
Verrebbe da ridere se non si trattasse di un problema estremamente serio, quale il Def, il documento di economia e finanza, che deve essere varato entro il 30 aprile, l’architrave della politica economica dei prossimi anni. Ci riferiamo alle dichiarazioni, rilasciate dai grillini, di Maio in testa e poi ribadite da quelli che contano, i neocapigruppo, a latere del party dei neoletti di cui parliamo in altra parte del giornale, la carica dei 330 o giù di lì, i “silenti” perché era vietato loro di dialogare con i giornalisti, quasi fossero dei poveri imbranati e non baldi cittadine-i, chiamati a sedere negli scranni di Camera e Senato dove si decidono le sorti, nel bene e nel male del nostro paese. I grillini hanno fatto circolare una nota in cui chiedono un Def “espansivo”, investimenti pubblici ad alto effetto moltiplicatore. Non parlano del possibile sforamento del tetto del 3%, non parlano del debito, invitano il governo, quello ancora in carica a far conoscere le proposte, “perlomeno una telefonata di cortesia”, se non “un incontro di consultazione”. I “suoi”, fanno sapere, ti danno la notizia quasi fosse una soffiata, aum, aum che M5S non ha intenzione di modificare gli obiettivi di medio termine, cruciali per l’Europa. Da parte di Salvini che ha riunito le truppe e si sente già presidente del Consiglio viene intimato, non si sa bene a chi, un Def “alternativo” a quanto prevedono le “regole” dell’Unione europea. E rilancia con il taglio delle tasse, la flat tax, pagano i poveri e se la cavano i ricchi. Sia per i pentastellati che per i leghisti i quali nei loro programmi elettorali hanno promesso di tutto di più, un modo come un altro per buttarla in valzer, un giro vorticoso, ma non troppo, per far sapere al popolo in attesa dei miracoli, benessere per tutti, come promesso, che non si può perché il Def messo a punto dal governo attuale, quello bocciato dall’elettorato, ha inviato alla Commisione Ue, un documento che, di fatto, elimina la stragrande maggioranza delle mirabolanti promesse. Se si pensa che ci sono cittadini che già hanno fatto atto di presenza presso gli enti addetti per essere iscritti nelle liste per beneficiare di quanto promesso a vuoto, una truffa, da pentastellati e leghisti, si comprendono, si fa per dire, le sortite di Di Maio e Salvini. Sanno bene che le promesse sono irrealizzabili. Quindi sono dei bugiardi. Oppure non sanno neppure di cosa parlano, sono ignoranti, nel senso che ignorano cosa sia, di quale dinamica segua il Documento di programmazione economica. Deve essere approvato dal Parlamento, avere il disco verde da Bruxelles, rispondere al pareggio di Bilancio come previsto dalla Costituzione, articolo 81, leggi Fiscal Compact.
Varata la manovra in Parlamento, tutte le spese devono essere coperte. Questo lavoro, chiamiamolo così, che sta alle spalle del via libera di Bruxelles, se vi sarà, non può essere fatto da un Parlamento che non c’è, da un governo che si è dimesso.
Di Maio e Salvini barano nei confronti di chi li ha eletti
Di Maio e Salvini dovrebbero saperlo visto che ambiscono, ambedue ad assumere il ruolo di presidente del Consiglio. Fanno finta di niente, barano con chi li ha eletti. E se non lo sanno perlomeno leggano i giornali. Apprenderebbero che proprio da Bruxelles, leggi dichiarazioni del vicepresidente della Commissione europea, vedi la Spagna, avrà la facoltà di presentare documenti di Bilancio a “legislazione vigente” riservandosi l’integrazione a quando verrà formato il nuovo esecutivo. Il Def sarà varato, come ha detto il ministro Padoan, neoeletto deputato Pd, entro il 10 aprile. Se non verrà eletto un nuovo governo il Programma di stabilità dovrà essere inviato, comunque, a Bruxelles entro il 30 aprile. Padoan ha sottolineato che i documenti in corso di stesura avranno un “carattere tecnico e non politico programmatico”. Saranno documenti che fotografano la situazione, stime di crescita, tassi di interesse, prezzi. Per quanto riguarda i nuovi obiettivi, deficit, debito, sarà compito del nuovo esecutivo mettere a punto il nuovo quadro economico, con le ricadute sulle politiche sociali, del lavoro. Dombrovskis, che non è certo un “progressista”, ma un “falco”, si dice, di fatto ci ha concesso una tregua. Sullo sfondo c’è la Bce, le difficoltà in cui si trova Draghi. Proseguirà la politica degli acquisti dei bond privati e pubblici fino a settembre, trenta miliardi di euro al mese. “Anche oltre”, ha aggiunto. Ma i “falchi” stanno sempre più premendo per un cambio di politica, austerità per tutti. Le politiche adottate dalla Casa Bianca, sia per quanto riguarda i dazi che per la regolamentazione finanziaria, creano sempre più incertezza, difficoltà.
Segnali negativi per il futuro dell’Europa dai paesi scandinavi e dai quattro di Visegrad
In base ai segnali che vengono dai paesi scandinavi, a ciascuno il suo, l’unificazione europea resta sulla carta ed è già tanto. Per non parlare dei “quattro di Visegrad” (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia) che trovano il “cemento comune” nella opposizione all’accoglienza dei migranti come stabilito dalla Unione Europea, nella decisione di creare un Centro-Europa dai legami forti. Ce n’è abbastanza perché la “questione Europa” balzi in primo piano proprio mentre ci si avvia verso la formazione del nuovo governo. Nell’agenda delle forze democratiche, antirazziste, dovrebbe essere al primo posto. Non lo è stato in campagna elettorale. Solo spot da parte del Pd di Matteo Renzi, del presidente del Consiglio Gentiloni, contenti quando avevano occasione di farsi vedere a fianco di Merkel, Macron, dei Commissari Ue, strette di mano, sorrisi ma niente più. Mentre l’Europa, quella del Manifesto di Ventotene, richiamato ma non praticato, si allontana sempre più. La sinistra, a partire da Liberi e Uguali, che non ha brillato, per non parlare del Pd, può recuperare, diventare protagonista, anche se con le scarse forze che il risultato elettorale le ha dato, del rilancio, non solo politico, ma anche culturale dell’Europa dei popoli. Anche dei migranti.
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