Mentre sale lo spread, il Report Istat registra il lavoro che non cresce, l’aumento di disuguaglianze, povertà. Pagano i giovani, le donne, il Sud. La solitudine in un paese sempre più anziano

Mentre sale lo spread, il Report Istat registra il lavoro che non cresce, l’aumento di  disuguaglianze, povertà. Pagano i giovani, le donne, il Sud. La solitudine in un paese sempre più anziano

Torna, minaccioso, lo spread fra i nostri Btp e i Bund tedeschi toccando quota 151, oltre 20 punti base sopra la chiusura di ieri. Piazza Affari chiude in calo del  2,39%. Si tratta del peggior risultato in Europa di cui si deve ringraziare, si fa per dire, il duo Di Maio-Salvini e il programma di governo che con i loro “esperti” hanno messo a punto, arrivato grazie a qualche “manina” all’Huffington Post in busta anonima e diffuso dal quotidiano diretto da Lucia Annunziata. L’ormai famoso “contratto”, così chiamano quello che le persone normali definiscono “programma”, è risultato talmente orribile da mettere paura ai mercati che, come è noto, hanno la pelle dura. Non è valsa la smentita arrivata da quei due che si candidano, in un modo o nell’altro, a guidare il Paese, perché la fonte anonima ha tutte le carte in regola. Avviene così che mentre Giorgo Alleva, presidente dell’Istat  presenta alla Camera il rapporto annuale, in cui si disegna una Italia in grande difficoltà sul piano economico e sociale, Piazza Affari vive una giornata pericolosa. Il comparto bancario viene penalizzato dalla crescita dello spread. Tutti i titoli sono in sofferenza, esplodono le vendite. Positive invece le altre Borse europee: Londra ha chiuso in rialzo dello 0,26%, Francoforte dello 0,18% e Parigi dello 0,3%.

Il ritorno dello spread primo risultato del duo Di Maio-Salvini

Il ritorno dello spread in salita non ci voleva proprio mentre il Paese non riesce ad uscire dalla crisi. E stando a quanto si legge nel “contratto” di Di Maio e Salvini,  se al governo arrivano questi due si passerebbe dalla crisi al disastro. Già, perché  l’operazione M5S-Lega è facilitata dalla politica portata avanti dai governi Pd e alleati, che prima con Renzi, poi con Gentiloni, Monti aveva già fatto assaggiare un piatto indigesto, hanno messo in atto in questi anni. Ora, davvero sembra incredibile, ma i salvatori della patria, ci riferiamo sempre al duo Di Maio-Salvini, quello che dice che a tutto ci pensa lui, una frase che tanti anni fa pronunciava un personaggio finito male, sarebbero orientati a rimettere in pista i voucher, sulla scia, del resto, del duo Poletti-Gentiloni.

Veniamo così all’Istat, al rapporto che, questa volta, e non poteva che essere così, offre un quadro realistico della situazione, non nasconde le magagne dietro una barriera di numeri che devono essere decifrati nel loro reale valore per capire se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Istat, in questi anni, ha espresso sempre ottimismo. Per esempio ad ogni uscita annunciava la crescita della occupazione e gli scriba in omaggio a Renzi Matteo rilanciavano nascondendo il fatto che i posti di lavoro aumentavano ma si trattava di lavori precari, lavoretti. Il rapporto annuale, a dire la verità, ci prova. Alleva nella illustrazione alla Camera ha parlato di “miglioramenti del mercato” ma ha precisato che “le persone che vorrebbero lavorare superano di poco i sei milioni”. “Per donne, giovani e Mezzogiorno – afferma – resta ancora molto da fare”. Eppure ci sono ancora degli scriba che vedono tutto rosa, parlando  di un  aumento dell’occupazione e di “un ascensore sociale che ha ripreso a salire”. Anche il rapporto Istat parla di crescita “consolidata”, ma precisa che “la corsa del Pil del Mezzogiorno si ferma”. Non solo. Dice che “la crescita è tornata quasi a livelli precrisi”, dove qual “quasi” è proprio un poema e che la ripresa “è moderata”. Sono passati molti anni dal 2007, anno di inizio della recessione, quando gli italiani lavoratori erano 25.026.400 unità. Non diciamo che a quel livello si torna in un anno o poco più. Uno studio della Cgil rende noto che  in Italia saranno necessari 63 anni per tornare ai livelli del 2007, da un punto di vista occupazionale, per tornare a questa cifra, sarà necessario aspettare il 2076.  Ci dice il rapporto Istat che dal 2008 a oggi l’industria ha perso 896.000 dipendenti, e i servizi ne hanno acquistato 810.000, un milione di operai sono usciti dal mercato mentre sono entrati 861.000 impiegati, sono scomparsi 500.000 autonomi e sono entrati altrettanti lavoratori dipendenti, sono usciti 471.000 uomini e sono entrate 404.000 donne, e ci sono un milione di part-time in più, il lavoro è decisamente più precario rispetto a dieci anni fa. Ecco, il vero dato della nostra ripresa, un milione di part-time. E le donne: solo il 48,9% hanno un posto di lavoro, nella Ue il 62,4%

Passiamo all’ascensore sociale che qualche allegro scriba, ogni volta che Istat diffonde numeri, dice che “sta salendo”. Il rapporto, invece, conferma che lo status sociale della famiglia, beni economici, titoli di studio e attività dei genitori è ”determinante” per avere successo nello studio e nel lavoro: solo il 18,5% di chi parte dal basso, famiglie operaie, si laurea e il 14,8% ha un lavoro qualificato. La cerchia di parenti e amici è anche decisiva nel trovare e non solo nel cercare un impiego: lavora grazie a questo ”canale informale” il 47,3% (50,6% al Sud) contro il 52,7% che l’ha ottenuto tramite annunci, datori di lavoro agenzie, concorsi.

Differenze che sembrano incolmabili fra Nord e Sud

In particolare il presidente di Istat si è soffermato sulle differenze che sembrano incolmabili fra Nord e Sud. “Il Mezzogiorno rimane l’unica ripartizione geografica con un saldo occupazionale negativo rispetto al 2008 (-310 mila, -4,8%). Il Sud non ha ancora recuperato i livelli pre-crisi”. Ancora, nel  Mezzogiorno la quota di giovani 15-29enni che non studiano e non lavorano, conosciuti con l’acronimo inglese di Neet, è più che doppia rispetto a quella dell’Italia settentrionale. I Neet seppure in calo, a 2,2 milioni nel 2017, sono ancora il 24,1%, dal 16,7% del Nord al 34,4% del Sud. Sempre facendo punto sul mercato del lavoro a pagare sono i giovani e le donne. Ancora un dato interessante: il  monte ore lavorate nel 2017 ha raggiunto quota 10,8 miliardi di ore. La dinamica salariale invece è rimasta contenuta con le retribuzioni contrattuali per dipendente cresciute solo dello 0,6% in linea con il minimo storico registrato nel 2016. Fuori dai giri di parole: i salari sono fermi.

5 milioni di persone in  condizioni di povertàConfronto Milano, Roma, Napoli

Per quanto riguarda il “benessere”, forse sarebbe meglio definirlo il “malessere”, stando alle indicazioni del Documento di economia e Finanza “mostra un deciso miglioramento che riguarda cinque dei dodici indicatori considerati e un arretramento nei rimanenti sette”. “In positivo” la riduzione della criminalità predatoria (scippi e rapine), il miglioramento della partecipazione al mercato del lavoro e la diminuzione della durata delle cause civili. Invece, risultano “in negativo” l’aumento delle disuguaglianze e della povertà: cinque milioni di persone sono in condizioni di povertà, 1,8 milioni di famiglie. Per quanto riguarda le disuguaglianze, Istat ha posto in evidenza il divario fra Nord e Sud di cui abbiamo detto riferendoci in particolare ai giovani, mette a confronto  tre delle principali città italiane, Milano, Roma e Napoli, mettendo in luce come ci sia comunque quasi sempre “un netto distacco tra il centro e la periferia. Il capoluogo lombardo ha una struttura radiale, a cerchi concentrici. Le aree più benestanti coincidono con quelle con i più alti valori immobiliari e si addensano soprattutto nelle zone centrali della città mentre le zone ad alta vulnerabilità si trovano tutte in periferia”. Più complessa viene definita la situazione nella capitale, dove emergono “sia gli sviluppi borghesi di ‘Roma Nord’, sia i più recenti cambiamenti socio-economici di alcuni quartieri popolari dovuti al trasferimento di segmenti della popolazione benestante. Le zone più vulnerabili sono presenti anche in alcune aree centrali, anche se la loro concentrazione massima si registra nelle zone a ridosso del Raccordo Anulare, a Nord-ovest come ad est”. Napoli, infine, presenta “un evidente contrasto da Ovest, dove si trovano le zone più benestanti e meno vulnerabili, a Est (e all’estremo Nord) dove accade il contrario”.

Siamo il secondo paese più vecchio del mondo

Infine chi siamo? Riportiamo la risposta che Istat ci fornisce a conclusione perché chi siamo lo sappiamo bene. Sentircelo ricordare fa male al cuore. “Italiani più vecchi e soli”. È la sentenza emessa dall’Istituto presieduto da Alleva. La popolazione totale diminuisce per il terzo anno consecutivo di quasi 100mila persone rispetto al precedente: al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni, con 5,6 milioni di stranieri (8,4%). L’Italia è il secondo paese più vecchio del mondo: 168,7 anziani ogni 100 giovani. Il Paese appare anche più fragile rispetto all’Ue: il 17,2% si sente privo o quasi di sostegno sociale. Gli anziani che vivono soli passano oltre 10 ore senza interazioni con altri. Se è vero che il silenzio è d’oro è anche vero che la parola è d’argento.

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