Nuova torsione del premier Conte al G7 del Canada, ora rinnega le sanzioni contro Mosca, mentre si genuflette a Trump, che non firma il documento finale. E Di Maio sogna la Dc

Nuova torsione del premier Conte al G7 del Canada, ora rinnega le sanzioni contro Mosca, mentre si genuflette a Trump, che non firma il documento finale. E Di Maio sogna la Dc

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha definito “estremamente produttivo” il dialogo con le controparti a conclusione del vertice del G7 in Canada, dibattito concentrato sulla spinosa guerra dei dazi, e ha aggiunto che “le relazioni” tra i leader sono “straordinarie”. Ma ha assicurato che “la situazione sui dazi deve cambiare e cambierà, al 100 per cento. Siamo come il salvadanaio in cui tutti rubano”. Incontrando la stampa poco prima di imbarcarsi sull’Air Force One alla volta di Singapore, dove incontrerà il leader nordcoreano, Kim Jong-un, Trump ha fermamente negato che ci siano state tensioni. Ma ha messo in guardia i paesi che mettono in campo ritorsioni ai dazi degli Usa, sostenendo che “stanno facendo un errore tremendo,” e gli Stati Uniti vinceranno la guerra “1.000 volte su 1.000”. Poi ha spiegato: “Ci aspettiamo che le altre nazioni creino un mercato equo all’accesso delle esportazioni americane. E faremo tutto il possibile per proteggere i lavoratori americani da pratiche commerciali inique. Niente dazi, niente barriere, così dovrebbe essere. E nessun sussidio. Ho anche detto ‘nessun dazio'”, ha insistito, spiegando di aver proposto un’area di libero scambio. “Sono certo che funzionerà: non ora ma alla lunga funzionerà”.

Tutto ciò è accaduto mentre il presidente Trump era ancora in Canada. Una volta messo piede sull’Air Force One, Trump si è scatenato, ed ha scatenato il caos. Insomma, il vertice del G7 in Canada è finito nel caos, con tanto di insulti e minacce che sembrano destinati a inasprire ulteriormente la guerra commerciale sui dazi. Pochi minuti dopo il comunicato congiunto che era stato approvato dagli altri leader dei Grandi del Mondo, Trump si è lanciato in una bordata di Twitter, da bordo dell’Air Force One; e ha ritirato la firma dalla dichiarazione congiunta faticosamente negoziata, accusando il primo ministro canadese Justin Trudeau di essere “molto disonesto e debole”. Le sue parole, mentre era già diretto verso Singapore, per lo storico vertice con Kim-Jong-un, sono arrivate poco dopo che Trudeau aveva annunciato l’accordo da parte delle sette nazioni, ma aveva promesso rappresaglie contro i dazi degli Stati Uniti. Trump aveva lasciato il vertice in anticipo in rotta per Singapore e lo storico vertice nucleare con la Corea del Nord ma le parole di Trudeau, nella conferenza stampa finale in Quebec, non gli sono piaciute: “Sulla base delle false dichiarazioni di Justin nella sua conferenza stampa, e il fatto che il Canada mette dazi massicci ai nostri agricoltori, i lavoratori e le aziende americane, ho dato istruzioni ai nostri rappresentanti Usa di non approvare il comunicato e stiamo valutando dazi sulle automobili che inondando il mercato degli Stati Uniti”, ha tuonato su Twitter. “Trudeau ha agito in modo mite durante i nostri incontri del G7, solo per dire, in una conferenza stampa dopo la mia partenza, che ‘i dazi degli Stati Uniti sono una sorta di insulto’ e che lui ‘non sarà preso in giro’. Molto disonesto e debole”. A scatenare Trump sono state le parole di Trudeau che aveva definito “un insulto” la decisione di Washington di invocare la sicurezza nazionale per giustificare i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio. “I canadesi sono educati e ragionevoli, ma non saranno presi in giro”. Insomma un caos totale. Del resto, con il senno di poi, che le cose non fossero filate lisce, era apparso evidente. Lo aveva evidenziato plasticamente la foto, pubblicata qualche ora prima, dal cancelliere Angela Merkel sul suo account Twitter, che ben ‘fotografa’ il tempestoso negoziato tra i leader in Canada: Trump, è al centro, seduto ma quasi assediato dagli altri presenti, tutti in piedi; la stessa Merkel è protesa verso di lui a mostrargli i pugni, e accanto a lei, sempre in piedi il premier canadese e quello giapponese, Shinzo Abe, pronti a darle man forte.

Trudeau, Macron e Merkel annunciano un documento comune, in cui però si sottolineano le differenze su clima e dazi con Trump

Si impegnano a combattere insieme il protezionismo i leader del G7, malgrado le tensioni sui dazi di Trump, e si dicono pronti non solo a mantenere ma anche a “rafforzare” le sanzioni alla Russia, “se le sue azioni lo richiedessero”. Il messaggio a Mosca è chiaro: “Sollecitiamo la Russia ad applicare gli accordi di Minsk sull’Ucraina, a cessare il suo comportamento destabilizzante, a cessare di minare i sistemi democratici e il suo supporto al regime siriano. Condanniamo l’attacco con gas nervino a Salisbury”. E’ di 28 paragrafi il sofferto documento finale dei leader del G7, che dichiarano di voler modernizzare il Wto per renderlo “più giusto nel più breve tempo possibile” e di impegnarsi a “ridurre le barriere tariffarie, non tariffarie e i sussidi”. “Il commercio e gli investimenti liberi, giusti e reciprocamente vantaggiosi creano reciproci benefici e rappresentano il motore per creare crescita e lavoro”. Ma i leader sottolineano anche – laddove traspare il lavoro di bilanciamento delle posizioni europee e americane – “il ruolo cruciale di un sistema basato sulle regole internazionali del commercio”. Uniti su crescita, parità di genere, lavoro del futuro, la salvaguardia degli oceani, i leader, come c’era da aspettarsi, si dividono sull’accordo di Parigi. Con un paragrafo a sei nel quale viene confermato e sottoscritto, seguito da un altro solamente americano che si concentra sulle energie rinnovabili e gli sforzi per garantire attraverso il loro uso crescita e lavoro. Il documento riconosce infine i recenti sviluppi per quanto riguarda la Nord Corea ma continua “a richiamare Pyongyang alla completa denuclearizzazione e allo smantellamento completo verificabile e irreversibile”. I leader ribadiscono l’impegno nella lotta all’Isis e contro l’uso di armi chimiche in Siria. Definiscono “destabilizzante” la minaccia rappresentata dal programma balistico iraniano e si dicono impegnati ad “assicurare che rimanga pacifico”. Il prossimo G7, annunciano infine, sarà in Francia, a Biarritz.

Il premier Conte insiste su Putin al G8, ma ora rinnega le sanzioni a Mosca sottoscritte nel contratto di governo

Date queste premesse, non si comprende ancora la posizione italiana in politica estera, che il premier Conte ha cercato di spiegare anche nel corso di una conferenza stampa quando in Italia era tarda sera. La prima missione internazionale, il primo summit G7, la prima volta con gli alleati europei ‘di peso’, la prima volta faccia a faccia con il presidente degli Stati Uniti d’America. Poche parole di introduzione, solo per dire che dal suo punto di vista il bilancio del summit di Charlevoix è positivo (mentre Trump scatenava il caos) e il presidente del Consiglio cede la parola ai giornalisti. Un giro di nove domande che spaziano dalla politica interna a quella estera, dall’economia ai rapporti con i partiti della maggioranza di governo. A ciascuna domanda, Conte risponde con il sorriso di cortesia e l’aria di chi è abituato a parlare agli studenti, tornando anche – se e’ il caso – su alcuni concetti per spiegarli meglio. Come quando utilizza la parola “diacronica”: riavvolge il nastro e spiega che si tratta di “prendere in considerazione gli eventi nell’ordine temporale in cui essi si sviluppano”. Ci si concentra subito sul filo conduttore – almeno per l’Italia – del G7 canadese: il rapporto con Trump e quello con i partner europei. Nessuna paura di sacrificare il primo per il secondo o viceversa: quella con gli Stati Uniti è, per l’Italia, un’alleanza strategica e “mantenere buone relazioni con gli Usa e andare in conflitto con i partner europei è una paura che possiamo accantonare”.

Da qui al ‘caso’ Russia il passo è breve e il presidente del Consiglio conferma quanto ripetuto ai suoi alleati nelle ultime 48 ore: “Auspico che Mosca, la Russia, possa sedere quanto prima al tavolo del G8. Questo non significa che deve accadere oggi, ma – appunto – quanto prima”. D’altra parte la posizione dell’Italia su questo tema ha ottenuto una legittimazione forte con il voto di fiducia alle Camere. I rapporti con la Russia, così come enunciati dal presidente del Consiglio, erano stati illustrati nel discorso con il quale Conte ha chiesto la fiducia: basta con le sanzioni a Mosca, poi però non spiega come mai firma un documento comune del G7 (poi divenuto G6) nel quale si confermano le sanzioni e si stigmatizza ancora una volta il comportamento di Mosca. Ancora, sulla riunione dei ministri economici del governo, prevista per lunedì a Palazzo Chigi, Conte scherza con la giornalista che pone la domanda – “lo ha saputo prima di me…” – poi risponde, garbatamente, di non poter rispondere: “Non mi sento di anticipare i temi della riunione, mi riservo di parlare prima con i ministri ed elaborare una proposta da condividere”. In ogni caso, i segnali che arrivano dal G7 sono incoraggianti, specie dopo il colloquio a quattr’occhi con il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde: “Abbiamo parlato dei conti pubblici italiani e mi ha riferito che non c’è alcuna preoccupazione nei confronti dell’Italia”. Ma è sulla politica interna che il professore mostra i muscoli. Gli viene chiesto se si senta limitato nella sua libertà di manovra dai capi dei partiti di maggioranza e lui rivendica il ruolo che gli assegna la Costituzione di “indirizzare la politica del governo”. Poi prende posizione sul tema delle organizzazioni non governative che salvano migranti in mare, già prese di mira dal ministro dell’interno e vice premier Matteo Salvini: “Questo governo non ce l’ha con le Organizzazioni non governative”, piuttosto ce l’ha con una Europa che, da una parte, elogia l’Italia ma dall’altra la lascia sola a fronteggiare l’emergenza: “Lo ha detto anche Merkel. L’Italia è rimasta abbandonata in questi anni. Ora sarà l’Italia a valutare gli altri, ci aspettiamo solidarietà vera. Questa Europa noi la vogliamo più equa”. Al termine della conferenza, Conte scende dal palco, stringe le mani ai giornalisti, uno per uno. Una cronista gli mostra un tweet in cui il presidente Usa lo definisce “un gran bravo ragazzo che farà un ottimo lavoro per il proprio Paese”. E detto da Trump, la cosa non rassicura molto gli italiani.

Intanto, in Italia, il vicepremier Di Maio contravviene al silenzio elettorale e immagina una neoRepubblica democristiana dove il consenso locale si conquista anche grazie al governo nazionale

E mentre il premier Conte in quota 5Stelle (ora è ufficiale: è stato l’attuale ministro alla Giustizia Bonafede a portarlo al governo, dopo una comune esperienza presso il Dipartimento di Diritto Privato all’Università di Firenze) si appresta a porre termine al vertice canadese del G7, dove si è baloccato con le personalità, le questioni e i problemi della globalizzazione, in Italia è il suo vice Di Maio che ne combina un’altra, scatenando reazioni durissime. Nel giorno del silenzio elettorale, come prescrive la legge, il viceministro dual allo Sviluppo e al Lavoro fa un comizio su Facebook. E cosa dice? Una “boiata pazzesca”, avrebbe detto il Fantozzi di Paolo Villaggio: “Avere sindaci Cinquestelle nei singoli comuni italiani significa avere sindaci che hanno dalla loro parte il governo nazionale e potranno parlare con i ministri per risolvere i problemi. Metteranno mano ai bilanci dei propri comuni, taglieranno quello che non serve e investiranno dove serve. Una grande sfida che ci consentirà di recuperare risorse per i servizi sociali, le scuole, il trasporto pubblico locale e tanto altro”. Ora, che un viceprimoministro faccia campagna elettorale è nel suo diritto, ma sbaglia a farlo nel giorno del silenzio, e con quel richiamo al “governo amico” del candidato sindaco pentastellato, che rischia non solo di essere una gaffe istituzionale (sappiamo che in fatto di analfabetismo istituzionale Di Maio è un maestro, come dimostra il caso della richiesta di messa in stato d’accusa del Capo dello Stato), ma soprattutto un ritorno alla Prima Repubblica del pentapartito, dove il consenso locale si otteneva proprio grazie ai “rapporti” e alle “relazioni” favorevoli con governo e sottogoverno. Alcune delle reazioni lo sottolinenano con forza. Stefano Fassina scrive in una nota: “Sono affermazioni gravi, in generale. Ancora più gravi oggi alla vigilia del voto. Il governo nazionale è a sostegno di ogni sindaco, senza guardare alle appartenenze partitiche perché il sindaco rappresenta tutta la sua comunità, non soltanto una parte. Di Maio lo ricordi e lo dichiari. Dopo aver affermato che ‘adesso lo Stato siamo noi'”, il vice-Presidente del Consiglio continua a fare uscite pericolose”. Tra gli altri, interviene anche il governatore del Lazio Zingaretti: “I sindaci gli elettori e le persone libere di 5 stelle dovrebbero ribellarsi alla gravità delle parole di Di Maio. I cittadini sono tutti uguali”. E perfino Clemente Mastella manifesta tutta la sua contrarietà e invoca la “resilienza democratica”: “Premesso che i sindaci dei Cinque Stelle sono un numero modesto, debbo dire che sono fuori controllo democratico le dichiarazioni del ministro Di Maio circa la sua vicinanza nella gestione del potere ai soli sindaci del suo movimento”. Inoltre, conclude Mastella, “queste sue parole lasciano allibiti. O è una delle tante gaffe oppure è un modo per chiedere agli elettori di piegarsi agli ordini del nuovo potere pentastellato. In questo caso occorre una autentica resilienza democratica”.

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