Andrea Pertici boccia l’ultima proposta presidenzialista: “un potere esecutivo più forte e concentrato”, che “riduce (ancora) il ruolo dei cittadini”

Andrea Pertici boccia l’ultima proposta presidenzialista: “un potere esecutivo più forte e concentrato”, che “riduce (ancora) il ruolo dei cittadini”

Il deposito in Cassazione di una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre il sistema presidenziale in Italia, annunciato da Giovanni Guzzetta sull’edizione on line del Corriere della sera (https://www.corriere.it/opinioni/18_giugno_19/riforme-istituzionali-nodo-ancora-sciogliere-ef4d2e0e-7315-11e8-803e-f9621adc969f.shtml), si rifà ancora una volta all’idea per cui la Costituzione del 1948 non funziona (più), almeno nella sua seconda parte, erroneamente considerata separata dalla prima (https://www.lindau.it/ita/Libri/La-Costituzione-spezzata). Sarebbe stata anche la complicata fase di formazione del nuovo Governo, dopo le elezioni del 4 marzo, secondo quanto sostenuto anche da Galli della Loggia in un recente editoriale (https://www.corriere.it/opinioni/18_maggio_31/i-limiti-fragilita-c584e418-6438-11e8-9b4c-0d37dd8c9cfa.shtml), a confermare «i limiti e la fragilità della seconda parte della nostra Costituzione, quella che riguarda l’ordinamento della Repubblica», che conterrebbe troppi vincoli al potere (diversi – si prova a dire – dai «checks and balances» che una Costituzione deve contenere per essere tale). La soluzione starebbe in «un dominus al quale sia riconosciuto da tutti gli attori un potere regolatore generale», che prenderebbe forma in un Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale diretto, rispetto al quale – ricorda Guzzetta – si sarebbero anche recentemente espressi Berlusconi, Renzi, Salvini e Meloni (essendovi in effetti pendenti due proposte di legge di revisione costituzionale che vanno in questa direzione, presentate da un deputato e da un senatore del Pd).

La proposta (https://www.nuova-repubblica.it/wp-content/uploads/2018/06/Progetto-presentato-in-cassazione.pdf) prevede un’ennesima, più forte, e quindi più controversa, deroga al procedimento di modifica della Costituzione, che contempla l’elezione di un’Assemblea “costituzionale”, eletta a suffragio universale diretto con sistema proporzionale corretto da una soglia di sbarramento al 3%. Essa lavorerebbe all’esito di un “referendum d’indirizzo” con cui verrebbe chiesto ai cittadini se vogliono un Presidente eletto a suffragio popolare diretto, al quale sarebbero attribuite «funzioni effettivamente governanti, nonché il potere di sciogliere le Camere».

Ora, la proposta presenta, dal punto di vista del diritto costituzionale, molte criticità di metodo e di merito, che esamineremo altrove, anche arricchendo il dibattito recentemente sviluppatosi al Convegno annuale del Gruppo di Pisa, intitolato “Alla prova della revisione. Settanta anni di rigidità costituzionale” (https://www.gruppodipisa.it/eventi/convegni/298-8-9-giugno-2018-catanzaro-alla-prova-della-revisione-settanta-anni-di-rigidita-costituzionale), ma ciò che immediatamente colpisce è il fatto che si torni a parlare di una riforma costituzionale di ampia portata (contro la quale opportunamente si esprime l’accordo scritto che sta alla base della formazione del Governo Conte) e ancora una volta nel senso della verticalizzazione del potere anziché in quello di un ampliamento degli strumenti di partecipazione popolare. Non è il caso di lasciarsi fuorviare, a quest’ultimo proposito, dal fatto che il percorso si avvii con un referendum, perché questo è fortemente “suggestivo” (nel senso che suggerisce la risposta) e non prevede un’alternativa (almeno) tra due diverse forme di governo, tanto che c’è da chiedersi quale sarebbe il senso dell’Assemblea ove vincessero i “No”. Il referendum, inoltre, presenterebbe la classica impostazione plebiscitaria, con una domanda generica, calata dall’alto, che attende, appunto, una risposta positiva.

Quanto poi al contenuto di massima della proposta, il potere di scioglimento delle Camere attribuito al Presidente governante allontana immediatamente la soluzione dal presidenzialismo, basato sulla rigida separazione dei poteri, che esclude la possibilità del Presidente di incidere sul Parlamento fino addirittura al suo scioglimento. L’ipotesi sembra declinare, semmai, verso un semi-presidenzialismo, le cui varianti sono molte e assai distanti tra loro, ma con il rischio di volgere a un iper-presidenzialismo, che rende il Parlamento, sotto scacco del Presidente governante, molto debole. L’ipotesi non è, nella sostanza, nuova, come si ricorda nel presentare l’iniziativa, e risponde a una logica che, al di là delle diverse declinazioni, ha retto tutte le proposte di riforma costituzionale della seconda parte della Costituzione: avere un potere esecutivo più forte e concentrato, riducendo (ancora) il ruolo dei cittadini che non dovrebbero partecipare continuativamente alla vita politica del Paese, limitandosi piuttosto ogni cinque anni a esprimere un voto all-inclusive, che lo sarebbe ancora di più se tutta l’attenzione fosse concentrata sull’elezione di una persona sola, decisa risolutrice di ogni questione e pure del Parlamento eventualmente troppo recalcitrante.

A soluzioni sostanzialmente analoghe i cittadini hanno già risposto “No” due volte. Se la proposta andasse avanti, come nella situazione attuale non sembra probabile,  il “No” dovrebbe essere preventivo, nel referendum d’indirizzo, perché la possibilità di chiedere un referendum successivo sarebbe eliminata, ma magari anche questo potrebbe mal disporre gli elettori e portare ancora una volta a una bocciatura (questa volta preventiva), perché in fondo – come insegna la cultura popolare – “non c’è due senza tre”.

*Professore ordinario di Diritto costituzionale Università di Pisa

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