
Il professor Conte, al Senato, ha fatto il suo “bel discorso”. Però, invece di presentare un programma di governo ha svolto una lezione sui propositi mirabolanti del contratto sottoscritto tra Di Maio e Salvini di cui lui e il suo governo saranno i maggiori interpreti. L’avvocato professore ha fatto riferimento più volte ad importanti principi costituzionali. Ha detto che il governo non è razzista, certamente l’affermazione era rivolta ai suoi, e avrebbe dovuto subito dopo domandare a Salvini e a Fontana: avete capito? Ha ribadito: l’Italia non uscirà dall’euro, la flat tax sarà una tassa progressiva (ma è un arrampicarsi sugli specchi), ha parlato dei diritti della persona, di lavoro che manca, del conflitto d’interessi, di moralizzazione e sburocratizzazione dell’amministrazione pubblica, di redditi da innalzare, di come un paese tenacemente alleato degli USA deve essere aperto alla Russia; ha parlato dei privilegi dei deputati da eliminare, del conflitto d’interessi, della certezza della pena ecc. Insomma, generici buoni propositi che dovrebbero essere concretizzati da ministri e personale politico di ben altro orientamento. L’avvocato professore dovrà sudare sette camicie per far comprendere loro solo un decimo del significato culturale e politico del suo discorso.
Nel “bel discorso” di Conte manca ogni riferimento alle forze del lavoro e ai sindacati
Al suo “bel discorso”, però, è mancato qualcosa di grande e d’importante. È mancato il riferimento alle forze del lavoro e ai sindacati. Li ha semplicemente cancellati. Come non esistessero, come se la dignità delle persone non si determina nel lavoro nella qualità nei rapporti di produzione (lo sostiene anche papa Francesco), come se le organizzazioni dei lavoratori non fossero presenti ai tavoli delle vertenze per superare le crisi occupazionali, come se non esistessero milioni di lavoratori organizzati e coscienti. Nessun accenno ad un piano nazionale del lavoro come ha proposto la cgil. Il vero motore sociale riconosciuto e ribadito dal neo-presidente, in piena continuità col passato, è stata la centralità dell’impresa. Non ha fatto cenno, incredibilmente, alle centinai di lavoratori morti in pochi mesi sul posto di lavoro, non ha detto nulla su come superare le crisi dell’Ilva e di Taranto, su come affrontare le pesanti questioni delle aziende che licenziano, che delocalizzano, su come tutelare i tanti giovani che sono sfruttai sia per i bassi salari che per la sospensione dei loro diritti, per la frammentazione contrattuale che li condanna alla sudditanza nel lavoro e a una pessima qualità della vita singola, sociale e culturale.
Tra le sue diverse citazioni della Costituzione, che vanno apprezzate, è mancata però la citazione di quella parte dell’art. 3 che dice che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Appunto, è compito dello Stato e rimuovere gli ostacoli che impediscono.
La genericità degli intenti ha tramutato il programma di governo in una analisi sociologica, in una disquisizione legale, in un neodiritto amministrativo e così le scelte concrete sono state rese impercettibili, sommerse da equilibrismi politici.
Nessuna risposta programmatica sui grandi problemi posti dal mondo del lavoro
Tuttavia, le questioni sono tutte davanti agli italiani che vogliono sapere concretamente: quanti finanziamenti e dove per il lavoro? si prevede un piano del lavoro o solo mance e nuove strutture burocratiche? quale ipotesi di sistema pensionistico per i giovani e i precari? quale riduzione dell’età pensionabile? Quale riforma democratica del sistema scolastico? Quando e come i precari nella pubblica amministrazione saranno assunti? Il sistema dei trasporti vedrà uno sviluppo delle ferrovie e del cabotaggio, la cura del ferro, o i finanziamenti andranno come al solito alla gomma che causa traffico e inquinamento? Come s’intende ridurre e di quanto l’inquinamento atmosferico che provoca i cambiamenti climatici? quali scelte energetiche, quali investimenti, quali imprese, quanta nuova occupazione per superare le fonti fossili? Come si eliminano i tempi lunghi d’attesa per le visite specialistiche che rappresentano la porta girevole verso la sanità privata? Lo Stato interviene o no nella riorganizzazione societaria dell’Alitalia e dell’Ilva? Le aziende pubbliche vengono riformate e potenziate o le si svendono ai grandi gruppi monopolistici? La casa è un diritto? Il suolo lo si difende dall’incuria e dalla cementificazione? L’economia circolare significa o no riciclaggio dei rifiuti? Le domande potrebbero continuare e il paese s’incaricherà di incalzare, di chiedere e di volere soluzioni a favore dei cittadini, dei lavoratori e dell’ambiente.
Ma la contraddizione più evidente è tra le ipotesi programmatiche e le forze disponibili a realizzarle: esse sono assai eterogenee e contrastanti per cultura e per interessi sociali. Le distanze non sono solo tra Lega e 5stelle, ma forti diversità esistono entro ogni singolo partito e blocco elettorale. Possono anche raccontare la storiella che non esiste più la destra e la sinistra, che tutti i ceti sociali sono uguali, che le disuguaglianze saranno superate con le belle parole dei buoni propositi. La verità però è un’altra. È che se si vuole dare risposte sociali realmente innovative e di giustizia sociale, allora le forze popolari del governo dovranno necessariamente guardare a sinistra in termini di valori, di scelte politiche e d’incontro popolare.
La sinistra non può stare a guardare, deve incalzare e combattere
La sinistra non dovrà stare a guardare, con o senza i pop corn, ma dovrà dall’opposizione incalzare e combattere, insieme ai lavoratori e alle forze popolari nel paese e nel Parlamento. Dovrà sventare il pericolo, gravissimo, del formarsi e del consolidarsi di un blocco reazionario di massa, che è all’orizzonte grazie alla irresponsabilità di chi, come Renzi e il suo giglio di maghetti, hanno auspicato e operato per l’incontro tra 5stelle e Lega. Costoro sono stati i nuovi paladini della dannosissima tesi del “tanto peggio tanto meglio”, ma la storia insegna che al tanto peggio seguono solo drammi sociali e democratici. Ma è risaputo che il PD di renzi non studia, non sa e non vuole sapere.
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