
Leggiamo un profluvio di dichiarazioni da parte del ministro Calenda sulle diverse vicende industriali che giacciono sul suo tavolo da mesi e da anni, e che non hanno ancora trovato una loro definitiva soluzione. Parliamo di Ilva, delle acciaierie di Piombino e della ex Alcoa. Partiamo da Ilva e facciamo chiarezza: servono meno tweet e più trattativa.
È da mesi che il sindacato, unitariamente, ha chiesto modifiche sostanziali al piano di acquisizione di Arcelor Mittal, innanzitutto sul tema dell’occupazione, del trattamento economico dei lavoratori e sugli aspetti altrettanto importanti dell’ambiente e della salute. In realtà Calenda ha fatto finta di ascoltare. Ha invece in modo determinato difeso il contratto siglato da più mesi con la multinazionale e tenuto all’oscuro del sindacato, contratto che prevede di escludere dal futuro produttivo dell’Ilva 4000 lavoratori e di non garantire a quelli che rimarranno tutta l’attuale retribuzione per la durata del piano. Sul risanamento ambientale, tra le altre cose, abbiamo chiesto il riconoscimento del danno sanitario, non ottenendo alcuna risposta.
Buttarla in politica è il classico modo per allontanare le proprie responsabilità. Calenda deve invece spiegare perché non si è mai svolta una vera trattativa e quali sono le ragioni che hanno impedito di far conoscere al sindacato i termini reali della cessione dell’Ilva a Mittal. Alla Fiom e alla Cgil, fino all’ultimo incontro di giovedì scorso, è sempre interessato il merito delle soluzioni. Non abbiamo mai posto problemi rispetto alla legittimità di chi stava al tavolo del confronto, neppure dopo l’esito elettorale e nelle ore frenetiche della formazione del nuovo governo. Giovedì ad alzarsi dal tavolo è stato Calenda. E si è alzato dopo aver ascoltato le posizioni critiche di tutte le organizzazioni sindacali sul testo che ci ha consegnato. Noi eravamo lì per trattare. Calenda invece per mettere il sindacato di fronte al ‘prendere o lasciare’. Siamo i primi a conoscere le condizioni in cui versa l’Ilva, ma queste non possono giustificare il sacrificio dell’occupazione, del salario e della salute per garantire gli interessi di una multinazionale, prima ancora degli interessi dell’Italia, della sua economia e del suo lavoro.
I tavoli ex Alcoa e Piombino sono aperti da anni e se non fosse stato per la determinazione dei lavoratori e per la loro straordinaria tenuta, forse oggi parleremmo di fabbriche chiuse definitivamente. Attendiamo quindi che si metta una parola fine su queste vicende e che i lavoratori di queste aziende ritrovino fiducia e lavoro. I tavoli di trattativa servono a questo. I tweet fanno solo perdere tempo.
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