Affaire Stadio della Roma. Non si sente odor di Tangentopoli?

Affaire Stadio della Roma. Non si sente odor di Tangentopoli?

Raccontano le cronache di venerdì 15 giugno che con gli interrogatori di garanzia vengono alla luce le prime ammissioni e verità di almeno alcuni dei nove arrestati nell’ambito dell’inchiesta sullo Stadio della Roma.”Nella mia vita non ho mai compiuto nulla di illecito, respingo con forza ogni addebito”, si difende Luca Lanzalone, l’avvocato ex presidente di Acea, sentito per oltre tre ore dalla gip Maria Paola Tomaselli. Lanzalone, finito ai domiciliari il 13 con l’accusa di corruzione, respinge con forza ogni accusa. Secondo la Procura, sarebbe stato lui il punto di contatto tra la giunta capitolina e Luca Parnasi: avrebbe aiutato il costruttore romano facendo gli interessi suoi anziché quelli del Comune e ricevendo in cambio la promessa di 100mila euro in incarichi per il suo studio legale. Da Milano, dove è detenuto nel carcere di San Vittore, Parnasi si avvale della facoltà di non rispondere mentre a Regina Coeli alcuni tra i suoi collaboratori scelgono di parlare, facendo emergere qualche ammissione.

L’estensione della presunta associazione a delinquere secondo i magistrati

In sei sono in carcere perché ritenuti parte di una presunta associazione a delinquere facente capo all’imprenditore che puntava a costruire lo Stadio di Tor Di Valle. Rispondono a vario titolo, anche di corruzione, traffico di influenze, frode fiscale, finanziamento illecito. Dei due politici finiti ai domiciliari, si avvale della facoltà di non rispondere il vicepresidente del Consiglio regionale Adriano Palozzi, di Forza Italia, che secondo le accuse avrebbe ottenuto da Parnasi circa 25mila euro per operazioni inesistenti. Mentre il consigliere regionale del Pd Michele Civita, accusato di corruzione, si difende: “Aver chiesto aiuto per mio figlio è stata una leggerezza compiuta in buona fede”, dice alla gip, “non ho mai violato la legge, le decisioni della conferenza di servizio erano pubbliche”. Il lavoro istruttorio va avanti e l’indagine si allarga: la sindaca Virginia Raggi viene sentita dai magistrati come persona informata sui fatti e il presidente del Coni Giovanni Malagò appreso di essere indagato fa sapere di aver chiesto di essere interrogato quanto prima per chiarire la sua posizione. Secondo gli inquirenti, nel rapporto tra Parnasi e Lanzalone è il nodo della “corruzione sistemica” che ruota attorno al progetto dello Stadio. Lanzalone è il legale incaricato dalla giunta Raggi di seguire la trattativa per la modifica del progetto, e diventa di fatto uno dei più stretti collaboratori di Parnasi: i due, scrive la giudice nell’ordinanza, “procedono all’unisono elaborando insieme strategie che attengono al progetto”. La stretta collaborazione fa diventare Lanzalone “un soggetto indispensabile per realizzare i progetti” del costruttore, tanto che Parnasi lo soprannomina ‘Mr Wolf’, citando il personaggio che risolve tutti i problemi nel film ‘Pulp Fiction’.

Un vago odore di ritorno a Tangentopoli?

Se le accuse della Procura fossero confermate anche dalle ammissioni degli indagati, ci troveremmo in una sorta di ripetizione storica di quanto accadde ai tempi della Prima Repubblica con Tangentopoli. Le dinamiche corruttive sembrano le medesime, e medesima appare la strategia dei magistrati di ordinare il carcere o i domiciliari per gli indagati eccellenti. Il carcere per indurre a confessare, in sostanza: era questa una delle caratteristiche del pool di Milano agli inizi degli anni Novanta, quando, dopo aver beccato Mario Chiesa che consegnava una “mazzetta”, come si chiamava allora, per un appalto presso il Pio Albergo Trivulzio, si aprì la pentola della vasta corruzione che portò alla fine di un’intera classe politica. Anche in quel caso emerse che imprenditori ed aziende, pubbliche e private, versavano le “mazzette” urbi et orbi, a Roma e nel mondo, a tutti, senza distinzione, perché come disse Bettino Craxi, “la politica costa molto”. Perfino il Pci venne sfiorato dal sospetto che alcuni suoi amministratori fossero collusi col sistema di corruzione. Da quanto emerge in questi giorni dall’inchiesta sullo Stadio della Roma e dall’accusa di un’associazione messa in piede dal costruttore Luca Parnasi e dal presidente Acea, Luca Lanzalone, le “mazzette”, o gli incarichi, oppure le promesse di assunzione non hanno risparmiato quasi nessuno dei partiti che aspiravano al governo. Nella rete dei magistrati sono entrati infatti esponenti di Lega e 5Stelle, Partito Democratico e Forza Italia, e perfino personalità del mondo pubblico. E le analogie con quegli anni di Tangentopoli non finicono qui.

Le reazioni controverse e contraddittorie nel gruppo dirigente pentastellato e in quello leghista. Come accadeva nella Dc e nel Psi quando Tangentopoli ebbe inizio…

La matassa è assai ingarbugliata, la nuova ‘casa’ dei giallorossi, oltre a colpire al cuore il Campidoglio a cinque stelle, è una sciabolata contro il ‘giglio magico’ del capo politico nelle persone di Alfonso Bonafede, ora alla Giustizia, e di Riccardo Fraccaro, ora ai Rapporti col Parlamento e alla democrazia diretta. Per questo Di Maio chiama a raccolta il sottogoverno M5S per fare il punto su come organizzare i dicasteri anche in vista dell’assegnazione delle prossime deleghe. La riunione è stata anche l’occasione per suonare la carica dei fedelissimi contro la predominanza mediatica di Salvini ai danni del Movimento. Per questo Di Maio avrebbe chiesto di riabbracciare e rilanciare con forza le battaglie grilline e far valere i risultati che il Movimento ha avuto e che per ora sono oscurati dal Carroccio. L’obiettivo è uscire dal cono d’ombra di Salvini e tornare ad avere un peso, positivo, sulla stampa. Le pressioni però si fanno sentire soprattutto dagli ortodossi (guidati da Roberto Fico) che accusano Di Maio di aver schiacciato, per temi e ruoli strategici, il Movimento sotto la Lega e di autorizzare un esecutivo ormai a trazione di Salvini. Di Maio stesso ha infatti la consapevolezza che la ‘questione’ gli stia sfuggendo di mano e i primi effetti si vedono in termini di consenso popolare che mai come oggi vede un calo significativo. Chi invece ‘gongola’ è Matteo Salvini, praticamente premier in pectore, che a viso aperto affronta anche le intercettazioni che vedono coinvolto il suo braccio destro, Giancarlo Giorgetti. Preoccupato? “Assolutamente no”. E invece di negare o spazzare la polvere sotto il tappeto, non nega neanche di aver incontrato Luca Parnasi, il costruttore arrestato dalla procura di Roma. “Io ero andato a vedere una partita all’Olimpico con Parnasi – racconta – Lo conoscevo come persona onesta e simpatica, ma non faccio il magistrato o l’avvocato, spero che facciano in fretta a risolvere questa vicenda”. L’imperativo resta comunque quello scandito per tutta la campagna elettorale: “Se qualcuno ha sbagliato, è giusto che paghi, a Roma come in ogni parte d’Italia” auspicando che “a livello generale tempi più certi per la giustizia”. La base leghista fa quadrato intorno al segretario federale: “Non ne ha sbagliata una” commentano. Il governo ombra guidato dal titolare del Viminale fa schizzare i sondaggi, con Salvini che non appare turbato da quanto sta accadendo all’alleato di governo, mantenendo un proficuo distacco, che al suo elettorato non dispiace. Insomma, il consenso, almeno apparentemente, vince tutto.

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