
Martedì alle ore 12 il governo di Giuseppe Conte si presenta al Senato per il primo voto di fiducia. Il premier è stato al lavoro nel suo ufficio fino a tarda sera di lunedì per preparare il discorso che terrà nell’aula di Palazzo Madama e poi, il giorno dopo, alla Camera. Subito dopo, giovedì, il premier partirà per il Canada per il suo battesimo internazionale. A margine del G7 Conte avrà anche i primi bilaterali con i leader esteri. Ma intanto tra i partiti si discute delle partite incrociate su viceministri, sottosegretari e capigruppo, presidenti e membri delle commissioni. Con la prima partita che si chiuderà prima della seconda.
Le grane del governo Conte: la nomina di viceministri e sottosegretari e poi dei presidenti di commissione. I Dioscuri cercano di controllarsi a vicenda, non si fidano
“È una questione tecnica – ha spiegato il leghista Stefano Candiani al termine della conferenza dei capigruppo – non possiamo procedere alla composizione delle Commissioni prima che vengano nominati i sottosegretari e quindi se ne parlerà la prossima settimana. Intanto continuerà a lavorare la Commissione speciale per concludere il lavoro che le è stato assegnato”. Dunque per prima cosa c’è da chiudere (rapidamente) la partita di viceministri e sottosegretari. L’intesa di massima è quella di ‘riequilibrare’ i ministri con profilo tecnico con esponenti politici di peso delle due forze di maggioranza. E mantenere anche un equilibrio politico all’interno del vertice del dicastero. A Palazzo Chigi, nel ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio c’è già Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, ma il M5s vorrebbe affiancarlo anche con un proprio esponente. Al Ministero degli Esteri Emanuela Del Re sembra in vantaggio su Manlio Di Stefano; al Viminale, come vice di Matteo Salvini, si gioca una partita intricata, con molti nomi in ballo ma poche sicurezze. Tra gli altri ci sono quelli di Fabiana Dadone (M5s) e Nicola Molteni (Lega), ma anche quello di Candiani, che potrebbe però anche prendere il posto di Gian Marco Centinaio come capogruppo a Palazzo Madama. All’Economia, altro dicastero chiave, la Lega avrebbe messo in campo due nomi (Alberto Bagnai e Claudio Borghi) e altrettanti il M5s (Laura Castelli e Stefano Buffagni). Una casella delicata e su cui la partita è ancora pienamente aperta è quella della delega alle Telecomunicazioni, che la Lega vorrebbe per un suo esponente, anche per evitare tensioni con l’alleato-separato Silvio Berlusconi. Ma i pentastellati non vogliono mollare. Il Movimento 5 stelle farà un punto sui sottosegretari e sulle commissioni martedì sera, in una assemblea dei gruppi convocata per le 21. Ma per chiudere la partita potrebbe essere necessario ancora un po’ di tempo.
Le grane del governo Conte: al ministero del Lavoro giunge una lettera di Cgil, Cisl e Uil sulla difficile situazione alla Tim, procedura di Cigs per circa 30mila lavoratori
E a proposito di telecomunicazioni, una richiesta di incontro al ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio chiedono i sindacati in una lettera scritta in maniera unitaria. L’obiettivo è quello di informare “sulla situazione aziendale e per ascoltare le sue valutazioni sugli eventuali strumenti che possono essere utili alla risoluzione positiva della vertenza” anche alla luce “delle dichiarazioni da Lei rilasciate e degli obiettivi del programma di governo, che prevede tra l’altro la riforma della legge Fornero e di conseguenza l’anticipo, in questo caso, del pensionamento per qualche migliaio di lavoratori”. Al momento sulla vicenda è aperto un tavolo al ministero del Lavoro con procedura in scadenza l’11 giugno prossimo ed un incontro già fissato per il giorno 8. Sul tavolo “la procedura di legge relativa alla Cigs – per riorganizzazione – aperta dall’azienda in data 17 maggio 2018 per 29.736 lavoratori, evidenziando inoltre, che alla fine della stessa continueranno a persistere 4500 esuberi”.
Le grane del governo Conte: rischio crisi diplomatica con la Tunisia dopo l’affondo incredibile del ministro Salvini per il quale i migranti tunisini sono “ex galeotti”. Mano tesa a Orbàn
Il governo di Tunisi convoca l’ambasciatore italiano e reagisce alle frasi di Matteo Salvini che domenica, nel corso della visita all’hotspot di Pozzallo, aveva definito la Tunisia “un paese libero e democratico che non sta esportando gentiluomini e che spesso e volentieri esporta galeotti”. Concetto che il vicepremier e titolare del Viminale ha ribadito parlando a un comizio a Fiumicino, nei pressi di Roma: “qualcuno in Tunisia si è offeso” ma “sbagliando – ha sottolineato – perché io ho detto solo che arrivano qui anche persone non perbene”. Confermando quanto affermato poche ore prima, cioè di avere “la più ferma disponibilità a incontrare nel più breve tempo possibile il mio omologo di Tunisi per aumentare e migliorare la cooperazione, nel reciproco interesse sul fronte sicurezza, immigrazione e contrasto al terrorismo”. “Io – ha precisato ancora Salvini nel suo comizio a Fiumicino – non ho detto che chiunque arrivi dalla Tunisia è un galeotto, ma che quel paese esporta anche galeotti. L’anno scorso in migliaia sono usciti dalla galera, alcuni hanno preso i barconi e sono stati fermati 22 volte nei centri di accoglienza italiani”. Lo stesso Salvini ha poi annunciato di aver avuto un colloquio telefonico “cordiale” con il primo ministro ungherese Viktor Orban e ha annunciato: “lavoreremo per cambiare le regole di questa Unione europea”. Il primo caso diplomatico per il governo Conte è scoppiato a sole 72 ore dall’insediamento del leader della Lega al Viminale e, seppur con toni moderati, l’irritazione di Tunisi è evidente. Il ministero degli Esteri ha sottolineato in una nota ufficiale di aver “ricevuto” l’ambasciatore italiano Lorenzo Fanara – un incontro “cordiale” secondo quest’ultimo – per informarlo del “grande stupore” suscitato dalle parole di Salvini “che non riflettono la cooperazione tra i due paesi nel campo della gestione dell’immigrazione ed indicano una conoscenza incompleta dei meccanismi di coordinamento esistenti tra i servizi tunisini ed italiani”. La Tunisia, tra l’altro, è uno dei pochi paesi con cui l’Italia ha accordi bilaterali in tema di immigrazione e per questo all’ambasciatore e’ stata ribadita la “volonta’ di continuare con il nuovo governo sulla via del consolidamento dei rapporti di fraternita’ e di collaborazione strategica”. “Non voglio entrare in altri meriti che sono evidenti. Ognuno giustamente difende le sue posizioni” risponde Salvini, che si dice pronto, subito dopo la fiducia, a “prendere un aereo” e incontrare il suo omologo per continuare la collaborazione.
Le grane del governo Conte: la relatrice di Possibile Schlein sulla riforma del Trattato di Dublino dà lezione al ministro Salvini. “Non ha alcuna competenza”, e gli stati procedono a maggioranza
Salvini annuncia che non si presenterà al vertice dei ministri dell’Interno per discutere della riforma del Trattato di Dublino, perché l’Italia voterà no? Bene, si tratta di una menzogna nata da incompetenza del neo ministro, replica la relatrice di Possibile, del Gruppo di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, e relatrice della riforma. “Salvini fa molta confusione, domani al Consiglio non si vota ma si discute una riforma cruciale per il nostro Paese. Se avesse qualche reale competenza sul tema dell’immigrazione saprebbe che l’Italia è il paese più interessato alla riforma del Regolamento di Dublino, che nella formulazione attuale lascia, invece, le maggiori responsabilità agli stati di frontiera come il nostro. Non ci si dichiara sconfitti prima della battaglia”, afferma dunque l’europarlamentare di Possibile Elly Schlein, relatrice della riforma del regolamento di Dublino per il gruppo dei Socialisti e Democratici. “La posizione del no a priori alla riforma non ha altra utilità – aggiunge – se non quella propagandistica, perché se l’Italia diserta il negoziato al Consiglio, gli altri Stati membri possono andare avanti anche a maggioranza qualificata. La bozza in circolazione al Consiglio è pessima, come denunciamo da mesi, ma per cambiarla bisogna sedersi al tavolo. Noi l’abbiamo fatto al Parlamento europeo ottenendo una larga maggioranza su una proposta rivoluzionaria sulla riforma di Dublino, che cancella il criterio del primo Paese di accesso, e lo sostituisce con un meccanismo di ricollocamento automatico e obbligatorio dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell’Ue. Sarebbe assurdo che il governo italiano non appoggiasse questa proposta, dopo che il Parlamento, pur senza i voti della Lega, ha dato un segnale di solidarietà forte all’Italia. Se vuol fare gli interessi dell’Italia, Salvini si sieda a negoziare e abbia il coraggio di chiedere ad Orban di fare la propria parte. Capisco sia difficile, quando sino a ieri applaudiva alla costruzione di muri, ma il tempo della propaganda è finito. Qui emerge tutta la contraddizione dei nuovi sovranisti.”
Le grane del governo Conte: quando partirà davvero, se partirà la flat tax? Scontro tra gli economisti della Lega
Secondo Alberto Bagnai, parlamentare leghista, finora da molti identificato come possibile prossimo sottosegretario al ministero dell’Economia, le prime ad usufruire dei tagli alle tasse saranno le imprese, seguite l’anno successivo dalle famiglie. Non così per Armando Siri, leghista anche lui, ‘padrino’ della ‘flat tax’, convinto che dall’anno prossimo il peso del fisco comincerà ad essere più leggero per tutti, famiglie e imprese, con la riforma che arriverà a regime nel 2020. Il tema scalda comunque il dibattito politico e in particolare il Pd che dall’opposizione risponde con un fuoco di fila che rivendica di aver già attuato una flat tax sulle imprese con l’Ires e l’Iri al 24% ma che ironizza anche sul ”rinvio per le famiglie”. Il primo a parlare è il segretario reggente Maurizio Martina, ma poi intervengono in molti dagli ex ministri Boschi e Minniti al capogruppo Ettore Rosato. La tempistica è certo un punto dirimente, non solo a livello politico, ma anche finanziario, visto che le coperture necessarie per il taglio dell’Ires (e dell’Iri sulle Pmi) sono nettamente inferiori a quelle da recuperare per il taglio dell’Irpef. Bagnai ha parlato di “accordo” fatto sull’intervento in due tempi, con l’idea di “far partire la flat tax sui redditi di impresa dall’anno prossimo” e quella sulle famiglie “dal secondo anno”. Parole che hanno scatenato l’immediata levata di scudi del Pd, pronto a rivendicare come le tasse sulle imprese siano state già tagliate nella scorsa legislatura e portate tutte proprio ad unico livello, il 24%. Ma evidentemente anche di esponenti della maggioranza. La precisazione è stata affidata proprio a Siri, secondo cui la partenza sarà simultanea sia per le famiglie che per le imprese. “Si deve partire con degli step: il sistema è diverso perché la Flat Tax per le imprese c’è già – ha chiarito, accogliendo in parte le critiche del Pd – noi la estendiamo anche a società di persone, Partite Iva etc”. L’obiettivo è quello di trasferire “a 5 milioni di operatori quello che oggi è solo per 800 mila imprese”. Guardando le carte, il contratto non fa parola della scansione temporale dell’intervento fiscale.
Le grane all’interno del Pd: Matteo Renzi diventa conferenziere, vola in Qatar e in Kazakistan, in Cina ed è “atteso” negli Stati Uniti
Matteo Renzi ci prova a rimanere dietro le quinte dell’agone politico. Ma con scarsi risultati. Oggi è bastata una intervista in cui annunciava un suo ‘tour’ di conferenze in giro per il mondo a scatenare la reazione delle opposizioni. Perché – spiega la pubblica accusa – se vuole stare lontano dal Parlamento “dovrebbe dimettersi” da senatore. Una nuova vita “fuori dal giro per qualche mese”, ma ben pagata ovviamente, annuncia l’ex segretario Pd ribadendo la volontà di giocare da mediano nel partito per aiutarne la ricostruzione. “Sul Pd la palla è in mano a Martina”, assicura. Renzi, nelle settimane scorse, era già volato in Kazakistan per tenere uno speech, pochi giorni dopo essere stato in Qatar, assieme al fidato Marco Carrai, per incontrare l’emiro Tamim Bin Hamad al-Thani, che gestisce un fondo sovrano da 250 miliardi di dollari. Ieri l’ex premier si trovava a Pechino per tenere un discorso sulla Via della Seta e la cultura e domani, tornando dalla Cina per poche ore, si presenterà in Aula per votare (contro) la fiducia al governo Conte. I mesi di basso profilo dell’ex premier dovrebbero durare fino ad ottobre, quando (dal 19 al 21) a Firenze tornerà la Leopolda. Ma qui si innesta la polemica. E, perché non rimangano dubbi sulla volontà dell’ex leader dem, fonti parlamentari fanno sapere che – contrariamente a quanto filtrato in precedenza – domani, in occasione del dibattito al Senato sulla fiducia al governo Conte, Renzi interverrà in Aula con gli esponenti dem Franco Mirabelli, Antonio Misiani, Teresa Bellanova e Andrea Marcucci. L’altro fronte dello scontro con la Lega è quello sui migranti. L’omicidio del bracciante e sindacalista maliano Soumali Sako a Rosarno ha, infatti, riaperto la discussione su toni e parole utilizzati in questi anni anche dalla politica per affrontare il tema. Parole e toni ai quali, sottolineano dal Pd, fa oggi seguito un “silenzio assordante” da parte dei ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
E sui migranti, Fratoianni attacca Salvini, ma anche il Pd
Sulla vicenda del giovane maliano ucciso in Calabria, interviene anche il segretario di Sinistra Italiana, ed esponente di Liberi e Uguali, il quale accusa apertamente il ministro Salvini, il quale ”loda Minniti sugli accordi disumani in Libia, mentre non trova parole per Soumaila Sacko, lavoratore e sindacalista maliano di 29 anni ucciso nelle campagne calabresi senza motivi chiari. Non avevo dubbi”. Il segretario nazionale di Sinistra Italiana prosegue: “Ciò che colpisce ancora di più, se possibile sono le parole di replica da parte dell’esponente Pd Fiano, che di fatto sostiene tutto l’impianto politico e culturale delle parole di Salvini e delle azioni di Minniti. Minniti era consapevole della necessità dei rimpatri, dice, ma costano troppo e quindi Salvini non farà diversamente. Queste in sostanza le parole di Fiano, senza nemmeno porsi il problema del funzionamento dei sistemi di accoglienza, né dei canali legali di ingresso nel nostro Paese”. E infine, conclude Fratoianni, ”è stata la legge Bossi-Fini a creare le migliori condizioni per la ‘clandestinità’, eliminando ogni canale legale di ingresso e di richiesta di ingresso. E questi sarebbero coloro che vogliono fare il fronte repubblicano?”
- Amministrative 2021, la sinistra per Roma. Ne parliamo con Giuseppe Libutti, candidato per la lista Sinistra civica ecologista - 27 Settembre 2021
- Riprendono le pubblicazioni di Jobsnews.it. Con alcune modifiche sostanziali - 31 Gennaio 2021
- Coronavirus. 7 ottobre. 3678 nuovi casi, 31 decessi, 337 in intensiva. Il nuovo Dpcm proroga lo stato d’emergenza al 31 gennaio 2021 e impone la mascherina all’aperto - 7 Ottobre 2020