
L’8 giugno si celebra la Giornata mondiale degli oceani. A distanza di un anno dalla conferenza di New York nella quale Legambiente ha presentato un impegno comune con l’Università di Siena (Voluntary Commitment #OceanAction20169) sul tema del “marine litters” (“rifiuti marini”), si rinnova l’occasione per parlare ancora una volta della salute dei nostri oceani, protagonisti quest’anno del progetto Plastic Busters (UfM – SDSN).
L’associazione ambientalista, servitasi degli strumenti di misurazione dell’Ateneo toscano, ha strutturato il progetto sull’analisi e reportistica della situazione attuale dei rifiuti in mare: in particolare le sostanze plastiche come buste, teli, oggetti generici (le cosiddette “sheetlike user plastic”) rappresentano più del 65% del totale, secondo i dati registrati da Goletta Verde 2017 nella navigazione lungo tutta la Penisola, di cui il 25% solo nell’Adriatico centrale.
Lo studio, primo ed unico fino ad ora sulla tematica, ha rivelato, grazie alle analisi effettuate in particolare dai ricercatori universitari Cristina Panti e Matteo Baini, che l’elemento che accomuna le rilevazioni in tutti i campioni è la presenza di mercurio e organoclorurati, ossia policlorobifenili (PCB), DDT ed esaclorobenzene (HCB), la cui quantità varia a seconda dell’area di campionamento; della natura del polimero, che viene valutata attraverso una tecnica spettrometrica ad infrarossi; del grado di invecchiamento del rifiuto, fattore quest’ultimo che ne comporta una riduzione dovuta principalmente al deterioramento della materia in sé.
Per ogni campione è stata registrata la posizione GPS, scattate foto, compilato una scheda di campionamento ed eseguita inoltre una procedura di raccolta e conservazione, come previsto dal protocollo indicato dell’Università senese.
“I dati dimostrano con evidenza che il rischio connesso con i rifiuti plastici presenti nell’ambiente marino non deriva solo dalla loro presenza – ha spiegato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – ma anche e soprattutto dal fatto che fanno da catalizzatori di sostanze tossiche che finiscono poi nell’ecosistema marino, fino al rischio di entrare nella catena alimentare. Purtroppo, la cattiva gestione dei rifiuti a monte e la maladepurazione restano la principale causa del fenomeno. – E conclude – Prevenirlo e rimuovere le plastiche che oggi sono disperse in mare e sulle spiagge è dunque una priorità, non solo per la salvaguardia ambientale ma anche per la tutela della salute”.
Il vero rischio, infatti, è rappresentato maggiormente dalla grande quantità di sostanze tossiche che i materiali plastici possono veicolare e riversare nell’acqua con tutte le negative conseguenze del caso per esseri viventi, piante e animali, che vi entrino in diretto contatto.
A questo proposito, Maria Cristina Fossi, professore ordinario di ecologia ed ecotossicologia all’Università di Siena, ha dichiarato che “un aspetto molto interessante sarebbe quello di integrare i dati ottenuti sulla tipologia di macroplastica e i relativi dati ecotossicologici, con quelli oceanografici sulla densità dei rifiuti galleggianti nelle diverse aree analizzate. Questo consentirebbe di individuare delle aree “hot spots” per una successiva analisi di rischio, soprattutto in relazione alla possibilità che queste aree coincidano con quelle di foraggiamento delle specie marine, come ad esempio le tartarughe marine.”
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