
Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil, il sindacato che organizza lavoratrici e lavoratori del Credito, in un articolo scritto per il nostro giornale, fa il punto della situazione politica, economica e sindacale. L’altalena dello spread, la formazione del nuovo governo, lo stato della nostra economia, il ruolo del sistema bancario anche alla luce delle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la preparazione del congresso nazionale della Cgil sono i problemi messi a fuoco. Di seguito l’articolo di Megale.
Forze del lavoro a difesa e rilancio delle istituzioni democratiche
Sarà un’estate calda, non solo per quanto riguarda le temperature in salita annunciate dagli esperti in previsioni. Partiamo dal varo del governo che sembra aver tranquillizzato i mercati anche se lo spread resta in altalena, muovendosi, in questi giorni fra 240 e 250 punti. La fermezza del Presidente della Repubblica e le dinamiche dello spread hanno indotto sia Di Maio che Salvini a rimettersi in carreggiata rispetto alla correttezza istituzionale, e questo alla fine ha prodotto un esito che, come ha ricordato Mattarella, riesce a dare un governo al Paese. Questa è una prima risposta, certo adesso molto dipenderà dai contenuti e da come il Governo si muoverà rispetto al cosiddetto “Contratto” alla base della sua formazione. Quel che possiamo sintetizzare è che è bene che la situazione politica abbia questa evoluzione; questo non toglie il fatto che il giudizio sui valori ci vede molto distanti da un Governo con queste caratteristiche di populismo e a trazione leghista e di destra.
Mi riferisco non solo all’attacco di questi giorni verso le Istituzioni ma al fatto che in quel contratto di programma si discriminino gli immigrati rispetto agli italiani, si ipotizza un intervento che nulla ha di inclusivo ma evidenzia uno spirito razzista.
Da qui l’esigenza che la democrazia, le istituzioni e il loro valore ci vedano in primo piano, in iniziative unitarie con Cisl e Uil di difesa, rilancio delle Istituzioni e della democrazia, con le forze del lavoro che nei momenti più difficili sono protagoniste della tenuta e della difesa democratica del Paese. In questo quadro importante completare l’Unione Bancaria Europea e farlo con un atteggiamento capace di dialogare con l’Europa, conquistare alleanze, rompere un asse franco-tedesco, e immaginare così di ottenere la garanzia sui depositi, immaginando anche di fare operazioni come la revisione del bail-in o anche l’indicazione negli stessi stress-test bancari, di elementi quali i derivati – sui quali l’Unione Europea non ha mai preso una posizione nemmeno lontanamente paragonabile a quella che prese Obama nel 2010 proprio con il varo di un provvedimento mirato sui derivati e mutui sub-prime (anche se oggi Trump intende rimetterlo in discussione) ma l’Unione Europea deve andare in questa direzione. A questo proposito
bene ha fatto il Presidente della Repubblica a ricondurre al ruolo di garanzia l’individuazione di ministri che devono essere in grado di accompagnare un percorso in cui non può essere in discussione né la permanenza in Europa né la permanenza nell’euro.
Dati questi punti fermi, le opinioni critiche di revisione, di riforma fanno parte della dialettica politica istituzionale ma quello che abbiamo visto prima della formazione del governo ha mostrato che ci fosse o meno un piano B, di sicuro il solo annuncio ha creato una condizione che alla fine, con le dinamiche dello spread, verrebbe ad essere pagata da lavoratori e pensionati attraverso i loro risparmi, la riduzione dei salari e i tassi di interesse che salgono in rapporto ai mutui per rimborsare i prestiti.
“L’economia italiana non può che essere dentro l’Europa”
È in questo quadro che si collocano le “Considerazioni finali” del Governatore della Banca d’Italia tenute alla fine di maggio. Con una affermazione molto chiara quando ha affermato che “l’economia italiana non può che essere dentro l’Europa”, un’analisi attenta, accurata e approfondita che tende a rendere esemplificata la lettura del rapporto sull’economia di Banca d’Italia. Considerazioni lette proprio nel momento in cui lo spread superava quota 300 dando quindi un segnale di fortissima instabilità e riportando tutti con la memoria al 2011 quando lo spread superò i 500. È stato utile ed opportuno che il Governatore ricordasse che le condizioni del Paese oggi non sono quelle di allora; vale per la crescita, per i fondamentali dell’economia – pur in presenza di un alto debito è ripartita la produzione, anche se non benissimo.
Ha comunque fatto un’analisi talmente rigorosa da rendere evidente qualsiasi riferimento ad interventi in un programma di Governo, pur senza mai dare giudizi, che non tenessero conto dei vincoli di bilancio europeo, i vincoli relativi alla copertura degli interessi sul debito e la necessità di una politica che attraverso gli investimenti potesse rilanciare la crescita e l’occupazione, avendo a mente un segnale al sistema bancario, che pur in questo ultimo anno e mezzo ha fatto dei passi in avanti notevoli. Compresi i dati sugli NPL e le sofferenze: e pur apprezzando la dinamica di riduzione e smaltimento ha comunque ricordato che bisogna vendere gli NPL e non svenderli pena conseguenze in termini di capitalizzazione e valore patrimoniale delle banche.
Aumento Iva colpirebbe in primo luogo lavoratori e pensionati
Da questa lettura della relazione dovrebbe prendere spunto il nuovo Governo. Anche perché nella discussione su chi doveva essere collocato a fare il ministro dell’Economia, vedo correttamente come il prof. Savona che stimo, sia stato collocato agli Affari Europei, un Ministero di secondo piano e assume l’Economia il prof. Tria, e i titoli dei giornali evidenziano come nel suo pensiero aumentare l’IVA si può per coprire la flat-tax. La distanza che abbiamo con il governo nasce sul piano dei valori e sarà ferma ed alternativa a quei valori, anche sul piano dei contenuti. Bisognerà verificare ogni singolo provvedimento.
Diciamo che se ci trovassimo davanti ad una operazione che aumenta di due punti l’IVA che pagano tutti i consumatori, a partire da pensionati e lavoratori, per realizzare una riduzione fiscale di cui sul costo complessivo di 50/60 miliardi, 50 di questi andrebbero ai più ricchi, sarebbe un’operazione da contrastare e contestare fortemente rimettendo al centro il fatto che bisogna operare con una manovra non per aumentare l’IVA ma piuttosto per disinnescare l’aumento dell’IVA e poi affrontare tutti i problemi.
Le banche uno dei settori che più ha sofferto la crisi
È in questo quadro che si colloca la situazione esistente nel nostro mondo, quello delle banche, uno dei settori che più ha sofferto, ha pagato un prezzo alto alla crisi in termini di occupazione in primo luogo. Visco ha sottolineato, come nelle tre precedenti relazioni, che la riduzione dei costi è stata una costante in questo periodo di crisi e difficoltà e che le banche dovranno proseguire in questa direzione. Va detto che a questa riduzione dei costi hanno contribuito enormemente i grandi sacrifici fatti sul piano dell’occupazione, anche se siamo riusciti a gestire la crisi terribile di questi anni, la più pesante dal 1929, si parla di qualcosa come 67.000 esuberi (oltre il 20% della forza lavoro occupata) senza un licenziamento. Le parti sociali hanno governato questo processo tramite gli esodi volontari, tramite il Fondo di sostegno al reddito e all’occupazione, tramite quello che siamo riusciti a fare con la Legge di Stabilità del precedente Governo per agevolare questo percorso. A fronte di queste uscite sono inoltre entrati 17.000 giovani con il Fondo per l’occupazione previsto dal contratto. Tutto ciò ci dice che il prodotto della riduzione dei costi tramite la riduzione dell’occupazione in questi anni è stato soprattutto un effetto della crisi.
Non è vero che occupazione e lavoro sono costretti a ridursi
Risolta la crisi risolto il problema? Direi che dobbiamo essere consapevoli che per evitare altre crisi deve proseguire il tratto dell’innovazione digitale che già è penetrata nelle banche e che non produrrà di per sé nuova occupazione ma eliminerà una parte di attività, una parte del lavoro più semplice e manuale.
Ricordo che il Piano Industriale di Intesa Sanpaolo prevede qualcosa come 5.000 persone da riqualificare e riconvertire di cui oltre 2.700 provenienti da esuberi causati da innovazione digitale; ci sono lavori che scompaiono e nuovi lavori e attività che si determinano. Mentre sono certi i lavori che scompaiono non c’è ancora altrettanta certezza di quali lavori e con quale valore professionale aggiunto si vengono a determinare.
Ogni rivoluzione industriale ha sempre comportato delle conseguenze sull’occupazione, non possiamo arrenderci all’idea che il lavoro e l’occupazione siano costrette unicamente a ridursi.
E pur avendo un atteggiamento positivo verso ciò che è cambiamento e innovazione dobbiamo avere consapevolezza che bisogna fare in modo che l’occupazione non si riduca agendo, da un lato sulla leva di nuove attività e nuovi lavori (una banca che si allarga ad una attività di consulenza, di servizio, di politica industriale, al servizio del Paese, dei cittadini e dei territori, rimettendo al centro il sostegno alle imprese e alle famiglie) e dall’altro immaginando politiche degli orari.
Orari che, come ricordiamo nello stesso documento congressuale della Cgil, siano capaci di favorire solidarietà in cui espandere la possibilità di assunzione di giovani. Tutte quelle forme che nelle fasi in cui l’occupazione non cresce riescano a redistribuire il lavoro anche a parità di salario, per favorire la crescita occupazionale successiva.
Campagna di ascolto valutata positivamente dagli iscritti
È in questo quadro politico, economico che ci muoviamo verso il Congresso. C’è una grande unità dell’organizzazione, confermata dal Direttivo della Cgil sia rispetto al percorso congressuale sia al documento politico. La campagna di ascolto è stata apprezzata e valutata positivamente dai nostri iscritti e dalle tante rappresentanze che abbiamo coinvolto e ha permesso di passare da una traccia di documento congressuale ad un vero e proprio documento congressuale costruito con l’ascolto, in cui la democrazia si allarga in un rapporto diretto con le persone, in cui c’è la capacità di dialogare e ascoltare. Forse questo andrebbe assunto come un metodo e un criterio più largo non solo nelle fasi congressuali ma anche nella costruzione delle piattaforme contrattuali.
C’è un’alternativa all’accompagnamento del linguaggio freddo e schematico del web, che è quella di far convivere con le forme di ascolto diretto tramite il web la ripresa di un modello di partecipazione ancorata ad un confronto che ha bisogno di luoghi, sedi, modalità di approfondimento che ci permettono di rivitalizzare e rilanciare tutte le nostre rappresentanze, che sono le nostre radici piantate nella terra del lavoro ma anche la nostra testa, il nostro cuore, le nostre passioni.
Per le quali il sindacalismo confederale italiano passa indenne tutte le fasi di crescita, sviluppo e difficoltà mantenendo – e rafforzando – la sua tenuta.
Capacità del gruppo dirigente del sindacato di essere unitario
Tutto ciò senza sentirci esenti dal vento del cambiamento che ci ha portato, con una discussione attenta e seria, a produrre una riflessione per cui oltre ad un documento unitario ci vuole anche capacità del gruppo dirigente di essere unitario sia nella costruzione dei contenuti e sia nella costruzione dei delicatissimi passaggi che riguarderanno anche la successione al Segretario Generale. Significa che la Cgil unita vale di più e ancor più oggi in un momento di difficoltà politica e istituzionale. E la Cgil si attribuisce anche una funzione per cui mentre critica la “leggerezza dell’essere” dei partiti, di politiche a volte inconsistenti, che hanno perso le radici della rappresentanza del lavoro, mantiene le sue radici. Ciò significa accompagnare la riflessione che se si ha una linea unitaria e condivisa allora bisogna capire quale ragione c’è per dividersi eventualmente sui gruppi dirigenti e sulla costruzione delle soluzioni di chi meglio può e deve guidare la Cgil.
Questo ha portato giustamente ad azzerare una situazione in cui, a partire dai giornali, si facevano conti e illazioni sui candidati alla successione o su campagne elettorali già partite. La CGIL non è quella che ha descritto qualche giornale. Deve avere la capacità di tenuta unitaria sui contenuti e sui gruppi dirigenti. Significa avere la capacità di azzerare tutto e costruire una soluzione unitaria e condivisa che sia in grado di portare l’organizzazione nella nuova fase, che è anche più delicata di quella precedente e richiede un gruppo dirigente coeso e collettivo. Mai come ora servono figure di rinnovamento ma anche autorevoli, capaci di dare una visione per cui la Cgil non solo contrasta il leaderismo e il personalismo ma risponde con un gruppo dirigente collettivo, con la squadra che dovrà guidare i prossimi anni.
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