
Martin Schulz è stato rieletto presidente del Partito socialdemocratico tedesco Spd con l’81,9% dei voti nel congresso federale del partito, che si è aperto oggi a Berlino e si chiuderà domenica. Non si era presentato nessun candidato alternativo. Schulz ha ricevuto 508 voti a favore e 97 contrari; inoltre ci sono state 15 astensioni. A marzo invece, quando era stato eletto per la prima volta alla guida della Spd, aveva ottenuto il 100% dei voti. Poco prima della rielezione di Schulz, la Spd aveva votato a chiara maggioranza a favore dell’avvio di colloqui con il blocco conservatore della cancelliera tedesca Angela Merkel per valutare se il partito possa appoggiare, e in che forma, un nuovo governo Merkel.
Oggi il più citato era Willy Brandt, che diceva “prima il Paese, poi il partito”. E anche con questo argomento, Martin Schulz ha riconquistato i socialdemocratici tedeschi, ottenendo che votassero, alla fine di un lungo dibattito, a favore dei colloqui con Angela Merkel, per una possibile soluzione governativa. Ha anche strappato dei titoloni, dandosi l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa entro il 2025. Una riedizione della Grosse Koaliton però non è affatto “automatica”, dopo il pur importante passaggio di questo congresso di partito a Berlino. E, diversamente dalla campagna elettorale, puntata su temi interni, per convincere i delegati oggi Schulz ha spinto sulla sua vocazione personale: l’Europa. Anche perché è proprio l’Europa, ha sostenuto, ad aver bisogno della socialdemocrazia.
Con toni dolenti, l’ex presidente del parlamento Ue ha chiesto scusa del disastro delle urne del 24 settembre: “Siamo atterrati da dove siamo partiti, al 20,5%. Questo è amaro”. “Un anno così non l’avevo ancora mai vissuto nella mia carriera politica e un anno così non te lo scuoti di dosso facilmente”. “La responsabilità della sconfitta è mia, ma chiedo la vostra fiducia per poter migliorare la situazione”, ha aggiunto. Nella sua analisi, esplicitamente “senza sconti”, Schulz ha comunque sottolineato che i socialdemocratici non hanno perso “solo le ultime elezioni, ma le ultime 4”, perdendo negli anni 10 milioni di voti. Ecco perché questo leader può andare avanti: la colpa della situazione attuale non è davvero sua. E non è neppure di Angela Merkel, ha affermato, aprendo alla cancelliera. Poi il cuore del suo intervento, salutato da un’ovazione che lo ha fatto esultare di nuovo per qualche momento – da mesi ha un’espressione austera e risentita – è stato appunto lo slancio che solo l’Spd può dare al progetto europeo.
“Dobbiamo avere il coraggio di portare avanti l’Europa”. “Io voglio gli Stati uniti d’Europa, con una costituzione che deve esser scritta da una convenzione entro il 2025”. I contatti con Emmanuel Macron, che nei giorni scorsi ha fatto pressione su di lui, sono evidenti. Mentre Angela Merkel ha velocemente replicato, frenando. “Non sono per l’Europa del diktat del rigore, servono investimenti”, ha poi continuato. “Non sono per l’Europa delle banche, delle multinazionali e delle regole assurde. Ma per l’Europa dei cittadini. C’è bisogno di un’Europa socialdemocratica”, la conclusione. Ma Schulz ha parlato anche di migranti, ambiente, lavoro. Niente tetto limite ai rifugiati. E per raggiungere gli obiettivi sul clima, “serve l’uscita dal carbone”. Paletti che renderanno molto difficili le trattative con l’Unione, che rispetto al tavolo ‘giamaica’ – saltato per il passo indietro dei liberali tre settimane fa – è scivolata un po’ più a destra, dal momento che Horst Seehofer ha perso l’egemonia sulla Csu bavarese e ha dovuto cedere la guida del Land a Markus Soeder, il falco delle Finanze che già scalpita e traccia “linee rosse” dalla sua Monaco. Neanche la partita interna è scontata: sono tante le voci di chi teme che l’Spd si autodistrugga con una nuova grande coalizione. I giovani del partito sono agguerriti e indignati. E personaggi di spicco come Malu Dreyer sono per un governo di minoranza. La soluzione della crisi di Berlino è un po’ più vicina, ma non è, neppure oggi, semplice né scontata.
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