consumato il “caso” Tortora. Il protagonista-vittima di questa vicenda, infatti, per primo, sosteneva che quel che si definiva il “suo” caso in realtà era il caso Italia, il caso di una giustizia spesso miope, cieca, negata. Il “caso” di cittadini ogni anno detenuti ingiustamente per un errore (talvolta anche grave, e sempre senza conseguenza per chi lo aveva commesso) del magistrato, sia inquirente che giudicante. Come appunto per il caso del Fornaretto. Giustizia ingiusta sopratutto per la sua lentezza esasperante, nel giudizio: mesi ed anni prima di stabilire innocenza o colpevolezza; e anche quando il reato contestato è grave, un delitto, una strage o reati attinenti a mafia o similari organizzazioni. Per non dire della nessuna certezza del diritto; per fare un solo esempio tra i molti: il caso della ragazza con i jeans risolto dalla Cassazione in un negare esserci stata violenza, perché quel particolare tipo di pantalone è troppo stretto, e lo si può togliere solo con la volontà di chi li indossa. Qualche settimana dopo, tuttavia, sempre jeans, e sempre i fissati da una ragazza; ma in quel caso violenza: e vien spontaneo chiederai come sia possibile che una sezione della Cassazione abbia potuto stabilire che gli stessi jeans in un caso non possono essere sfilati senza volontà, e un’altra invece il contrario. Ma di questi casi, di queste vicende, di queste contraddizioni ( e contraddizioni è termine assai blando) la giurisprudenza italiana è tristemente ricca.

Di tutto questo si è parlato in un recente convegno, curiosamente ignorato, organizzato dal Partito Radicale e dal sito “Errori giudiziari” che professionalmente e sistematicamente si occupa di giustizia negata. Si è detto “curiosamente”; ma a ben vedere si dovrebbe dire: “logicamente”, visto che certe verità sono ogni giorno più scomode, indicibili, e il “governo” della giustizia sembra andare in direzione opposta a quella disegnata dalla Costituzione. Per tornare al convegno. Chiamarlo una sorta di “Spoon river” degli errori/orrori giudiziari, è un eufemismo. Significativamente fissato nel 35esimo “anniversario” di Tortora a Roma, è stato il “palcoscenico” dove decine di persone hanno parlato del proprio dramma di incarcerati innocenti. E non solo. Si può essere vittime anche senza fare un solo giorno di galera, come è capitato a una scienziata che il mondo ci invidia e che ora è “emigrata” negli Stati Uniti: Ilaria Capua; ha ricordato il linciaggio mediatico, subito per un’inchiesta finita nel nulla, indicata come trafficante di virus. Il settimanale “L’Espresso” le dedicò un`”indimenticabile” copertina. In un glaciale silenzio Ilaria Capua ha scandito: “Meno male che mio padre era morto qualche giorno prima, non ha visto il nome della famiglia finire sui giornali. Né gli insulti che i parlamentari grillini mi scagliavano ogni volta che mi presentavo in aula alla Camera, eletta nelle liste del Partito Democratico”.

Trentacinque anni sono trascorsi, e ancora raggela ascoltare Francesca Scopelliti, compagna di Tortora, che elenca le assurde accuse scagliate contro Enzo da mitomani camorristi senza il minimo riscontro o verifica. Per la prima volta hanno parlato in pubblico persone come Angelo Massaro: per una intercettazione mal capita si è fatto da innocente 21 anni di carcere per omicidio prima di ottenere la revisione del processo. O l’imprenditore Diego Olivieri, condannato per associazione mafiosa, traffico internazionale di droga e riciclaggio di 600 milioni di euro, risultato poi innocente. Nel frattempo l’azienda fallisce e lui non riesce più a riprendersi. C’è poi il caso di una presunta pedofila: Anna Maria Manna, arrestata per un riconoscimento fotografico fatto da un bambino di sei anni su una fototessera di un documento che la ritrae quando aveva diciassette anni. Trascorre oltre tre mesi tra carcere e arresti domiciliari. Assolta il 13 luglio 2001, nessuno le chiede scusa. E ancora: la storia di Stefano Messore scambiato e presentato in tv come uno degli sciacalli del terremoto di Acquasanta il 24 agosto 2016 e invece era un vero volontario soccorritore. Cinquanta giorni di carcere e l’assoluzione giunta solo il 3 luglio 2017, un anno dopo, quando ormai la sua vita era stata distrutta dal ciclone mediatico-giudiziario.

Di queste vicende, si potrebbe scrivere per giorni, settimane. Che la mala giustizia non rientri nell’agenda politica di maggioranza e opposizioni significherà pur qualcosa; che questi convegni siano ignorati, anche questo la dice lunga. Che siano gli spazi disponibili per parlarne e pochissime le persone disposte a farlo è cosa che da sola si commenta. Eppure quella della giustizia, del diritto al diritto dovrebbe essere una “ossessione” di tutti e di ciascuno. Perché si vorrebbe vivere in un paese dove non si deve aver paura quando la mattina presto ti bussano alla porta; e dove – come prescrive la Costituzione – si è innocenti fino a quando non si prova la colpevolezza.

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